A partire dagli anni Ottanta, le zone di frontiera del Sud-Est asiatico sono state sempre più spesso re-immaginate come zone di opportunità economica. Lo sviluppo e l’integrazione regionale vengono spesso presentati nel discorso politico come uno strumento chiave per ridurre la povertà, favorendo la crescita economica, e come un antidoto contro la violenza, la criminalità e altre attività illegali. Ma che aspetto ha e cosa significa ‘sviluppo economico’ nelle zone di frontiera colpite da conflitto e traffico di droga? Per rispondere a questa domanda, questo breve articolo prende in esame la trasformazione economica di Muse, una città dall’alto valore strategico al confine tra Myanmar e Cina, dimostrando come il mercato della droga (drug economy) si sia profondamente infiltrato nei sistemi di governo, nello sviluppo economico e nella vita quotidiana di Muse.
Il Myanmar è il secondo produttore mondiale di oppio/eroina illegale (dopo l’Afghanistan) ed è diventato uno dei maggiori produttori di metanfetamine. La produzione di droga si concentra nelle zone di frontiera con la Cina e la Thailandia.
Il confine tra il Myanmar e la Cina è stato ufficialmente chiuso per gran parte del periodo che va dall’indipendenza del Myanmar, nel 1948, alla fine degli anni Ottanta: sul versante cinese, il confine dello Yunnan con il Myanmar fu sigillato dal Presidente Mao come parte di una strategia di centralizzazione volta a riorientare la provincia verso l’interno. In Myanmar, le zone di frontiera erano sotto il controllo di una serie di organizzazioni armate in lotta contro il governo centrale. Durante questo periodo il commercio illecito di oppio divenne centrale per l’economia di guerra della regione, finanziando tutte le parti in conflitto.
Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta le dinamiche del conflitto sono cambiate significativamente, soprattutto in seguito al crollo del Partito Comunista della Birmania (Communist Party of Burma, CPB), nel 1989, e a una serie di cessate il fuoco concordati tra il governo del Myanmar e le organizzazioni etniche armate. Questi cambiamenti portarono un po’ di (fragile) stabilità in molte regioni di frontiera e furono accompagnati dalla decisione della giunta militare di liberalizzare, almeno in parte, l’economia del paese, aprendo i confini con la Cina e la Thailandia al commercio e agli investimenti nel tentativo di rivitalizzare l’economia nazionale. Al contempo, anche la Cina cercò di promuovere i legami transfrontalieri come parte di una più ampia strategia di integrazione economica nel Sud-est asiatico volta a stimolare lo sviluppo economico delle province dello Yunnan e del Sichuan, entrambe prive di sbocchi sul mare.
La città di Muse è stata il primo punto di attraversamento del confine verso la Cina a essere posto sotto il diretto controllo governativo ed è diventata di gran lunga il principale valico di frontiera del Myanmar. Oggi, nonostante il conflitto in corso nel nord del paese, Muse è attraversata da oltre l’80% del commercio lecito via terra tra Myanmar e Cina e, nell’ultimo decennio, è diventata anche un nodo importante del corridoio economico tra i due paesi: il China-Myanmar Economic Corridor, che rappresenta una parte essenziale della Belt and Road Initiative cinese.
Le città di confine Muse e Ruili sul confine tra Myanmar e Cina.
Affinché Muse funzioni efficacemente come snodo di frontiera, servirebbe mantenere una certa stabilità per poter garantire il flusso di merci e capitali. Data l’importanza strategica ed economica di Muse può forse sorprendere che la città continui a essere governata da un complesso e frammentato nesso di attori formali e informali anziché da un sistema di controllo statale più consolidato e centralizzato. Eppure, a dispetto della sua importanza, Muse rimane uno spazio estremamente fragile e un ricettacolo di attori, interessi, processi e ‘soluzioni’ di governance in cui l’economia illegale svolge un ruolo centrale. La rapida ascesa di Muse si inserisce infatti in una lunga storia di conflitti armati irrisolti, sovranità frammentata e flussi transfrontalieri illegali.
Un posto di blocco gestito dalle milizie locali nella periferia di Muse.
Una caratteristica distintiva di Muse è la proliferazione di milizie sostenute dall’esercito del Myanmar. Insieme o per conto di esso, queste milizie gestiscono i vari posti di blocco della città, tassando merci e persone in uscita e in entrata, e forniscono a militari e businessmen la forza muscolare necessaria per espropri di varia natura. Le milizie agiscono anche come importanti intermediari del commercio transfrontaliero, soprattutto grazie a molti dei loro leader che, provenendo da gruppi etnici minoritari di lingua cinese, non sono ostacolati dalle barriere linguistiche e culturali che invece limitano l’operato della maggior parte degli investitori o dei militari birmani. Ma il ruolo che le milizie hanno svolto e continuano a svolgere nel plasmare il processo di sviluppo di Muse si estende ben oltre i confini della città: nel corso degli anni esse hanno agito come forze controinsurrezionali e hanno presidiato le principali rotte commerciali e i siti di estrazione di risorse naturali in tutto il Myanmar settentrionale in cambio di opportunità economiche a Muse. Così, la città è diventata per diversi attori il fulcro di importanti introiti, un entrepôt che ha permesso alla giunta militare di sostenere i propri sforzi e assicurarsi il controllo di una regione di frontiera molto più ampia.
Il mercato della droga nel nord del Myanmar è diventato parte integrante della trasformazione economica di Muse e ha alimentato un intricato sistema di coalizioni, intermediazioni e accordi informali tra i militari e le milizie locali: il pesante coinvolgimento delle milizie in attività illegali ne ha permesso l’autofinanziamento e ha, quindi, alleggerito i bilanci militari, ma ha anche permesso alla giunta militare di esercitare un maggiore controllo su questi gruppi ottenendo un valido pretesto per attaccare chi dovesse “uscire dai ranghi”. D’altra parte, per le milizie il traffico di droga rappresenta un modo di generare le risorse necessarie a rafforzare la loro posizione nelle strutture di potere delle zone di frontiera. Così facendo le milizie hanno potuto acquistare armi indipendentemente dall’esercito, diversificare le loro attività commerciali legali e sviluppare le proprie reti clientelari, assumendo un ruolo di primo piano nell’economia di Muse con interessi commerciali che includono immobili, piccole fabbriche, compagnie di trasporto, casinò, stazioni di servizio e distributori di benzina. In questo processo, un importo considerevole di denaro è affluito informalmente dalle milizie – e dalle attività illegali a esse connesse – nelle mani dell’esercito, della polizia e dell’amministrazione governativa locale. Gran parte del bilancio delle autorità formali che operano a Muse deriva quindi da attività illegali o quantomeno ‘grigie’ svolte all’interno e attraverso la città.
Un distributore di benzina sulla strada principale per Muse. Molte delle stazioni di servizio sono di proprietà delle milizie locali sostenute dall’esercito.
La popolazione locale si ritrova dunque costretta a navigare costantemente tra l’illegalità e i sistemi informali di autorità pubblica. Ciò ha acuito la vulnerabilità dei cittadini di Muse, oggi esposti a violenze e intimidazioni da parte delle milizie locali che, sfruttando i loro legami con l’esercito e il più generale clima di impunità, ricorrono spesso alla coercizione per risolvere i propri problemi e perseguire i propri interessi commerciali. Eppure, nonostante gli abitanti di Muse non siano a favore del ruolo assunto dalle milizie, la posizione che esse ricoprono nell’economia politica della città ha fatto sì che esse siano talvolta viste come fonte di opportunità. Alcune persone si uniscono alle milizie per fare affari o per ottenere protezione. Entrare in una milizia, infatti, è un modo per i giovani di proteggersi dal reclutamento da parte dei gruppi armati e, per quanto illusorio, il senso di emancipazione che deriva dall’unirsi a una milizia e dall’imbracciare un’arma può essere particolarmente allettante per i giovani che vivono in un contesto caratterizzato da violenza, insicurezza, opportunità limitate e abusi regolari da parte delle autorità.
Queste dinamiche e le strutture di governance informale emerse a Muse a partire dalla fine degli anni Ottanta hanno creato un ambiente permissivo per il traffico e il consumo di droga. Lo stato di diritto viene costantemente sostituito dai privilegi e dalla protezione offerti da rapporti personali e politici: molte reti di spaccio all’interno della città sono collegate alle milizie locali, all’esercito o a entrambi e, di conseguenza, evadono facilmente controlli e denunce. La polizia continua a prendere di mira il traffico di droga, occupandosi però solo di tutte quelle persone che non hanno protezione o potere. E questo significa che gli attori principali del traffico di droga sono protetti, mentre i piccoli consumatori e venditori vengono puniti, spesso con lunghe pene detentive anche per reati minori. Al contempo, le droghe sono diventate relativamente economiche e di facile accesso, mentre l’educazione e il discorso pubblico sui problemi legati alla droga rimangono scarsi. In un tale contesto, il consumo di droga è diventato un modo per far fronte alle difficoltà (coping mechanism) che derivano dal conflitto armato, dagli sfollamenti e da lavori insicuri ed estenuanti. I livelli di consumo di droga a Muse sono elevati, così come lo sono i danni da esso causati (sebbene le cifre ufficiali non siano disponibili pubblicamente): dall’altro lato del confine, la città di Ruili ha il secondo più alto tasso di prevalenza di HIV in Cina.
La trasformazione di Muse in uno snodo strategico mette in discussione tutte quelle narrazioni che promuovono l’integrazione delle zone di frontiera nei mercati e nelle strutture politiche nazionali come un antidoto alla violenza, alla criminalità e alle attività illegali. La crescita di Muse a partire dalla fine degli anni Ottanta dimostra come, anziché portare all’estensione dello stato di diritto e delle istituzioni formali, i processi di sviluppo in zone di conflitto possano attingere e alimentare radicate strutture di governance informale ed economie di guerra criminalizzate.
Nel caso del Myanmar, l’illegalità è parte delle strutture politiche ed economiche del paese – in modo ancora più accentuato dopo il colpo di stato del febbraio 2021 – e queste dinamiche sono anche alla base della distribuzione estremamente diseguale dei costi e dei benefici derivanti dallo sviluppo delle zone di frontiera tra Myanmar e Cina. Per i militari, le milizie da essi sostenute e le imprese loro alleate, Muse è diventata uno spazio privilegiato. Per la popolazione civile, l’ambiente permissivo che circonda la violenza e l’illegalità ha causato molteplici forme di intimidazione e il moltiplicarsi di problemi legati al consumo di droga. A Muse, i benefici dello sviluppo si sono concentrati nelle mani di un piccolo gruppo di potere, mentre i costi sono stati socializzati, creando nuove fonti di arricchimento – e di vulnerabilità.
Questo articolo si basa su una ricetta condotta a Muse da Patrick Meehan e Sai Aung Hla nel 2019. La ricerca è stata finanziata dal Global Challenges Research Fund (GCRF) nell’ambito del Progetto “Drugs & (dis)order: building peacetime economies in the aftermath of war” (ES/P011543/1).
Per saperne di più
Goodhand, J., Meehan, P., Bhatia, J., Ghiabi, M. e Gutierrez Sanin, F. (2021) “Critical policy frontiers: The drugs-development-peacebuilding trilemma”. International Journal of Drug Policy, 89.
Meehan, P., Aung Hla, S. e Kham Phu, S. (2021) “Development Zones in Conflict-Affected Borderlands: The Case of Muse, Northern Shan State, Myanmar”. In: Chettri, M. e Eilenberg, M., (eds.) Development Zones in Asian Borderlands. Amsterdam University Press. Disponibile su: https://eprints.soas.ac.uk/34537/.
Su, X. (2022) “Smuggling and the exercise of effective sovereignty at the China-Myanmar border”. Review of International Political Economy, 4.
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