La crescita in termini quantitativi degli Istituti Confucio negli ultimi anni è stata significativa e, nonostante le più o meno marcate espressioni di diffidenza da parte di alcuni poli universitari, l’obiettivo fissato nel marzo 2013 da Xu Lin, direttrice generale dell’Hanban, rimane l’apertura di 500 istituti in grandi città entro il 2020. La letteratura scientifica sia nel campo delle scienze della comunicazione che in quello delle scienze politiche ha ampiamente analizzato le strategie del soft power cinese attraverso lo strumento degli Istituti Confucio. Minore attenzione è stata dedicata, invece, al ruolo del sistema dei media cinesi fuori dai confini nazionali, soprattutto da una prospettiva di politica economica.
Secondo i dati più recenti pubblicati (in cinese) nel Rapporto sullo sviluppo dell’industria dei quotidiani cinesi dall’Associazione dei giornalisti cinesi nel dicembre 2014, nell’agosto dello stesso anno vi erano oltre 1.915 quotidiani nella Cina continentale – con una tiratura pari a 48,24 milioni di copie. Sebbene lo stesso rapporto sottolinei come oltre 400 dei giornali censiti (circa il 20%) sia direttamente gestito dal Partito comunista cinese (Pcc), negli ultimi anni si è comunque assistito a una crescita della stampa cinese anche fuori dai confini nazionali. Quest’ultimo dato trova conferma nella citazione di un altro rapporto pubblicato dalla World Association of Newspapers and News Publishers, secondo cui 20 dei 100 quotidiani più rinomati e con tiratura mondiale sono cinesi. Tale situazione è il frutto della riforma avviata da Deng Xiaoping ma soprattutto della trasformazione di unità di lavoro giornalistiche (shiye danwei, 事业 单位) in vere e proprie aziende editoriali commerciali (qiye, 企业).
La strategia di internazionalizzazione dei grandi gruppi mediali cinesi trova un supporto fondamentale nel diffondersi dell’utilizzo dei nuovi media. Secondo una ricerca di Zhongguo jixie, nell’aprile 2015 il Quotidiano del popolo, l’emittente di Stato Cctv e l’agenzia di stampa Nuova Cina (Xinhua) avevano un account attivo sia su Sina weibo (la maggiore piattaforma di microblog cinese) che su Weixin (la più popolare applicazione di messaggistica istantanea mobile in Cina). Va rilevato inoltre che tutti e tre questi operatori di news tra il maggio del 2011 e l’aprile 2012 hanno aperto un account Sina weibo in lingua inglese, dedicato ai lettori stranieri. Ciò che però colpisce maggiormente è la gestione attiva di profili Twitter, Facebook e Youtube da parte del Quotidiano del popolo, di Cctv e di Xinhua, poiché – come risaputo – questi social network restano inaccessibili nella Repubblica popolare cinese. Come illustrato nella Tabella 2, il profilo con maggiore seguito è quello gestito da Xinhua, con oltre 1,53 milioni di follower, dato ancora più rilevante se si considera che l’account in questione è stato aperto nel febbraio 2012.
Il ruolo di Xinhua è ancora più interessante se contestualizzato in un più ampio ragionamento di media governance. Dal 2009, infatti, Xinhua è di fatto promotrice del World Media Summit, che coinvolge oltre 170 grandi società mediali di caratura mondiale tra cui spiccano Associated Press, News Corporation, Nbc, Reuters, Bbc, Google e varie altre. Vi sono aspetti di natura sia simbolica che sostanziale che vale la pena sottolineare in merito a tale evento. Gli organizzatori hanno infatti specificato che l’incontro è rivolto esclusivamente alle imprese mediali e non ai governi. D’altra parte, il coinvolgimento politico è testimoniato per esempio dal fatto che la prima edizione della conferenza sia stata ospitata nella Grande sala dal popolo a Pechino. Va inoltre evidenziato che le finalità del progetto sembrano riflettere due strategie precise, ben delineate proprio dall’ex direttore di Xinhua Li Congjun, che in più di una circostanza ha rimarcato (in cinese) l’esigenza di “sviluppare un dialogo alla pari con le grandi aziende mediali internazionali” (guoji yiliu meiti, 国际一流媒体) e di “rafforzare la propaganda all’esterno”(dawaixuan, 大外宣), arrivando perfino a invocare un “sistema dedicato al coordinamento dell’industria della comunicazione globale” simile alle Nazioni Unite o all’Unesco. Il ruolo delle aziende mediali cinesi è ancor più rilevante se si considera che tre delle quattro conferenze finora realizzate si sono tenute appunto in Cina (due volte a Pechino e una a Hangzhou), e solo una in Russia.
L’aspetto politico dell’industria dei media cinesi inizia ad avere un calibro internazionale anche per quanto concerne internet, come dimostra la prima World Internet Conference tenutasi nel novembre del 2014 nella città di Wuzhen (Zhejiang). Anche in questo caso, oltre alle più importanti aziende cinesi tra cui Alibaba, Baidu e Tencent, va segnalata la presenza di aziende statunitensi come Apple, Cisco, Amazon, Google e Facebook. Un altro elemento da sottolineare è che l’evento si è aperto con le parole di Xi Jinping – che ha confermato come la Cina sia “pronta a cooperare con gli altri Stati al fine di rafforzare la collaborazione internazionale e la sovranità nazionale, e di garantire la cybersecurity” – e si è concluso con l’elaborazione di una dichiarazione finale mai adottata che tra i suoi punti annovera “il rispetto per la sovranità di internet da parte di tutti gli Stati” e lo “sviluppo dell’economia legata a internet”.
Concludendo, sia il World Media Summit che la World Internet Conference di Wuzhen testimoniano una crescita del sistema dei media cinesi non solo in termini quantitativi ma soprattutto in chiave di media governance, con un ruolo essenziale in capo a internet e ai nuovi media. L’utilizzo dei servizi online occidentali da parte delle più grandi società mediali cinesi testimonia un passo avanti e un ulteriore segno di apertura nei confronti del mondo esterno; allo stesso tempo, l’interesse da parte delle grandi aziende mediali occidentali (a cui vanno aggiunti alcuni colossi internet, nonostante i palesi ostacoli) nei confronti del mercato cinese sembra confermare non solo che il mercato dei media in Cina continua a essere molto promettente ma anche che la stessa immagine del paese appare di fatto molto più “professionale” che in passato. L’impressione è che sia nel campo dell’industria internazionale dei media che in termini di internet governance la Cina abbia avviato delle strategie credibili e rivolte al lungo periodo. L’ultima conferma in tal senso viene dalla potenziale collaborazione tra Xinhua e Associated Press discussa in un incontro a Pechino tra Cai Mingzhao, nuovo presidente di Xinhua, e il collega Gary Pruitt, che ha sottolineato come tale cooperazione abbia l’obiettivo di “affrontare insieme le nuove sfide di un ambiente mediatico in trasformazione”. Un quadro d’insieme che induce all’ottimismo, ma in cui pesa l’assenza di aziende mediali e internet europee.
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