Competizione Cina-Usa nel Sud-Est asiatico

Il Pacifico occidentale e soprattutto il Mar della Cina meridionale sono teatri geopolitici di primaria importanza, dove maggiore è la probabilità che la politica estera di Washington entri in contrasto con la proiezione regionale della Rpc. Dopo una prolungata fase di disimpegno, negli ultimi mesi l‟amministrazione Obama ha indicato in modo chiaro di voler elevare significativamente il profilo della sua politica in Asia orientale, in particolare nel Sud-Est asiatico. Pechino tende però a vedere nel re-engagement statunitense i prodromi di una strategia di soft-containment ai suoi danni.

In un discorso a Tokyo nel novembre 2009, Obama aveva definito gli Stati Uniti “nazione del Pacifico”, proclamando l‟intenzione di “rinnovare la leadership dell’America nel mondo” a partire dall’Asia e dagli alleati storici di Washington nell‟area. Da qui la richiesta di adesione all’East Asia Summit, il forum strategico costituito su iniziativa dei Paesi dell’Asean (Association of South-East Asian Nations) nel 2005 e ora composto da 16 membri che condividono la piattaforma come occasione di dialogo strategico ai massimi livelli per lo sviluppo della regione. La decisione sull’ammissione è attesa in occasione del 17° summit Asean che si terrà a Hanoi in ottobre.

D’altronde, in molte delle cancellerie dei membri Asean è cresciuta l’inquietudine per il crescente attivismo cinese in politica estera, di cui diamo conto sin dal primo numero di OrizzonteCina. L’ultimo teatro a esserne toccato è proprio il Mar della Cina meridionale, le cui acque (e relative risorse ittiche e naturali) sono tuttora contese da Cina, Taiwan, Filippine, Indonesia, Malesia, Brunei, dall’ultimo scontro armato tra forze navali vietnamite, la Cina, pur avendo siglato nel 2002 una “Dichiarazione multilaterale sul Codice di condotta pacifica nel Mar della Cina meridionale”, ha ribadito la propria opzione su gran parte di quest‟area marittima fino ad inserirla – secondo fonti del New York Times – fra i propri interessi vitali, alla pari di Taiwan e Tibet. Questa nuova posizione, talora paragonata a una “Dottrina Monroe” cinese sulle acque situate a sud e ad est dei confini nazionali, non è stata in realtà confermata pubblicamente dai vertici di Pechino.

In effetti, diverse voci hanno suggerito prudenza nel dibattito che si è sviluppato sui media cinesi. La segreteria di Stato Usa ha invece scelto di far leva sugli interessi della maggioranza dei paesi Asean di poter contare su una solida presenza di Washington come contrappeso alla proiezione regionale della Cina. Abbandonando la cautela dei suoi predecessori, il 23 luglio scorso Hillary Clinton ha messo in chiaro che la libertà di navigazione nel Mar della Cina meridionale è nell’“interesse nazionale” degli Stati Uniti, che, ha aggiunto, s’impegneranno a “facilitare iniziative di confidence building nell‟area”. La dichiarazione ha avuto ampia eco, suscitando il plauso di quei paesi – come il Vietnam – che hanno interesse a internazionalizzare la vertenza e a promuoverne una soluzione politica. Va notato peraltro che, come nota lo studio di Greg Austin “China’s Ocean Frontier”, il diritto internazionale e i precedenti fissati dalla Corte Internazionale di Giustizia tenderebbero a giustificare le rivendicazioni cinesi sugli arcipelaghi contesi delle Paracel e delle Spratly.

Il Mar della Cina meridionale è un crocevia geopolitico di enorme valore strategico: vi si trovano numerose zone di pesca e riserve ingenti di petrolio e gas naturale. Per le sue rotte commerciali passa metà dell’intero commercio marittimo di greggio e più del 50% dell‟intero flusso di merci mondiale, diretto verso (o proveniente da) giganti manifatturieri come Cina, Corea del Sud e Giappone.

Washington ha condotto una serie di importanti esercitazioni militari, fra cui l’operazione “Spirito invincibile” insieme alla marina di Seoul all‟indomani dell‟affondamento della nave sudcoreana Cheonan da parte di un siluro nordcoreano (Pyongyang nega però ogni coinvolgimento nell‟incidente). L‟esercitazione nel Mar Giallo, protrattasi per quattro giorni, ha visto schierati 20 vascelli, 200 velivoli e 8.000 uomini sotto il comando della portaerei nucleare George Washington. Di poco successiva è la visita della John McCain al porto vietnamita di Da Nang. Washington ha inoltre stipulato nuovi accordi di cooperazione militare con l’Indonesia.

Sul fronte dell‟assistenza allo sviluppo, la Clinton ha siglato con i ministri degli Esteri di Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam un accordo per l‟attivazione della Lower Mekong Initiative, che per il solo 2010 prevede fondi per circa 180 milioni di dollari a sostegno di iniziative nei campi della sanità, della tutela ambientale e dell’istruzione.

Pechino ha reagito con irritazione a queste iniziative americane. A luglio l’Esercito Popolare di Liberazione ha svolto un’esercitazione navale nel Mar Giallo, mentre a fine agosto per la prima volta un cacciatorpediniere cinese ha gettato l’ancora volta nel porto di Yangoon, segnalando un ulteriore approfondimento dei rapporti bilaterali con Myanmar. Il ministro degli Esteri cinese Yang Jiechi ha scelto di intervenire direttamente, ribadendo la posizione di Pechino: non soltanto la questione del Mar della Cina meridionale non deve essere internazionalizzata, ma non si configura neanche come una disputa tra Cina e Asean nel suo complesso. Soltanto alcuni dei Paesi membri dell’Asean, infatti, avanzano rivendicazioni e la dirigenza cinese è determinata ad affrontare la questione attraverso canali bilaterali.

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