Durante i 53 anni di conflitto civile in Colombia, almeno 32.092 persone sono state vittime di violenza contro la propria integrità fisica e sessuale, di cui 29.035 donne e bambine. Nonostante la richiesta da parte delle organizzazioni di rappresentanza delle donne di aprire un macro caso sulla violenza di genere durante il conflitto armato presso la Jurisdicción Especial para la Paz (JEP) – il Tribunale speciale per la pace – come avvenuto per la violenza contro minori, questo non è stato fatto per mancanza di sufficienti elementi giudiziali. E sebbene nel 2016 il governo della Colombia abbia firmato un accordo con il gruppo guerrigliero FARC-EP, non si può ancora parlare di un paese in pace.
Ancora oggi i gruppi armati coinvolti nel narcotraffico come ELN, Clan del Golfo e i paramilitari continuano a sequestrare donne e minori per ricompensare i combattenti con schiave sessuali e reclutare bambini soldato. Secondo UNODC la tratta di persone continua ad aumentare, raggiungendo dimensioni preoccupanti soprattutto nelle zone in cui il conflitto è ancora attivo. Il sequestro e il traffico di persone, infatti, sono spesso utilizzati dalle milizie come mezzo per guadagnare denaro e rafforzare il loro controllo delle aree in cui lo stato è debole: donne e bambini vengono rapiti o costretti ad arruolarsi e vengono utilizzati per attività proprie della criminalità come traffico di armi e droga. Nei territori dove è ancora alta l’incidenza di coltivazioni di coca, donne e bambini vengono sfruttati nella raccolta e preparazione di sostanze stupefacenti e coinvolti in reti di prostituzione. Chi riesce a fuggire da queste situazioni di conflitto e povertà è obbligato a migrare in condizioni di insicurezza ed è vulnerabile allo sfruttamento e al traffico di esseri umani sia durante il viaggio che all’arrivo.
Nonostante la Colombia abbia ratificato numerosi trattati internazionali a tutela dei diritti delle persone migranti, le sue politiche sono basate più sulla sicurezza nazionale ed economica che sulla promozione, protezione e garanzia dei diritti umani. La Colombia è uno dei paesi con il maggior numero di sfollati interni a causa del conflitto e uno dei paesi con maggiore pressione migratoria da parte del vicino Venezuela. Al momento della scrittura di questo articolo, nonostante le dichiarazioni del presidente Duque dell’8 febbraio 2021 di stabilire un piano per la regolarizzazione dei migranti venezuelani, il sistema di registrazione non sembra ancora in grado di gestire il flusso migratorio da parte del Venezuela, con la conseguenza che migliaia di persone che attraversano la frontiera sono esposte alla tratta di esseri umani e allo sfruttamento.
Molte donne migranti e desplazadas finiscono per cadere nelle grinfie di gruppi criminali che operano nelle grandi città di Bogotà, Medellin e Cali, e costrette a prostituirsi. Spesso vivono in fatiscenti “pagadiarios”, cioè stanze che si pagano alla giornata. La situazione è peggiorata in maniera consistente con la pandemia di COVID-19, quando la mobilità limitata e la chiusura delle frontiere hanno aumentato i fenomeni di violenza e di tratta interna. Molti pagadiarios hanno chiuso o espulso le persone che non potevano pagare, soprattutto migranti, prostitute e giovani disoccupate, esponendole al rischio di contrarre il virus e di subire violenza in strada.
Betty Pedraza, direttrice di Espacios de Mujer, un’organizzazione che dal 2004 si occupa di tratta di persone e violenza di genere a Medellin, sottolinea come la violenza contro donne e bambini sia aumentata durante i sette mesi di lockdown in Colombia. Molti rifugi hanno chiuso mentre le persone erano restie ad andare nei pochi ancora aperti per timore di contrarre il virus, trovandosi obbligate a rimanere in condizioni pericolose presso le proprie case. Le ONG che si occupano di violenza di genere si sono trovate a non poter gestire i casi, perdendo il contatto diretto con le vittime in quanto tutto doveva avvenire virtualmente o tramite l’unità di risposta alle emergenze “155” gestita dallo stato senza la partecipazione delle ONG di settore.
Oltre alla violenza familiare, che solo nel 2020 ha causato 630 femminicidi, sono aumentati i casi di reclutamento di donne e minori da parte dei gruppi criminali: la sfiducia nei confronti dello stato, assente soprattutto nelle zone rurali e più esposte al conflitto, ha costretto le persone in condizione di vulnerabilità economica a unirsi ai gruppi criminali per poter sopravvivere. Almeno 129 casi di violenza sessuale avvenuti tra gennaio e ottobre 2020 sono stati perpetrati da attori associati alla violenza sociopolitica colombiana, un dato che dimostra il collegamento tra reclutamento forzato e violenza sessuale.
Le donne trans e le lavoratrici dell’industria del sesso hanno subito un’ulteriore discriminazione a causa del decreto 106 del municipio di Bogotà “Pico y Genero”, una misura per il contenimento dei contagi che obbliga le persone a uscire di casa solo in determinati giorni in base al sesso specificato sulla carta di identità. Questo decreto, applicato in tutte le grandi città del paese, ha generato violente ripercussioni sulla comunità trans di Bogotà, che è stata vittima di abusi da parte della polizia. Sono aumentati anche i casi di omicidio e le violenze contro le persone trans, come denuncia la Red Comunitaria Trans, un’organizzazione di Bogotà che si occupa di dare visibilità e proteggere i diritti delle persone trans e non-binarie. La militarizzazione crescente in tutto il territorio ha esacerbato la violenza nei confronti delle persone che non si identificano nella etero-normatività, imponendo un modello sociale escludente, misogino e transfobico.
La Colombia resta dunque un paese che non garantisce i diritti delle donne e della comunità LGBT, e che continua ad avere un ruolo escludente per queste categorie non assicurandone le forme di assistenza più fondamentali: mancano ancora rispetto, dignità, sicurezza, lavoro e soldi. La pandemia ha esacerbato una situazione che era già al limite della sopportazione, specialmente per i lavoratori e le lavoratrici dell’economia informale colombiana che non hanno accesso alle politiche di appoggio sociale. La chiusura delle scuole ha così aumentato il carico di lavoro domestico non remunerato a spese delle donne, e le misure di contenimento hanno avuto un pesante impatto sui sistemi comunitari di mutuo sostegno. La mancanza di fiducia nei confronti degli organi statali, gli alti livelli di corruzione e l’assenza di un approccio di genere preclude così alle vittime l’accesso a politiche e interventi a loro dedicati, emarginandole e obbligandole a rifugiarsi in altri territori o a rivolgersi ad attori alternativi allo stato. Una maggiore attenzione alle questioni di genere, nelle loro varie declinazioni, appare dunque imprescindibile per il successo e la sostenibilità del processo di pace in Colombia: adottare un approccio inclusivo, anche mediante lo studio di strumenti di dialogo e di tutela delle vittime, contribuirebbe contribuire ad evitare il rischio di una recrudescenza del conflitto.
Per saperne di più:
G-PAZ (2019) La paz avanza con las mujeres. Observaciones sobre la incorporación del enfoque de género en el acuerdo de paz. Disponibile su: https://generoypaz.co/informes/gpaz_informe_2019.pdf
Corporación Espacios de Mujer (2020) V Balance de implementación de las politicas antitrata en Colombia. Disponibile su: http://www.espaciosdemujer.org/wp-content/uploads/V-Balance-de-implementación_20203455.pdf
ONU Mujeres, DANE e CPEM (2020) Mujeres y hombres: Brechas de género en Colombia. Disponibile su: https://www2.unwomen.org/-/media/field%20office%20colombia/documentos/publicaciones/2020/11/mujeres%20y%20hombres%20brechas%20de%20genero.pdf?la=es&vs=5814
UNODC (2020) Global Report on Trafficking in Persons 2020. Disponibile su : https://www.unodc.org/documents/data-and-analysis/tip/2021/GLOTiP_2020_15jan_web.pdf
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