l comune di Xintang a Guangzhou è noto come la “capitale dei jeans” (niuzaifu zhi du), ma ancor più come teatro di violenti scontri tra lavoratori migranti e forze di pubblica sicurezza. Alla fine di febbraio, quasi un mese dopo il capodanno lunare, le oltre quattromila aziende di abbigliamento e prodotti complementari che costituivano la spina dorsale di questa comunità erano in ginocchio a causa della scarsità di forza lavoro: il 70% della domanda di lavoro rimaneva inevasa, come riportato dal settimanale cinese “Nanfang Zhoumo” (sito in cinese).
Non solo le fabbriche di Xintang, già provate da un crollo del 30% degli ordini causato dalla crisi europea e da una contrazione dei margini di profitto a meno del 5%, hanno dovuto rinunciare a una parte degli ordini, ma anche i commercianti hanno visto crollare i propri affari e gli alberghi e i ristoranti hanno chiuso per mancanza di clienti e di personale. Negli anni scorsi c’erano stati analoghi problemi nel periodo successivo alle feste, ma la situazione non era mai stata così grave. Una domanda sorge spontanea: che la riluttanza dei lavoratori migranti a tornare a lavorare a Xintang sia una strategia di resistenza di fronte alle violenze dell’anno scorso?
In realtà, la vicenda di Xintang è spia di un problema sociale più ampio, quello della “penuria di migranti” (mingonghuang), un fenomeno che ogni anno, da quasi un decennio, occupa regolarmente le pagine dei media cinesi. Il 2012 non fa eccezione. Stando ad un articolo pubblicato dal 21st Century Business Herald (sito in cinese) a inizio aprile, l’Ufficio per l’occupazione della provincia dello Hubei stimava che, nel periodo successivo alla Festa di primavera, i posti di lavoro vacanti nella provincia fossero circa cinque o seicentomila unità; nello stesso periodo, secondo l’Ufficio delle risorse umane e della previdenza sociale della provincia del Guangdong, nell’area del delta del Fiume delle Perle mancava all’appello circa un milione di lavoratori, il 5% della forza lavoro totale.
Dati del genere non sono certo giunti inaspettati. Stando ad un’indagine condotta nel quarto trimestre del 2011 su 91 strutture pubbliche di servizio all’occupazione, a fronte di 4.486.000 posti di lavoro offerti, si erano fatti avanti solamente 4.298.000 persone alla ricerca di un’occupazione, con un rapporto di 1,04 tra la domanda e l’offerta. Al contempo, negli ultimi anni sono emersi diversi segnali che mostrano come nel Paese si stia rafforzando la tendenza alle migrazioni intra-provinciali, con un conseguente inasprimento della competizione per la manodopera tra le aree centrali e quelle costiere. Questa dinamica risulta particolarmente evidente se – a titolo di esempio – si considera il fatto che nei tre anni compresi tra il 2009 e il 2011 la percentuale di lavoratori migranti dello Hubei che ha trovato lavoro all’interno della provincia è stata rispettivamente del 40%, 43% e 47%.
La “penuria di manodopera” ha fatto la sua comparsa per la prima volta in Cina nel 2003, scardinando la pluri-decennale convinzione che le campagne cinesi costituissero un bacino pressoché illimitato di forza lavoro a basso costo, in grado di sostenere la crescita economica per ancora molti anni a venire. Se fino a quel momento il problema principale per i datori di lavoro, cinesi e stranieri, era stato quello di trovare manodopera qualificata, dopo il 2003 anche solamente trovare un numero sufficiente di lavoratori per azionare le catene di montaggio e manovrare i macchinari è diventato un problema, soprattutto nei periodi che precedono e seguono le festività.
In molti si sono interrogati sulle ragioni di questa scarsità di manodopera. Zhang Yi dell’Accademia cinese delle scienze sociali, in uno studio pubblicato nel Blue Book of China’s Society 2012 (社会蓝皮书), ha elencato sei cause: l’evoluzione della struttura demografica causata dalla politica del figlio unico; il cambiamento strutturale dell’offerta di lavoro, con il numero di lavoratori in possesso solo di un diploma di scuola media che sta progressivamente scendendo a fronte di un mercato che continua ad aver bisogno di manodopera con un livello culturale basso; la crescente domanda di manodopera nelle aree meno sviluppate, trainata dalla crescita economica delle aree centrali ed occidentali del paese; il livello eccessivamente basso dei salari, che non è più in grado di attrarre la forza lavoro come un tempo, soprattutto a fronte di un crescente costo della vita; la progressiva riduzione del divario tra i salari nelle aree costiere e in quelle dell’interno; la breve durata dei contratti di lavoro.
Se da un lato questa “penuria” costituisce l’ennesima sfida per chi vuole fare impresa in Cina, dall’altro la scarsità di manodopera aumenta notevolmente la forza contrattuale dei lavoratori migranti, i quali di fronte a salari e condizioni di lavoro insoddisfacenti possono sempre scegliere di “votare con i piedi” (yijiao toupiao). Inoltre, la competizione tra le aree costiere e quelle dell’interno per attrarre forza lavoro si traduce in altre dinamiche favorevoli ai lavoratori, quali ad esempio l’innalzamento generale dei salari minimi e l’adozione di nuove norme per tutelare il lavoro: stando a dati (sito in cinese) del Ministero del personale e della sicurezza sociale, a fine settembre 2011 ventuno città e province avevano innalzato il proprio salario minimo, con un aumento medio del 21,7%. Un ulteriore giro di aumenti (sito in cinese) è previsto nel 2012.
In questa situazione, quale via d’uscita hanno le imprese? Come ha evidenziato Zhang Yi, le autorità cinesi devono adoperarsi per innalzare il livello di integrazione dei migranti nelle città, rafforzare l’applicazione della legislazione esistente, coordinare lo sviluppo delle varie aree e perfezionare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, ma le aziende devono fare la loro parte, per esempio investendo parte dei profitti nella formazione dei dipendenti, garantendo loro un lavoro dignitoso e facendo sì che si sentano parte dell’impresa. Le autorità dovrebbero a loro volta offrire un sostegno alle imprese sotto forma di aiuti ed esenzioni fiscali, come ha sostenuto Zhang Feng dell’Università di Pechino intervistato dal “Diyi Caijing Ribao” (sito in cinese). Solo così sarà possibile accogliere l’appello del “Quotidiano del Popolo” a “puntare sul futuro per trattenere i lavoratori” (yong mingtian liuzhu nongmingong).
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