Le sanzioni sono spesso utilizzate come strumento di pressione economica e politica da parte degli stati, con l’obiettivo di influenzare il comportamento di altri paesi. L’efficacia di tali misure, tuttavia, è spesso oggetto di dibattito, come recentemente dimostrato dalle valutazioni che hanno accompagnato le sanzioni alla Russia in conseguenza dell’invasione militare dell’Ucraina. Le critiche si sono concentrate soprattutto sul fatto che, nonostante tutte le sanzioni imposte, Mosca è ancora in grado di acquistare prodotti sui mercati internazionali e che l’economia russa non è al collasso. Tuttavia, questi non sono mai stati gli obiettivi delle sanzioni, in questo caso come così in quelli precedenti in cui sono state applicate. Anche quando sono state adottate misure restrittive durissime – come ad esempio nei confronti dell’Iraq di Saddam Hussein, o più recentemente contro Corea del Nord, Iran, e Venezuela – non si è assistito al collasso dell’economia dell’intero paese. Banalmente, le sanzioni non hanno né intendono avere un tale potere.
In termini generali, le sanzioni possono essere uno strumento di politica estera che, applicato in contemporanea ad altre misure come la diplomazia, gli aiuti economici e la forza, possono avere tre funzioni. La prima è quella di favorire il cambiamento di comportamento da parte di stati ed attori che sono presi di mira dalle sanzioni. La seconda è quella di impedire che un comportamento indesiderato si verifichi anche nel caso in cui i bersagli delle sanzioni mantengano la volontà di perseguire certe politiche. Infine, la terza funzione è quella forse più complessa e riguarda la comunicazione di segnali verso i bersagli, ma anche verso tutti gli attori della comunità internazionale riguardo, ad esempio, l’importanza di una norma e circa i costi che si possono incorrere violandola.
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno applicato sanzioni nei confronti della Russia in modo continuo e incrementale dal febbraio 2022, tenendo in considerazione sia i potenziali effetti sul conflitto in corso che le possibili ricadute economiche, in primis sull’Europa, ma anche su stati alleati e sull’economia mondiale. Ad oggi, i risultati sono sostanzialmente allineati con le intenzioni, ovvero un moderato impatto sull’economia russa in generale, e uno più marcato sulla filiera produttiva che sostiene lo sforzo bellico in Ucraina. Circa il primo dei due punti, la caduta del PIL russo di un massimo di 2,5 punti nel 2023 (secondo le stime OCSE), l’inflazione oltre l’11%, l’erosione delle riserve valutarie e il crollo del commercio e dei profitti derivante dalla vendita degli idrocarburi sono risultati certamente attribuibili anche al complesso regime di sanzioni imposto da Stati Uniti ed Unione Europea. Gli effetti sulla seconda dimensione, ovvero la capacità della Russia di sostenere lo sforzo bellico, sono dimostrati dalla necessità di Mosca di acquistare munizioni da Iran e Corea del Nord, ma anche dalle difficoltà nel reperire semiconduttori specifici per la produzione di sistemi militari complessi.
Il fatto che le sanzioni siano in parte la causa di effetti desiderati non significa che non vi siano problemi. Ad esempio, le sanzioni, come ogni altra proibizione, vengono aggirate in una certa misura. Esistono prove empiriche che certe forniture proibite siano comunque entrate in territorio russoe che il prezzo di vendita del petrolio russo sia spesso oltre il price cap indicato dai paesi del G7. Considerando la capillarità delle misure applicate, vi sono una miriade di attori coinvolti in grado di trarre profitto da pratiche illecite disegnate per eludere le sanzioni. Inoltre, le sanzioni non sono imposte da tutti gli stati, ma solo da alcuni, pertanto la Russia dispone ancora di molti partner commerciali sia per le esportazioni che per le importazioni, anche di equipaggiamento militare, come i giubbotti antiproiettili provenienti dalla Cina.
L’aggiramento delle sanzioni però non deve essere confuso con un fallimento delle sanzioni tout court, poiché va stabilito quanto ampio ed efficace è tale aggiramento. La novità del regime di sanzioni imposto alla Russia è che l’evasione delle sanzioni è seriamente combattuta anche dall’Unione Europea, una fattispecie che pone il caso russo a parte rispetto ai precedenti. Mentre gli Stati Uniti sono attivi in questa direzione già da alcuni anni, il problema non era ancora stato seriamente affrontato da Bruxelles. In ambito europeo, l’enforcement delle sanzioni è di competenza degli stati membri e, pertanto, non si è mai ritenuto che se ne dovesse parlare a livello comunitario al di là delle istruzioni inviate alle autorità nazionali competenti. A partire dall’ottavo pacchetto di sanzioni imposte dall’Unione Europea alla Russia (su undici in totale a oggi) si è iniziato a parlare esplicitamente di evasione come un problema serio per l’efficacia delle misure restrittive, e per la prima volta si sono previsti procedimenti anche penali diretti agli individui responsabili di azioni atte a favorire l’evasione dalle misure restrittive. Da un lato, l’Unione Europea prevede di adottare sanzioni contro attori extra-europei che si adoperino per violare le misure restrittive anche operando fuori dai territori dell’Unione e, dall’altro, le autorità nazionali promettono di giocare un ruolo più attivo nel combattere l’evasione. Nelle ultime settimane, ad esempio, le autorità dei Paesi Bassi hanno arrestato un uomo sospettato di aver organizzato un traffico di computer verso la Russia utilizzando paesi terzi, come Uzbekistan e Kirghizistan, per nascondere la vera destinazione dei prodotti commerciati.
Nessuna sanzione può avere un impatto completo o perenne. Come scritto sopra, le sanzioni non sono disegnate per un isolamento totale dell’intera economia russa. Molti prodotti non sono mai stati proibiti, come ad esempio i beni umanitari oppure i beni necessari per il funzionamento delle telecomunicazioni civili, e gli operatori economici possono richiedere la licenza all’esportazione in numerosi casi, come in quello dei beni a duplice uso non utilizzati per scopi militari In secondo luogo, i bersagli delle misure restrittive si adoperano per aggirare in maniera creativa i vincoli e, pertanto, le sanzioni necessitano di un costante aggiornamento come dimostra l’adozione frequente di nuovi pacchetti sanzionatori (undici in soli diciotto mesi).
Abbiamo detto che le sanzioni stanno avendo l’impatto che intendono avere, ma i costi sono proporzionali ai risultati? La valutazione dell’opportunità di utilizzare le sanzioni piuttosto che altri strumenti di politica estera non può prescindere da considerazioni più generali, ad esempio dal costo delle potenziali alternative che si potrebbero adottare per perseguire i medesimi fini. Ho fatto prima un breve cenno all’attenzione che i governi hanno prestato alle possibili ricadute economiche delle sanzioni sugli stati membri. Se è vero infatti che le decisioni prese contro la Russia sono state molto dure, è altresì vero che la Commissione Europea ha adottato una gradualità necessaria a gestire le conseguenze che sarebbero state causate dall’interruzione totale ed immediata dei rapporti economici con la Russa. Questo ha permesso di contenere i costi dovuti alle sanzioni, al netto di un rincaro del prezzo dell’energia nel 2022, e di gestire una transizione che ha portato l’Unione Europea a rompere la dipendenza dal gas di Mosca senza minare il supporto degli elettori alle sanzioni. Per quel che riguarda il petrolio, invece, l’introduzione del price cap da parte dei paesi del G7 ha permesso al petrolio russo di continuare a essere scambiato sui mercati, ma ha creato un meccanismo per contenere il prezzo che, quindi, contribuisce a tenere sotto controllo il costo dell’energia. Benché ci siano vari tentativi di evadere queste misure, essi non hanno un impatto decisivo sul prezzo del petrolio e quindi fanno sì che i costi delle sanzioni siano limitati.
Quali altri misure di politica estera avrebbero potuto raggiungere gli obiettivi delle sanzioni, ovvero contenere l’aggressività militare della Russia, con costi comparabili? Difficile dirlo, ma certamente si possono fare delle ipotesi. Partendo dal presupposto che il canale diplomatico è sempre rimasto aperto, l’alternativa più percorribile sarebbe stata quella di mandare ulteriori aiuti militari all’Ucraina. Ammesso e non concesso che vi fosse una sufficiente disponibilità di materiale militare, ciò non sarebbe stato necessariamente più economico, ma avrebbe potuto essere accompagnato da un maggiore rischio di escalation. Sarebbe stato possibile allora fare di meglio graduando diversamente le sanzioni? Da un lato, restrizioni più blande (o al limite nulle) avrebbero reso più facile per Mosca acquistare quelle risorse utili per sostenere l’invasione. Dall’altro, sanzioni più stringenti avrebbero causato un costo molto più alto sia agli stati europei che ad altri stati colpiti in maniera indiretta. Il problema principale di questo secondo scenario sarebbe stato il fornire a questi paesi terzi un incentivo maggiore a instaurare rapporti commerciali diretti con la Russia, vanificando quindi nel medio periodo gli effetti delle misure restrittive. In conclusione, si può affermare che le sanzioni utilizzate dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti e da altri paesi alleati hanno certamente avuto un impatto negativo sulla capacità di Mosca di condurre la guerra contro l’Ucraina. Le misure restrittive stanno limitando le capacità militari della Russia a un costo accettabile per gli stati Europei e i loro alleati. Naturalmente, le sanzioni da sole non sono in grado di risolvere la situazione: sono invece solo uno dei tanti strumenti dispiegati nella gestione della crisi. Benché esse siano certamente migliorabili sia in termini di formulazione che di attuazione, trovare un’alternativa alle sanzioni che porti a risultati simili richiederebbe una notevole immaginazione.
L’efficacia delle sanzioni è un tema complesso e soggetto a diverse interpretazioni. Pur sostenendo che le sanzioni dirette alla Russia stanno raggiungendo i loro obiettivi, è importante tenere presenti i limiti e le sfide associate a queste misure. Le sanzioni possono avere un impatto significativo sul comportamento dei paesi destinatari, ma possono anche comportare conseguenze indesiderate per altri attori internazionali e per l’economia globale nel suo complesso. Nel caso specifico, restano da valutare le conseguenze di medio-lungo periodo delle sanzioni contro Mosca. Ad esempio, le sanzioni finanziarie sono basate anche sul fatto che molti contratti siano stipulati in dollari americani, quindi si teme che i paesi simpatizzanti con le ragioni della Russia o motivati da un sentimento anti-americano si possano attrezzare per ridurre la dipendenza dal dollaro (e dall’euro) in futuro. Tuttavia, nonostante alcune iniziative in questo senso – come quelle adottate dai paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) – la de-dollarizzazione globale sembra ancora lontana dall’avvenire. Il dollaro rimane una valuta pratica e il suo utilizzo comporta vantaggi economici tangibili, come quello dei bassi costi di transizione da un’economia ad un’altra e l’affidabilità legata al potere d’acquisto di una moneta. Gli attori internazionali interessati a proporre un’alternativa dovrebbero costruirne una adeguatamente competitiva per incoraggiare una transizione, e si tratta di un obiettivo non facile da conseguire. Un’altra conseguenza di medio-lungo periodo potrebbe essere la ‘balcanizzazione’ dell’economia mondiale. Preoccupati dall’esuberanza mostrata da Washington e Bruxelles nell’utilizzare l’arma economica contro Mosca, alcuni paesi potrebbero decidere di riconsiderare accordi commerciali e dipendenze economiche con l’Occidente per prevenire eventuali sanzioni future. Questo scenario rappresenterebbe un cambio decisivo dell’economia internazionale rispetto a quella creata alla fine della Seconda Guerra Mondiale con gli accordi di Bretton Woods, con effetti tutti difficili da immaginare.
Non è detto però che le sanzioni attuate contro la Russia generino necessariamente conseguenze negative. Uno scenario più ottimista è quello in cui le sanzioni potrebbero ritornare a essere viste come uno strumento di sicurezza collettiva garantito dagli stati più influenti nel sistema internazionale. La diversificazione economica e l’interdipendenza potrebbero rimanere principi cardine della ‘nuova’ globalizzazione prodotta da un rinnovato dialogo tra gli stati.
Per saperne di più:
Giumelli, F. (2023) Le sanzioni internazionali: Storia, obiettivi ed efficacia. Il Mulino.
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