Che il sindacato abbia un ruolo cruciale nell’influenzare gli umori delle masse e mobilitare la base, Lenin lo aveva teorizzato sin dall’inizio del secolo scorso nel suo classico “Che fare?”. Era tornato sull’argomento nel dicembre del 1920, in occasione di uno dei tanti scontri interni al Partito comunista dell’Unione Sovietica: “La dittatura del proletariato non può funzionare senza un certo numero di cinghie di trasmissione tra l’avanguardia [il Partito] e la massa della classe più avanzata e tra questa e la massa dei lavoratori.” E, come avrebbe ben capito Stalin negli anni successivi, quale “cinghia di trasmissione” può essere migliore di un sindacato per portare le direttive del partito alla base e far conoscere al partito gli umori della base?
Sono dibattiti di un’epoca lontana, ma che aiutano a comprendere il ruolo del sindacato ufficiale della Repubblica popolare cinese, la Federazione Nazionale dei Sindacati Cinesi (Fnsc). Sebbene negli ultimi vent’anni la Fnsc abbia fatto uno sforzo per affrancarsi dalla tradizionale sudditanza nei confronti del Partito-Stato, ad esempio inserendo esplicitamente nel proprio Statuto la necessità di proteggere i diritti e gli interessi dei lavoratori, non è mai riuscita a liberarsi dell’ingombrante passato. Non solo il sindacato cinese, che conta su oltre 239 milioni di iscritti, è tuttora organizzato in base al principio leninista del “centralismo democratico”, ma continua ad agire perlopiù come cinghia di trasmissione del partito.
Quanto è avvenuto nel Guangdong nelle ultime settimane ne è una riprova. Se da un lato i media locali e nazionali hanno posto grande enfasi sulla notizia che la federazione sindacale cittadina di Shenzhen ha lanciato una nuova campagna per l’elezione diretta dei presidenti dei sindacati aziendali di 163 imprese (naturalmente realtà per lo più straniere) con oltre mille dipendenti, dall’altro ben poco è stato scritto su altri preoccupanti sviluppi.
Lo scorso 16 maggio è stata creata una nuova organizzazione (sito in cinese) sotto l’egida del sindacato provinciale, la cosiddetta “Federazione delle organizzazioni sociali finalizzate all’offerta di servizi ai lavoratori nella provincia del Guangdong” (guangdongsheng zhigong fuwulei shehui zuzhi lianhehui). Scorrendo la bozza dello Statuto, discussa ed approvata nel corso di un incontro che ha visto la partecipazione di oltre cento rappresentanti sindacali di vari settori e di organizzazioni della società civile del Guangdong, si scopre che questa Federazione è sottoposta alla guida e supervisione del Sindacato e dell’Ufficio degli affari civili provinciali e si propone come linee guida non solo “il sostegno alla leadership del partito e del governo popolare, il rispetto della Costituzione e delle varie leggi e politiche dello Stato, la conduzione delle proprie attività in accordo con la Legge”, ma anche “il rafforzamento del coordinamento generale e del collegamento con i centri, il servizio, l’unità, il sostegno e il collegamento con le organizzazioni sociali e le strutture finalizzate ai servizi ai lavoratori, così come con individui specializzati, ai fini di portare avanti ogni tipo di attività e servizio di interesse pubblico per i lavoratori, proteggere i diritti e gli interessi legittimi dei lavoratori, promuovere l’armonia nei rapporti di lavoro e favorire la giustizia e l’equità sociale.”
La lista dei membri al momento comprende 34 associazioni ufficiali, tra cui associazioni di categoria, centri di assistenza legale universitari, fondazioni e agenzie sindacali; 55 membri individuali, per lo più avvocati e quadri sindacali; e 20 organizzazioni attive nel campo del lavoro, tra cui alcune Ong del lavoro molto note. Anche se resta da vedere se la nuova organizzazione riuscirà a sviluppare una qualsiasi utilità pratica o si trasformerà nell’ennesimo esempio di proliferazione burocratica, ciò che rende questa iniziativa preoccupante è il fatto che il suo lancio sia stato accompagnato dall’ennesima ondata di intimidazioni nei confronti delle Ong attive nel campo della tutela dei lavoratori. Oltre alle vicende del “Centro dei lavoratori” di Shenzhen, su cui ci siamo soffermati nell’ultimo numero di OrizzonteCina, da febbraio ad oggi almeno altre quattro organizzazioni (sito in cinese) sono finite vittima di analoghe minacce, una concomitanza temporale che sembra essere tutto fuorché una coincidenza. Quale mezzo migliore di una campagna intimidatoria per convincere le realtà più attive e in prima linea a sottoporsi spontaneamente alla “protezione” dello Stato?
Tutto ciò accade in quel Guangdong che di norma viene esaltato come l’avanguardia delle riforme e sotto la leadership “illuminata” del locale Segretario Generale del Pcc Wang Yang che tanti hanno descritto come un dirigente interessato al rinnovamento e sotto l’egida di un sindacato che il movimento sindacale internazionale tende ad accreditare come un interlocutore aperto al dialogo. Pur senza negare il fatto che il confronto e il dialogo con il sindacato cinese siano componenti necessarie ed imprescindibili di una qualsiasi iniziativa politica seria che si proponga di affrontare la questione del lavoro in Cina, vicende del genere ricordano come la Fnsc affondi le sue radici in un periodo storico differente, un’epoca in cui la sua unica funzione era quella di agire da cinghia di trasmissione. Certo, moltissime cose sono cambiate da allora, ma la strada verso un nuovo sindacalismo in Cina rimane ancora lunga.
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