Le relazioni tra Italia e Myanmar hanno radici solide che affondano nella storia del Piemonte, dal Regno di Sardegna a quello d’Italia. Molti furono i viaggiatori italiani che si avventurarono nei Regni di Ava e di Pegu, – i più noti della Birmania, oggi Myanmar – che nei racconti si imponevano come terra di pagode, di gemme preziose, di elefanti bianchi e come area di missioni. La presenza cristiana è accertata già nel 1287, ma soltanto nel 1554 giunsero i primi due missionari europei e tra il 1719 e il 1832 arrivarono i Barnabiti lombardi, con cinque piemontesi. Fu la Congregazione degli Oblati di Maria Vergine (OMV), fondata a Carignano nel 1816 da Pio Bruno Lanteri, a indirizzarsi alle missioni in Birmania e nel 1838 partì per primo il cuneese Enrici, cui seguirono venticinque missionari Oblati. Per lo storico padre Claretta, la missione in Birmania si distinse come “la parte più bella, più eroica della storia della Congregazione”. Tra gli Oblati merita di essere ricordato Padre Paolo Abbona che lo studioso birmano Vivian Ba nel 1963 attraverso le colonne del The Guardian definì “the greatest and most Burmanised of the Oblates of Turin”.
Nato a Monchiero – un paese di Langa in provincia di Cuneo – il giovane Oblato si imbarcò a Genova nel 1839, diretto in Birmania, ove operò fino al 1873. Guadagnatosi la stima e la fiducia del re e della corte di Amarapura, il missionario, che conosceva sette lingue, già nel 1841 ricevette l’incarico di tradurre dall’inglese in birmano lettere riservate, con l’onore di leggerle per primo.
La graduale penetrazione inglese nell’area asiatica era in atto fin dal Settecento e l’India si profilava come meta “eletta”, destinata a divenire, come scrive lo storico indiano Pannikar, “uno Stato imperiale al centro di tutto un sistema politico nel Sud Asia”. Per consolidare la loro espansione, gli inglesi rivolsero un interesse particolare alla Birmania: a forti tensioni si alternarono così aspre guerre. Fu proprio nella seconda guerra anglo-birmana (1852-54) che il sovrano affidò una delicata mediazione a Padre Abbona: “Ci mandò con grande onore, la nave tutta indorata, perfino i remi, e cinquanta rematori e così potemmo arrivare… incontrammo gli inglesi, e tornare indietro in soli 14 giorni… Fummo abbastanza fortunati per far cessare le ostilità… non mi riuscì di concludere la pace, essendo esorbitanti le domande degli inglesi… se non si fece la pace, neppure vi è la guerra e spero che gli affari si aggiusteranno.” Divenuto sovrano il principe Mindon Min, per amicizia e consolidate frequentazioni, offrì ben presto al missionario “licenza di andarlo a trovare in qualunque ora senza alcuna formalità, (ed) entrare nel suo gabinetto privato”. Non tardarono anche i riconoscimenti inglesi: “Quando venni in Europa – nel 1856 – il Vice-Re delle Indie Inglesi, lord Canning, passando per Calcutta, mi fece chiamare, si trattenne molto meco, mi ringraziò di quanto avevo fatto per mantenere la pace tra i due Governi, e più scrisse in mio favore al conte di Cavour… in Torino il conte di Cavour mi trattò così bene, mi invitò a pranzo e mi diede molta confidenza”. Al suo primo rientro, oltre all’incontro con Cavour e Vittorio Emanuele II, Padre Abbona fu ricevuto da Pio IX, insieme ad inviati birmani, che offrirono omaggi dell’imperatore. Nel dicembre del 1856 Padre Abbona si vide conferire la nomina a Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro «sulla proposizione del Presidente del Consiglio dei Ministri (Cavour)… e in considerazione di benemerenze acquistate alla stima e benevolenza» del sovrano.
Mentre gli inglesi erano intenti a sedare la ribellione del Bengala e esponenti birmani intendevano riguadagnare il Pegu, Padre Abbona si attivò fermamente per trasformare l’armistizio in trattato di pace. Il primo ministro inglese Lord Palmerston e il governatore delle Indie di Calcutta invitarono il re d’Italia a riconoscerne l’abilità diplomatica tesa “ad impedire che si riprendessero le ostilità fra gli Inglesi e i Birmani, … il governo di S. Maestà la Regina (Vittoria) di Gran Bretagna e d’Irlanda fece conoscere che mercé l’efficace cooperazione (del religioso) l’armistizio fu convertito in accordo di pace, che assicura ad un tempo le libere vie ad un commercio importantissimo colle parti occidentali del Grande Impero Cinese”. Per questo nel 1863 Padre Abbona fu nominato Ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e nel 1868 ricevette il titolo di Commendatore nell’Ordine della Corona d’Italia, in riconoscenza dell’impegno diplomatico sempre espresso.
Fattivamente presente come medico nelle drammatiche epidemie di vaiolo e colera, agli empirici rimedi della medicina locale il missionario seppe affiancare farmaci che riceveva dai benefattori italiani, dalla Marchesa di Barolo a Silvio Pellico fino allo stesso Conte di Cavour, e anche con l’osservazione della volta celeste l’Oblato catturò la curiosità della corte, grazie agli strumenti di astronomia e di ottica, che Cavour gli faceva arrivare da Stoccarda:“Faccio di tutto… il professore di astronomia, benché non sia astronomo. Per dispensarmene avevo risposto al re che mi mancavano i globi e i libri, e il buon Re tosto fece spendere 600 franchi per due eccellenti globi inglesi, mi provvide di libri e io mi dovetti tosto mettermi a contemplare le stelle, ne scrissi un trattatello in cui spiegai in breve il sistema di Copernico, diedi un’estesa relazione di tutti i pianeti, parlai di tutte le costellazioni indicando il sito di ciascuna, riuscii coll’aiuto dei libri e coll’applicazione a poter determinare le eclissi di luna per qualunque anno”.
Come esploratore e geografo studiò il corso dei fiumi e riuscì ad aprire una comunicazione con la Cina e col Tibet (la strada di Bammò), intensificando la collaborazione con Cristoforo Negri, direttore della divisione consolare al Ministero degli Esteri, che darà vita nel 1867 alla prestigiosa Società Italiana Geografica. In qualità di Plenipotenziario del re di Sardegna e dell’imperatore dei Birmani, Padre Abbona predispose il Trattato di Amicizia e di Commercio tra i due Paesi, che, firmato poi nel 1871, contemplava anche libertà d’azione per i religiosi cattolici. Intensificò inoltre lo scambio di piante e sementi e poiché in Birmania non si conosceva né l’uva bianca né il vino bianco, introdusse magliuoli di vitigni piemontesi: per soddisfare la richiesta del re, si era rivolto al “Conte di Cavour, che in quel momento ricordavasi di essere agronomo e voleva mostrarsi tale…”. Come uomo di fede e messaggero di pace seppe costruire scuole, chiese, fabbriche ed ospedali. Rientrato per la seconda volta in Italia nel 1873, morì in umiltà a Boves (CN) nel 1874.
*Il presente articolo mira a offrire ai lettori di RISE un breve quadro sui trentatré anni vissuti da Padre Paolo Abbona in terra birmana, ampiamente indagati nel volume di A.M. Abbona Coverlizza e V.G. Cardinali, “Missionario e diplomatico., L’avventura di Padre Paolo Abbona Dal Piemonte alla Birmania”, Torino 2013.
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