Ivisitatori meno attenti potrebbero non accorgersene, ma nella toponomastica delle moderne città vietnamite aleggia la memoria degli eroi del paese – proprio come in Italia. Dalla Phan Dinh Phung Street di Hanoi alla Le Loi Street di Ho Chi Minh City, importanti viali commemorano illustri vietnamiti dalle più disparate estrazioni storiche e politiche. In un paese in cui comunismo e nazionalismo sono in buona misura due facce della stessa medaglia, la toponomastica celebra rivoluzionari comunisti e gloriosi imperatori. Ciò che li accomuna è il posto nella storia così come i vietnamiti la narrano a se stessi: una storia fatta di eroi che – come Phan Dinh Phung – combattono contro i nemici occidentali, e di altri che – come Le Loi – si ribellano agli oppressori cinesi.
Così come la memoria del “secolo delle umiliazioni” perseguita ancora una Cina in ascesa, il periodo di dominazione cinese resta centrale nell’identità nazionale di un Vietnam in rapida crescita. Dopo tutto, “l’appartenenza al Nord”, come i vietnamiti chiamano questa fase storica – ha occupato quasi interamente la prima metà della bimillenaria storia del paese. In confronto, l’Indocina francese non ha resistito neppure un secolo. A ciò si aggiunga che nelle sue fasi più acute l’“appartenenza al Nord” ha coinciso con gli anni d’oro dei cicli dinastici cinesi: sotto gli Han, i Sui o i Ming, la Cina esercitò un ferreo controllo sulla propria appendice meridionale: di fatto, in età pre-moderna i vietnamiti riuscirono a prevalere solo quando la Cina era indebolita dalle divisioni interne.
La storia del Vietnam indipendente ebbe inizio nel decimo secolo, ma il paese non è mai riuscito a sfuggire del tutto all’ingombrante presenza del proprio vicino settentrionale. Non c’è quindi da sorprendersi se la memoria storica del Vietnam e la tirannia della geografia esercitano un’influenza sugli odierni istinti anti-cinesi del paese.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale le relazioni tra Cina e Vietnam hanno attraversato alti e bassi. Il sostegno cinese al Vietnam del Nord fu cruciale negli anni della guerra contro Francia, Stati Uniti e Vietnam del Sud. Ma l’affinità ideologica si deteriorò sino a degenerare in sfiducia reciproca quando nel 1978, solo tre anni dopo la caduta di Saigon, il Vietnam attaccò i Khmer Rossi alleati di Pechino. Per tutta risposta la Cina contrattaccava il Vietnam nella guerra di confine del 1979.
Con le relazioni sino-sovietiche in via di miglioramento, la Cina e il Vietnam decisero infine di normalizzare le relazioni nel 1990. Ciò avvenne nonostante il rifiuto cinese di accogliere le richieste avanzate dal Vietnam durante i negoziati segreti di Chengdu, volte a concludere un’alleanza socialista difensiva. Fu allora che, frustrato nelle aspettative di un’alleanza con la Cina e indebolito dalla disintegrazione dell’alleato sovietico, il Vietnam tornò a guardare a sud, avvicinandosi ai paesi del Sud-est asiatico membri dell’Asean. Per quanto entrambe le parti fossero inizialmente ben poco entusiaste e il processo di riconciliazione abbia richiesto anni, la maggior parte di coloro che vi presero parte riconobbero da subito il significato storico dell’apertura e le sfide che ne sarebbero derivate.
Sorto come bastione contro il comunismo – in entrambe le sue manifestazioni, cinese e vietnamita – nel Sud-est asiatico, l’Asean non era certo il più naturale degli sbocchi per il Vietnam. Ma all’inizio degli anni novanta la paura di un espansionismo del Vietnam aveva iniziato a scemare e l’organizzazione regionale era intenzionata a realizzare il proprio sogno di ricomprendere al proprio interno l’intero Sud-est asiatico.
Ancora una volta la Cina giocò un ruolo, con gli altri paesi della regione ora preoccupati dal bullismo di Pechino nello stretto di Taiwan e nelle acque delle isole Spratly. Nel marzo del 1988 navi militari cinesi e vietnamite si scontrarono a Johnson South Reef, nell’arcipelago delle Spratly: 70 militari vietnamiti caddero e lo scoglio fu occupato dalla Cina. Questo incidente resta tuttora uno dei più gravi scontri militari mai verificatisi nel Mar cinese meridionale. Ciò nonostante il Vietnam – che avrebbe ben potuto divenire la prima linea del Sud-est asiatico contro la Cina – entrò nell’Asean solamente nel 1995.
Il ruolo cruciale della Cina emerse nuovamente in occasione delle difficoltà economiche sperimentate dal Vietnam negli anni ottanta. Molti anni dopo l’avvio delle riforme cinesi per iniziativa di Deng Xiaoping, anche la dirigenza comunista vietnamita riconobbe la necessità di cambiare modello economico e lanciò nel 1986 il doi moi, “rinnovamento”. Da allora il Vietnam – come la Cina – si è trasformato da uno dei paesi più poveri del mondo in un’economia a reddito medio-basso, con un reddito pro capite di 1.130 dollari Usa nel 2010. L’attuale Prodotto interno lordo ha raggiunto i 142 miliardi di dollari Usa, per effetto di un’economia che è cresciuta a una media annuale di quasi il 7% negli ultimi dieci anni.
Rinnovate tensioni nelle acque che i cinesi chiamano Mar cinese meridionale e i vietnamiti Mar orientale hanno però comportato un nuovo deterioramento nelle relazioni bilaterali. In tempi recenti queste tensioni hanno portato a una catena di azioni e reazioni. Tra gli sviluppi più preoccupanti, pescherecci cinesi e vietnamiti entrano ora regolarmente in acque rivendicate dalla controparte, con il conseguente aumento del rischio di scontri in mare.
Eppure Cina e Vietnam sono riusciti nel complesso a controbilanciare le proprie opposte rivendicazioni territoriali con considerevoli relazioni economiche e solidi rapporti tra partiti. L’asimmetria implicita nelle relazioni tra i due paesi e la centralità della Cina per l’economia del Vietnam pongono quest’ultimo in una posizione scomoda. La posizione comune dell’Asean sul Mar cinese meridionale è riduttiva rispetto alle preferenze del Vietnam (e delle Filippine). D’altro conto, aprire troppo agli Stati Uniti comporterebbe il rischio di provocare la Cina. Nonostante i notevoli successi del suo sviluppo economico, il Vietnam resta comunque indietro rispetto alla Cina.
Come sottinteso dal Primo ministro vietnamita Nguyen Tan Dung nel discorso allo Shangri-La Dialogue 2013, il Vietnam non ha altra scelta che continuare a costruire la fiducia con i propri partner, a partire dalla Cina. I vincoli che il Vietnam sperimenta nei confronti della Cina sono familiari e in un certo senso strutturali, certo non destinati a cambiare significativamente nel futuro prossimo. La profondità delle interazioni tra Cina e Vietnam nel corso dei secoli non ha paragoni nel Sud-est asiatico e – come gli scienziati sociali amano precisare – la geografia non è necessariamente un destino. Superare la tirannia di storia e geografia è forse impossibile: ma certo ciò non ha impedito al Vietnam di averci sistematicamente provato per duemila anni.
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