Questo policy brief analizza le previsioni economiche delle Filippine e l’iniziativa federalista dell’amministrazione Duterte. L’obiettivo è quello di valutare alcuni dei successi e dei fallimenti dell’amministrazione nel 2019, anno che coincide con la prima metà del mandato. Il pezzo prova a tracciare gli scenari futuri, in particolare nel periodo successivo alle elezioni legislative di metà mandato.
Evidenza e analisi
L’economia: bene, ma non troppo
Nei primi mesi della sua amministrazione Duterte adottò il piano Ambisyon2040, il progetto di sviluppo di lungo termine del Paese che, in realtà, affonda le sue origini nella precedente amministrazione di Benigno Aquino III. Perseguendo il medesimo percorso, Duterte riuscì con successo a dare un chiaro segnale di continuità e stabilità. L’ex sindaco di Davao City aveva ereditato un’economia in salute che continuava a percorrere un trend di straordinaria espansione e che avrebbe fatto registrare – nel momento in cui si scrive – ottanta trimestri consecutivi di crescita ininterrotta (Fig.1).
Tra le riforme più importanti promosse dall’amministrazione in carica vi sono la Tax Reform for Acceleration and Inclusion (TRAIN1) Act (Republic Act No. 10963), l’Ease of Doing Business Act (RA No. 11032) – “che riducono il numero di giorni necessari a valutare permessi e licenze per tutte le transazioni relative ad attività economiche”, l’“Universal Access to Quality Tertiary Education Act” del 2017, il quale consente l’accesso gratuito alle scuole e alle università statali e, infine, la legge sui brevetti in agricoltura e quella sulla nuova determinazione dei prezzi del riso[1].
Nel momento in cui si scrive, l’economia delle Filippine rimane sostanzialmente forte. La Banca asiatica di Sviluppo ha lasciato invariate le sue proiezioni di crescita al 6,8 e al 6,9%, rispettivamente nel 2018 e nel 2019[2]. Nel suo recente Philippines Update Report, la Banca Mondiale ha anch’essa riconosciuto che le prospettive di crescita del Paese rimarranno solide. Tuttavia, dovessero risultare vere, queste proiezioni sarebbero comunque più basse rispetto all’obiettivo del 7-8% che il Governo aveva fissato nel 2018 e che sarebbe dovuto durare fino al termine del mandato di Duterte [che scadrà nel 2022, N.d.T.][3].
Inoltre, nell’aprile 2019, l’Istituto di statistica filippino ha comunicato che nel 2018 la percentuale di poveri è calata al 21%, dal 27,6% del 2015. In termini numerici, quasi 5,7 milioni di cittadini filippini si sono affrancati dalla povertà nel giro di tre anni. Sono comunque pochi, anche all’interno del Governo, coloro che credono che sia un risultato da celebrare, giacché adesso molti comprendono che la soglia di povertà del Paese – ovvero, la linea che definisce chi è povero da chi non lo è – è draconiana. In media, una famiglia composta da cinque persone che supera i 10.481 pesos al mese di reddito non è considerata come povera. Al contrario, così si può dire per quel nucleo famigliare – della medesima composizione – che percepisce 2.620 pesos (cinquanta dollari statunitensi) a settimana oppure 374 pesos (sei dollari) al giorno.
Incrociando le cifre ufficiali della povertà con gli indicatori autostimati della povertà otteniamo un’istantanea di lungo periodo leggermente più completa che indica la percezione che i filippini hanno della povertà (cfr. Fig. 2). Il livello di percezione di povertà è diminuito a partire dal periodo di Ferdinand E. Marcos, quando circa due filippini su tre si consideravano poveri. Attualmente, il valore è di uno su due. Chiaramente, tale livello non è calato in misura sufficientemente drastica nel corso dei decenni, in particolare in questo ultimo periodo di forte crescita economica.
C’è anche una fotografia contrastante relativa agli investimenti e alla creazione di posti di lavoro. Al gennaio 2018, il numero di disoccupati e di sottoccupati si attestava, rispettivamente, a 2,3 e a 7,5 milioni, andando a sommarsi ai circa dieci milioni di persone disoccupate o sottoccupate in tutto l’arcipelago, su quarantaquattro milioni di lavoratori che rientrano nella popolazione attiva. Nei primi due anni di amministrazione Duterte sono stati creati quasi ottocentomila nuovi posti di lavoro, ma questo dato non tiene conto dei posti di lavoro perduti per via, ad esempio, del processo di automazione della manifattura e del settore dei servizi. Il tasso di “creazione netta di lavoro” deve essere monitorato dal Governo, in particolare nel contesto attuale della “Quarta rivoluzione industriale”.
Gli analisti vedono le Filippine come un potenziale leader in Asia in quei settori economici che fanno leva sull’analisi dei dati complessi e sull’Internet of Things, entrambi parti integranti dell’espansione economica che ci si aspetta dalla Quarta rivoluzione industriale. Ad ogni modo, rimane da vedere se e in che misura le Filippine saranno in grado di competere a fronte di carenze logistiche e infrastrutturali e in presenza di prezzi energetici non competitivi.
Da un altro fronte, si è assistito a un balzo degli investimenti esteri diretti (IDE), sul breve termine, di circa dieci miliardi di dollari nel 2017[4]. Questo dato riflette la fase favorevole di crescita che affonda le proprie radici negli anni passati e non si tratta semplicemente di un risultato dell’amministrazione Duterte. Al contrario, esso si pone in perfetta continuità con quello fatto registrare dai suoi predecessori, sebbene rimanga comunque basso se comparato con quello dei suoi vicini della regione: nel medesimo anno di riferimento, oltre venti miliardi di dollari di IDE in Indonesia, oltre dodici miliardi in Viet Nam e dieci miliardi in Thailandia[5]. Più preoccupante è, forse, l’atteggiamento attendista che emerge da molti investitori (o potenziali re-investitori) a causa del secondo segmento della riforma fiscale TRAIN2 proposta dal Governo, in particolare la sezione relativa agli incentivi fiscali garantiti dagli investitori[6]. A complicare il quadro vi sono anche i notevoli rischi collegati alle agenzie di rating del credito e, secondo gli analisti, al possibile passaggio a un sistema di Governo federale[7], del quale tratteremo più avanti (cfr. Fig. 3).
Il federalismo: verso una nuova Costituzione?
Presieduto dall’ex presidente della Corte Suprema Reynato Puno, il “Comitato consultivo per la revisione della Costituzione liberale del 1987” ha meno di sei mesi per redigere la bozza della cosiddetta “Costituzione Bayanihan[8]” – nome proposto per la nuova Carta costituzionale – che fu presentata dal presidente Duterte il 3 luglio 2018, poco prima del suo discorso sullo “Stato della Nazione”[9]. La bozza contiene importanti riforme che l’attuale Carta aveva previsto ma che necessitavano dell’approvazione del Congresso. Tra queste, vi sono una clausola che regola le dinastie politiche[10], disposizioni per promuovere una riforma dei partiti e regole per porre rimedio al trasformismo. Tutte queste trovano ora spazio nella nuova proposta di testo e hanno efficacia diretta. Tali misure non sono in realtà relative al federalismo, ma riprendono quelle riforme di lunga data che avrebbero dovuto rendere più democratico il sistema e che avrebbero richiesto l’approvazione del Congresso. È chiaro che il corpo legislativo ha fallito in questo intento, andando così a detrimento di una piena attuazione dei principi democratici previsti dalla Costituzione del 1987.
La Costituzione Bayanihan tenta, inoltre, di aprire le porte all’abrogazione delle restrizioni economiche incorporate nell’attuale Carta, così come le disposizioni volte a ridisegnare il sistema di governo regionale, che intendono creare agglomerati su base regionale che potrebbero generare effetti sia positivi sia negativi. La formazione di governi regionali, e di altre agenzie governative come ad esempio nuovi tribunali, ha comunque avuto l’effetto di produrre una risposta decisa da parte degli economisti, inclusi quelli che lavorano nell’amministrazione Duterte.
La National Economic and Development Authority guidata (fino all’aprile 2020, N.d.T.) dal segretario Ernesto Pernia ha rilevato che il federalismo potrebbe creare qualche scompiglio nell’economia filippina, facendo aumentare la spesa e il deficit fiscale[11]. Il segretario al Tesoro, Carlos Dominguez III, ha successivamente aggiunto ulteriore benzina sul fuoco facendo notare che il rating di credito, che attualmente si trova allo stato “investment grade”, e i tassi di interesse stabili, “andranno al diavolo” nel caso in cui la nuova bozza di Costituzione dovesse essere approvata[12]. Persino ricerche più recenti pubblicate dalle agenzie di rating Moody’s e Fitch hanno destato qualche preoccupazione sulla riforma dello Stato in senso federalista, non escludendo la possibilità di applicare un declassamento del rating[13].
Al netto delle discussioni sostanziali relative al contenuto della bozza, subentrano ulteriori preoccupazioni relative al processo e alla governance verso cui il federalismo è spinto. Probabilmente con l’obiettivo di intorbidare le prospettive di riforma, alla fine del 2018 la Camera dei Rappresentati delle Filippine approvò in terza e ultima lettura la “propria versione” della Costituzione che, tra le altre cose, non comprendeva una legge contro le dinastie politiche e rimuoveva il limite di mandati per i politici[14]. Queste sono tra le principali riforme concepite dalla Commissione della Costituente nominata dal presidente Duterte. Tutto ciò ha creato delle spaccature all’interno della vasta alleanza di Governo e ha fatto emergere parecchie fratture nella cosiddetta “coalizione super-maggioritaria”. Un altro elemento di contrasto all’interno della coalizione medesima fu la controversa approvazione del budget 2019 – non votato entro la fine dell’anno fiscale precedente – e il ricorso al veto del presidente sul provvedimento cosiddetto “della botte di maiale”[15].
Implicazioni di policy e raccomandazioni
Quo vadis?
Il più pragmatico ed efficace modo per l’amministrazione Duterte di andare avanti è probabilmente, da una parte, quello di continuare a percorrere con decisione la strada delle riforme economiche che vadano a promuovere la crescita e uno sviluppo più inclusivo; dall’altra, invece, quello di correggere il corso degli eventi su alcune politiche che hanno chiaramente iniziato a mostrare profonde distorsioni. I partner europei delle Filippine dovrebbero tener conto delle seguenti raccomandazioni:
Traduzione dall’inglese a cura di Raimondo Neironi
Note bibliografiche
[1] Cfr. Chikiamko, C. (2019), “A Cornucopia of Legislation”, BusinessWorld, 7 aprile; Avendaño, C. (2018), “Palace Releases Report on Duterte administration’s Achievements for Past Year”, Philippines Daily Inquirer, 21 luglio.
[2] I tassi reali di crescita nel 2018 e nel 2019 sono stati, rispettivamente, del 6,3% e del 6% (fonte: Banca asiatica di Sviluppo – Key Indicators for Asia and the Pacific 2020 Country Tables, disponibili online al link file:///C:/Users/COMP_1/Desktop/phi-key-indicators-2020_0.pdf).
[3] Banca Mondiale (2019), Philippines Economic Update: Safeguarding Stability and Investing in the Filipino, Washington, D.C., disponibile online al link https://openknowledge.worldbank.org/handle/10986/31505; Cigaral, I. (2018), “ADB Keeps Growth Outlook, Raises Inflation Forecast for Philippines”, PhilStar, 19 luglio.
[4] Cfr. i dati del 2018 pubblicati sul sito del Bangko Sentral ng Pilipinas, la Banca centrale delle Filippine.
[5] Cfr. i dati forniti dalla Banca Mondiale disponibili al link https://data.worldbank.org/indicator/BX.KLT.DINV.CD.WD?locations=ID-TH-VN-PH.
[6] Cuaresma, B. (2018), “Upbeat on Long Term: FDI Rise 43.5% in Q1”, Business Mirror, disponibile online al link https://businessmirror.com.ph/2018/06/11/upbeat-on-long-term-fdi-rise-43-5-in-q1/.
[7] Leyco, C. (2018), “Interest Rates ‘Will Go to Hell’ Under Federalism – Dominguez”, Manila Bulletin, 9 agosto, disponibile online al link https://mb.com.ph/2018/08/09/interest-rates-will-go-to-hell-under-federalism-dominguez/.
[8] Questa parola tagalog deriva dalla radice bayan, che significa “città” o “nazione”. I politologi ne hanno esteso il significato al contesto politico e amministrativo, intendendo descrivere un popolo che condivide il lavoro e le risorse per il bene di tutta la comunità e nel segno della fratellanza [N.d.T.].
[9] Il testo della bozza è disponibile online al link https://www.philstar.com/headlines/2018/07/09/1832024/full-text-consultativecommittees-draft-federal-constitution.
[10] Per approfondire questo aspetto, si faccia riferimento all’articolo di Raimondo Neironi contenuto in questo numero [N.d.R.].
[11] Rivas, R. (2018), “Federalism Will ‘Wreak Havoc’ on Philippine Economy – Pernia”, Rappler, 17 luglio, disponibile online al link https://www.rappler.com/business/federalism-bad-for-economy-ernesto-pernia.
[12] Leyco, C., op. cit.
[13] Moody’s (2018), “Moody’s Affirms Philippines’ Baa2 Rating, Maintains Stable Outlook”, 20 luglio, disponibile online al link https://www.moodys.com/research/Moodys-affirms-Philippines-Baa2-rating-maintains-stable-outlook–PR_385740.
[14] Mentre pubblichiamo (aprile 2021), il processo di “Charter change” (denominato anche “Cha-cha”) è ancora in corso. In entrambe le Camere del Congresso filippino si stanno discutendo gli emendamenti costituzionali agli articoli della Costituzione che fanno riferimento alle disposizioni in materia economica. L’obiettivo dell’amministrazione e della maggioranza parlamentare è di attirare quanti più investitori esteri possibili per rilanciare l’economia e gli investimenti nelle Filippine. Per aggiornamenti quotidiani sullo stato di modifica costituzionale, si rimanda all’articolo di Rappler, costantemente aggiornato e disponibile online al sito https://www.rappler.com/nation/charter-change-debates-philippines-updates-videos-analysis (N.d.T.).
[15] Nelle Filippine, così come in altri Paesi, il termine “botte di maiale” è utilizzato in riferimento ai fondi pubblici utilizzati da ciascun rappresentante della Camera e del Senato per la costruzione o il finanziamento di determinanti progetti da realizzare nelle proprie circoscrizioni elettorali. Questi fondi non sono soggetti all’approvazione né del legislatore né dell’organo esecutivo dello Stato [N.d.T.].
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