Il peso crescente della Cina nelle relazioni internazionali e la sua capacità di influenzare il dibattito politico in diversi paesi sono oggetto di attenzione crescente – e talvolta di estrema apprensione[1] – in tutto il mondo. Il governo della Repubblica popolare cinese, dal canto suo, è determinato a far conoscere la propria versione della storia e la propria narrazione del presente, sviluppando un apparato di comunicazione mediatica sempre più articolato, linguisticamente duttile e orientato a influenzare il discorso pubblico sulla Cina in tutti i continenti. L’intento è quello di porre un argine a una global narrative eccessivamente influenzata dall’anglosfera a direzione USA, ma anche di generare consenso per le iniziative culturali, economiche e politiche della Cina nel mondo. Nei paesi dove sono presenti importanti collettività di cittadini di origine cinese o di cittadini cinesi emigrati/espatriati (la distinzione, per quanto normativamente spuria, esprime soprattutto livelli diversi di censo e di istruzione, ma anche soggettività e progetti divergenti), questo processo sta creando una sfera dialettica e semiotica nuova, plurilingue e dalle molte anime, in continua trasformazione e in grado di interagire sempre di più con la dimensione politica locale e internazionale delle relazioni tra quei paesi e la Cina stessa. Nel caso italiano, paese dove risiede la più numerosa collettività di cittadini della Rpc in Europa, ad animare questa dialettica sono persone che magari non esprimono ancora una capacità pervasiva di influenzare il dibattito politico o culturale nazionale, né tantomeno sono in grado di pesare in maniera determinante sul piano economico e sociale. Ma queste persone esistono, e le loro voci rappresentano un importante cambio di passo rispetto alla situazione di dieci o vent’anni fa, quando “i cinesi” erano ancora soltanto oggetto e non soggetto del discorso pubblico in Italia.
Il lento ma costante aumento della presenza di cittadini italiani di origine migrante o di cittadini stranieri nei partiti politici, nei consigli comunali, nelle associazioni datoriali e sindacali, nelle organizzazioni di terzo settore, nell’associazionismo culturale e religioso, nelle scuole e nelle università (tanto come studenti quanto come ricercatori e docenti), nelle imprese della comunicazione tradizionale e dei nuovi media, sta cominciando a “smuovere le acque” in un paese in cui chi governa, innova, studia e racconta il quotidiano è ancora soprattutto di nazionalità italiana, bianco, maschio e ultratrentenne. Dato che a generare questi piccoli tremiti sulla superficie piuttosto opaca della nostra contemporaneità sono – tra i tanti “nuovi arrivati” – anche persone in qualche modo connesse alla più eclatante success story dell’ultimo cinquantennio, la vertiginosa ascesa economica e politica della Cina, le reazioni che essi innescano sono spesso intense e forse perfino paradossali. Ciò che la Cina deciderà di fare e di essere nei prossimi anni condizionerà in modo determinante il futuro del pianeta, ben venga dunque qualunque sforzo di maggiore interazione e di maggiore comprensione reciproca. Sforzi che non potranno esimere chi tenta di fare da ponte dal sentirsi strattonare e calpestare a destra e a manca, quale che sia l’ambito in cui si trova a dispiegare il proprio impegno o a perorare le proprie cause. Un esempio istruttivo di quel che il futuro ci riserverà sempre più spesso è una vicenda che ha visto protagonista uno dei primi cinesi d’Italia a salire sui rostri della scena politica locale, Marco Wong, consigliere comunale a Prato e attivista sinoitaliano di lungo corso. I fatti dello scorso novembre, infatti, mostrano come una questione di rilevanza internazionale (ma che la Rpc considera una mera “questione interna”, ed esclusivo appannaggio della propria sovranità nazionale) possa riverberare nell’aula consiliare di un municipio italiano, per poi finire in piazza e magari approdare anche alla polemica mediatica sul piano locale e nazionale.
A Hong Kong nella primavera del 2019, un’impopolare proposta di emendamento della legge sull’estradizione che, se approvata dal Parlamento locale (il Legislative Council, o LegCo), avrebbe consentito di processare nella Cina continentale le persone accusate di aver commesso reati su cui il governo cinese rivendica la giurisdizione, innesca una spirale di protesta e repressione senza precedenti. Dopo sei mesi di manifestazioni e scontri di piazza nella regione ad amministrazione speciale, l’asprezza del confronto tra le opposte fazioni (manifestanti pro-HK, pro-Rpc, polizia e istituzioni politiche locali) provoca le prime vittime e sollecita anche le prime reazioni internazionali. Inevitabilmente, nei media occidentali la complessa situazione di Hong Kong tende a essere ricondotta semplicisticamente nell’alveo, scavato dalla pluridecennale esperienza della guerra fredda, di una lotta manichea tra libertà e oppressione, dove i manifestanti sono visti come la speranza di una Cina libera e democratica, mentre i poliziotti incarnano il potere di un regime repressivo e castrante. Ma le cose non sono così semplici. Come spesso accade nelle confrontazioni di strada, nelle fila dei manifestanti serpeggiano provocatori, attorno a loro si spargono ipotesi di complotto, e gli slogan della piazza – che è anche e forse soprattutto una piazza digitale – reclamano una “rivoluzione del nostro tempo” che assume sempre più chiaramente i tratti di una richiesta di autodeterminazione politica. E sappiamo che questo è il più grande tabù della politica cinese contemporanea, che può accettare qualche misura di autonomia sotto l’egida del principio “un paese, due sistemi”, ma non può in alcun modo contemplare rivendicazioni indipendentiste e separatiste. Anche se le richieste “formali” di un movimento politico che rivendica l’assenza di leader e di una struttura di comando come punto di forza puntano a cinque concessioni[2] di ordine sostanzialmente burocratico-amministrativo da parte delle autorità di Hong Kong, agli occhi di Pechino tale movimento appare palesemente sedizioso e potenzialmente incoraggiato da “forze ostili” straniere. Dunque, per paesi europei che hanno stretti legami politici ed economici con la Rpc, nonché per la stessa Unione Europea, prendere posizione rispetto alla situazione convulsa in cui versa il confronto politico ad Hong Kong è necessariamente materia delicata, perché tocca il “nervo scoperto” delle questioni inerenti alla sovranità territoriale cinese.
È in questo contesto che si profila la proposta, da parte del gruppo consiliare Lega-Salvini Premier in seno al consiglio comunale di Prato, di un ordine del giorno di solidarietà all’esponente del partito Demosisto Joshua Wong e ai liberi cittadini di Hong Kong. Una esplicita mozione di condanna dell’operato del governo cinese e delle istituzioni che esso sostiene a Hong Kong, in cui, come racconta lo stesso Marco Wong, “la Cina veniva descritta come il nuovo «impero del male», una dittatura comunista responsabile di trenta milioni di morti, responsabile della repressione delle giuste aspirazioni all’autodeterminazione dei cinesi di Hong Kong”. Wong allora ha proposto al proprio gruppo consiliare di rispondere a questa mozione con una proposta volutamente un po’ provocatoria. “Cioè”, spiega Wong, “se la Cina è il nuovo impero del male, allora i «clandestini» cinesi presenti sul territorio pratese – argomento a cui la destra qui è chiaramente molto sensibile – sono tutti potenzialmente esuli e rifugiati politici, e come tali andrebbero informati del loro diritto alla richiesta di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ovviamente poi questa cosa l’hanno ridotta a: «Marco Wong vuole regolarizzare i clandestini cinesi». Poi se la sono presa perché mi sono messo a correggere una serie di errori formali del loro Odg, come quello di sostenere che in Cina esiste un solo partito politico, mentre ve ne sono altri otto oltre al Pcc. Cosa che certo non ne fa un paese democratico, ma formalmente neppure un regime a partito unico. Ma la cosa che ha scatenato la polemica maggiore è stato quando ho detto: cerchiamo di essere propositivi, perché una semplice mozione di condanna lascia un po’ il tempo che trova. Figuriamoci se il governo cinese ascolta una mozione di condanna espressa dal Comune di Prato! Piuttosto, perché non attingere alle buone pratiche storicamente messe in atto dal governo italiano nei confronti delle proprie minoranze etniche e linguistiche, mettendo a disposizione del governo cinese l’esempio di un’esperienza come quella dell’autonomia sudtirolese. Magari nella foga del momento le mie parole possono essere state prese come particolarmente provocatorie, ma il succo della proposta era quello e mi pare che nel merito si tratti di una riflessione legittima”. E invece proprio su quest’accostamento tra regione ad amministrazione speciale di Hong Kong e Sudtirolo si accenderà una polemica feroce, che culminerà nella richiesta delle dimissioni del consigliere Marco Wong.[3] Nei giorni successivi, Fratelli d’Italia organizzerà perfino una manifestazione di piazza per protestare[4] contro le sue dichiarazioni in consiglio comunale. E pensare che la proposta di adottare l’Alto Adige come modello di risoluzione dei conflitti tra uno stato e le sue minoranze etniche era stata a suo tempo avanzata nientemeno che dal Dalai Lama,[5] persona di certo non sospettabile di simpatie filocinesi.
La giunta comunale di Prato ha invece approvato le due proposte inerenti ai fatti di Hong Kong presentate rispettivamente dal gruppo consiliare Biffoni Sindaco e dal gruppo consiliare del Partito Democratico. La prima proposta (“Solidarietà concreta ai cittadini di Hong Kong” – Atto n. 150 del 14/11/2019)[6] è quella avanzata da Marco Wong, ed impegna il sindaco e la giunta a: esprimere solidarietà ai cittadini di Hong Kong; a invitare le associazioni del terzo settore, l’Ordine degli avvocati e professionisti esperti di diritto dell’immigrazione a rendere edotti eventuali cittadini cinesi e originari della Cina continentale o di Hong Kong, irregolarmente presenti sul territorio pratese, della possibilità ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari; ad attivarsi presso le associazioni di categoria delle imprese italiane che lavorano nell’export verso la Cina e Hong Kong, per minimizzare i danni economici derivanti dalle proteste attualmente in atto; a invitare le autorità di Hong Kong e gli organi di pubblica sicurezza della HKSAR a confrontare i loro protocolli di sicurezza con quelli italiani; a esprimere l’auspicio che, attraverso il canale delle istituzioni cinesi sul territorio italiano, come l’Ambasciata della Repubblica popolare cinese in Italia e i suoi uffici consolari, le autorità delle regioni cinesi a statuto speciale possano venire in missione in Italia a studiare le pratiche amministrative delle regioni a statuto speciale italiane; infine, ad auspicare che l’Italia, come partner privilegiato della Repubblica popolare cinese in virtù degli accordi firmati dal precedente governo, contribuisca al processo democratico del paese e del territorio di Hong Kong. Con la seconda (“Solidarietà ai manifestanti pacifici di Hong Kong” – Atto n. 151/2019 del 14/11/2019), avanzata dal PD con il supporto dei consiglieri del gruppo consiliare cui appartiene Marco Wong, il Consiglio Comunale condanna la violenza della polizia di Hong Kong nei confronti dei manifestanti politici ed esprime solidarietà a tutti i cittadini di Hong Kong che vedono minare la loro libertà da parte delle autorità. Inoltre, esprime solidarietà a Joshua Wong, storico leader di Occupy Central e del partito Demosisto, cui è stato negato l’espatrio per partecipare a Milano a una iniziativa promossa dalla Fondazione Feltrinelli, e al cittadino svedese Gui Minhai, detenuto in Cina senza giusto processo. Infine, impegna il sindaco a farsi parte attiva presso il governo italiano affinché siano prese in carico le risoluzioni del Parlamento Europeo circa i cittadini di Hong Kong soggetti a detenzione o a limitazione della propria libertà personale per motivi di carattere politico e affinché si chieda alle istituzioni di Hong Kong di far cessare le violenze della polizia nei confronti dei manifestanti.
Malgrado il tono misurato di entrambe le mozioni, la sostanza delle dichiarazioni del comune di Prato non si distanzia più di tanto da quella delle prese di posizioni ufficiali adottate in agosto da parte dell’Unione Europea[7] e, successivamente, da parte dell’Italia.[8] Negli attacchi diretti contro Marco Wong, dunque, si legge qualcosa di più viscerale: magari la tendenza da parte della politica italiana a fare di questioni di politica estera soprattutto un tema per polemiche politiche di carattere locale, ma anche la radicata propensione alla diffidenza nei confronti di chi è ancora percepito come “altro”. Spiega Wong: “in tanti hanno visto in quello che ho proposto un segno di accondiscendenza nei confronti del Partito comunista cinese. Il messaggio che è passato è che questi cinesi qui, nonostante vivano in Italia, rimangano comunque in buona sostanza influenzabili dalla potenza culturale e politica cinese. Io cercavo di introdurre elementi di complessità in una visione che a me pare troppo semplicistica, perché ridurre la Cina a una dittatura totalitaria mi sembra aiuti poco a coglierne le specificità e le contraddizioni. Invece i media di destra mi han semplicemente fatto passare come uno che interviene per difendere gli interessi della Cina. Quelli di sinistra mi hanno un po’ preso come uno che, per motivi magari anche di ordine personale e famigliare, non può esporsi più di tanto su posizioni scomode per la Cina. Mentre io mi sono ormai fatto l’idea che più provo a spiegarmi su questi argomenti, più rischio di impantanarmi. Certo, sono stato volutamente provocatorio con quelli della Lega, perché so bene quanto siano in realtà «buoni amici della Cina», tanto che è stato un sottosegretario leghista (Michele Geraci) ad aver promosso la firma del memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative”.
L’imperativo di confrontarsi con la complessità della Cina implica disponibilità a un confronto inevitabilmente vessato da controversie, ma anche rispetto per la circospezione con cui – oggi più che mai – si esprimono opinioni e posizioni rispetto a vicende che, pur verificandosi a migliaia di chilometri dall’Europa, ci toccano da vicino, e istantaneamente. La Cina non è più un paese lontano, né i cinesi possono essere trasfigurati nell’eterno “altro” dell’Occidente. A pesare sulle modalità di questo “discorrere di Cina” non ci sono solo le pressioni generate dagli apparati di persuasione della Cina stessa, ma anche da quelli di casa nostra. Come spiega candidamente Wong: “nei giorni successivi mi sono arrivati diversi inviti a partecipare a dibattiti mediatici, ma a un certo punto mi sono anche detto che a volte è meglio autocensurarsi per non dover poi passare settimane a cercare di rettificare o chiarire la comunicazione del proprio pensiero. Questo mi sembra essere un problema di carattere generale ormai: è tutta la comunicazione mediatica e politica di oggi a essere esposta a questa mortificazione dialettica. Ti «trollano» sui social media per qualsiasi cosa, mentre i media tradizionali raramente praticano un fact-checking scrupoloso o pubblicano smentite in caso di errori. Mi sembra che i rischi di strumentalizzazione e di manipolazione del discorso siano oggi estremamente elevati per qualunque persona voglia prendere parola in pubblico su temi controversi”. Come dimostrano le recenti polemiche innescatasi poche settimane dopo i fatti di Prato a proposito del “silenzio dei sinologi italiani”[9] sui fatti di Hong Kong e sul ruolo degli Istituti Confucio nell’accademia italiana[10] (temi su cui torneremo prossimamente), prendere parola su quanto avviene in Cina è difficile, ma più necessario che mai. Occorre discutere anche delle salvaguardie necessarie ad alimentare un dibattito genuino su questi temi, perché se da un lato è impegnativo criticare la Cina, dall’altro è facile che le proprie critiche vengano subito ricondotte a narrazioni predigerite, dove qualsiasi tentativo di superare la logora dialettica dello “scontro di civiltà” vien tacciato di piaggeria o addirittura di viltà.
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[1] Si veda per esempio il caso dell’Australia, dove nel giugno del 2018 è stata varata una nuova legislazione contro l’interferenza politica di paesi stranieri nella politica interna nazionale che, secondo molti osservatori, appare orientata soprattutto a contrastare la presunta ingerenza politica della Rpc negli affari interni del paese, denunciata in svariate pubblicazioni di carattere sia accademico che divulgativo, come il volume di Clive Hamilton, Silent Invasion. China’s influence in Australia (Melbourne: Hardie Grant Books, 2018).
[2] Sonia Montrelli, “Le proteste di Hong Kong spiegate in 5 punti”, AGI Estero, 1 settembre 2019, disponibile all’Url https://www.agi.it/estero/proteste_hong_kong_spiegate-6119110/news/2019-09-01/.
[3] Il Tirreno – Prato, “«L’Alto Adige come il Tibet»: Wong fa infuriare il centrodestra”, 16 novembre 2019, disponibile all’Url https://iltirreno.gelocal.it/prato/cronaca/2019/11/16/news/l-alto-adige-come-il-tibet-wong-fa-infuriare-il-centrodestra-1.37910129.
[4] Notizie di Prato, “Consiglio comunale, Fratelli d’Italia organizza protesta pacifica contro le dichiarazioni di Marco Wong”, 16 novembre 2019, disponibile all’Url http://www.notiziediprato.it/news/consiglio-comunale-fratelli-d-italia-organizza-protesta-pacifica-contro-le-dichiarazioni-di-marco-wong.
[5] Alto Adige, “Il Dalai Lama a Bolzano: «Modello Alto Adige per il Tibet»”, 10 aprile 2013, disponibile all’Url https://www.altoadige.it/cronaca/bolzano/il-dalai-lama-a-bolzano-modello-alto-adige-per-il-tibet-1.352699.
[6] Consiglio del Comune di Prato, “Atto n. 150 del 14/11/2019”, disponibile all’Url http://pubblicazioneatti.comune.prato.it/doc/prato/IM_2019_0000150_4.pdf.
[7] Council of the EU, “Declaration by the High Representative on behalf of the European Union on Hong Kong”, 17 agosto 2019, disponibile all’Url https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2019/08/17/declaration-by-the-high-representative-on-behalf-of-the-eu-on-hong-kong/.
[8] Francesco Bechis, “Cosa ha deciso la Commissione Esteri su Hong Kong”, Formiche, 3 dicembre 2019, disponibile all’Url https://formiche.net/2019/12/hong-kong-commissione-esteri/.
[9] Si veda: Sinosfere, “La questione di Hong Kong e il ruolo dei sinologi”, disponibile all’Url http://sinosfere.com/category/la-questione-di-hong-kong-e-il-ruolo-dei-sinologi/.
[10] Maurizio Scarpari, “La Cina e noi: fuori gli Istituti Confucio dalle università italiane”, Corriere della Sera – La Lettura n.419, 8 dicembre 2019, disponibile all’Url https://www.corriere.it/la-lettura/19_dicembre_16/cina-noi-fuori-istituti-confucio-universita-italiane-461cd4ca-1f61-11ea-92c8-1d56c6e24126.shtml?refresh_ce-cp.
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