Il Kosovo, tra il 2012 e il 2019, ha rimpatriato 242 cittadini su un totale di 355 soggetti che hanno viaggiato verso la Siria e l’Iraq per unirsi allo Stato Islamico (ISIS). Proprio dal 2019 ha attivato in modo più regolare un processo di contrasto all’estremismo violento (countering violent extremism, CVE) che prevede un programma di de-radicalizzazione e reinserimento per le persone rimpatriate da aree di conflitto quali Siria e Iraq. In generale, le pratiche di CVE sono definite come un insieme di attività non coercitive e volontarie, attuate attraverso progetti sia governativi che della società civile, con l’obiettivo di scoraggiare ideologie estremiste nei soggetti coinvolti e a fornire loro opportunità di inclusione sociale.
Il contrasto all’estremismo violento prende forme molto diverse a seconda dei contesti, ma è fondamentale sottolineare che la stragrande maggioranza delle strategie di CVE fatica a considerare le donne come potenziali estremiste violente da sottoporre alle pratiche di controterrorismo e de-radicalizzazione assegnando loro il ruolo prevalente di vittime. Il ruolo delle donne all’interno delle organizzazioni terroristiche indica, però, che queste dovrebbero essere trattate anche come soggetti combattenti. Ignorare il coinvolgimento attivo, finanche violento, delle donne avvantaggia le organizzazioni terroristiche e riduce l’efficacia delle misure di contrasto, danneggiando la sicurezza nazionale e internazionale: escludere aprioristicamente un genere porta inevitabilmente a una serie di lacune. In primo luogo le donne possono approfittare degli stereotipi di genere per evadere i controlli o evitare di essere perseguite per le loro attività, incluse quelle violente. Inoltre limitare il sostegno e la riabilitazione forniti alle donne le può esporre a un rischio maggiore di ri-radicalizzazione e minare le loro possibilità di reinserimento nella società. In questo senso gli sforzi di contrasto all’estremismo violento e di de-radicalizzazione dovrebbero riconoscere i ruoli, variegati e mutevoli, che le donne assumono (o hanno assunto) all’interno delle organizzazioni terroristiche.
Anche in Kosovo i gruppi estremisti sono spesso visti come un’esclusiva maschile. Eppure il numero di donne che sono migrate in Siria e in Iraq dai Balcani occidentali per unirsi allo Stato Islamico dimostra il contrario: nello specifico le donne kosovare sono state 55 su un totale di 355 soggetti. La maggior parte di queste ha svolto ruoli domestici nelle fila dell’ISIS ma, essendo quella formata dallo Stato Islamico una società violenta e militarizzata, questi ruoli non sono da considerare meno brutali e pericolosi rispetto alle posizioni più direttamente collegate all’uso della forza. Inoltre, queste donne erano e continuano a essere esaltate dallo Stato Islamico come attrici essenziali per il mantenimento dell’ideologia estremista e dell’esistenza dello Stato in sé, attraverso l’educazione dei figli e delle figlie e il mantenimento e la cura delle reti sociali che compongono l’organizzazione terroristica.
Poiché le donne rimpatriate in Kosovo possono rappresentare una minaccia alla sicurezza del paese e non afferire esclusivamente alla categoria delle vittime, è necessario analizzare se il modo in cui con cui il paese affronta la minaccia estremista del terrorismo violento includano efficacemente le donne – e sia quindi una modalità gender sensitive – o, al contrario, le ignori – risultando gender blind.
Il Kosovo è un paese che combatte il terrorismo attraverso una stretta cooperazione con gli Stati Uniti e con la sua partecipazione alla Coalizione Internazionale per combattere l’ISIS. Fino al 31 dicembre 2018, 132 individui che hanno fatto parte dello Stato Islamico in Siria e in Iraq sono rientrati in Kosovo per lo più in maniera indipendente. La maggior parte di questi sono uomini accusati, condannati e incarcerati per reati connessi al terrorismo. Nello stesso lasso di tempo sono state registrate solamente 6 donne e 6 bambini, che però il governo kosovaro ha scelto di non incriminare e quindi non processare. Il punto di svolta per lo stato kosovaro rispetto alle politiche di contrasto all’estremismo violento e de-radicalizzazione è avvenuto nell’aprile del 2019, quando il paese ha deciso di rimpatriare in maniera controllata 110 cittadini, tra cui 34 donne. A seguito di tale rimpatrio gli uomini adulti sono stati immediatamente detenuti in attesa di giudizio, mentre le donne, insieme ai bambini, sono state trattenute per 72 ore sulla base di un piano di emergenza focalizzato sulla valutazione sanitaria e psicologica di tali soggetti. Benché successivamente le donne siano state autorizzate a tornare a casa insieme ai figli, esse sono state comunque sottoposte agli arresti domiciliari, a dimostrazione del fatto che le autorità kosovare hanno preso in considerazione la possibilità che anche le donne che hanno vissuto nel “califfato” costituiscano una potenziale minaccia.
L’operazione messa in atto dal Kosovo nel 2019 prevede un piano di de-radicalizzazione e reinserimento per le persone rimpatriate, che si inserisce nella più ampia strategia di CVE del paese. L’approccio kosovaro si compone di una serie di politiche e strategie governative e programmi pratici coinvolgono diversi attori ed enti istituzionali. Poiché la lente di genere è considerata fondamentale per lo studio dei conflitti e soprattutto per l’elaborazione di progetti e approcci di CVE e deradicalizzazione efficaci sul lungo periodo, questo aspetto è stato applicato anche ai programmi attuati in Kosovo, essendo il paese uno dei più attivi nel continente europeo sotto questo aspetto.
L’analisi dei contenuti di tre diverse strategie e di un regolamento, pubblicati nel periodo 2015-2020 dal governo kosovaro e che riguardano il contrasto all’estremismo violento e il reintegro delle persone rimpatriate, ha dimostrato che l’approccio del Kosovo non si può definire del tutto gender blind, ma resta ancora lontano dall’essere completamente gender sensitive. Per ricadere pienamente nella seconda categoria, le iniziative di CVE devono includere le donne in tutte le fasi dei programmi, dalla progettazione all’implementazione, cosa che non sembra avvenire nel caso kosovaro. Più precisamente è possibile affermare che i documenti e le strategie governative su cui si fondano i programmi di CVE kosovari non escludono totalmente il genere come categoria fondamentale, in quanto in diversi casi fanno riferimento all’importanza di osservare le differenze tra individui – incluse quelle di genere – per definire programmi ad hoc che si possano adattare alle esigenze di ogni soggetto. Tuttavia, le sfide poste alle donne non sono colte in modo pieno. Questo è dimostrato, ad esempio, dall’assenza di un’analisi preliminare rispetto ai ruoli che le donne hanno avuto all’interno delle organizzazioni violente e, ancora, con l’esclusivo riferimento al loro ruolo nell’accudimento dei figli, annientando dunque la loro capacità decisionale come individui. Ciò che manca nei documenti e nelle strategie kosovare è quindi l’inclusione di un’analisi adeguata delle dinamiche di genere: nelle fasi principali di progettazione e implementazione delle policies kosovare le donne sono quasi del tutto trascurate o relegate alle categorie di vittime e madri, senza conferire loro il riconoscimento di una reale capacità decisionale o senza essere considerate nel loro ruolo di combattenti o potenziali tali.
Anche per quanto riguarda gli stakeholder coinvolti nell’analisi, non è possibile affermare che questi pratichino dei programmi di contrasto all’estremismo violento, de-radicalizzazione, riabilitazione e reintegro completamente gender blind, in quanto includono alcune prospettive di genere, come il riconoscimento della necessità di inserire le returnees donne in reti estranee al terrorismo violento o l’embrionale riconoscimento del ruolo di madri all’interno e a supporto dell’organizzazione Stato Islamico. Questo però non è sufficiente per raggiungere un livello adeguato di sensibilità alle questioni di genere, e infatti i programmi presi in esame risultano ancora permeati da stereotipi. Le donne sono considerate come le uniche in grado di occuparsi dei figli, come i soggetti più vulnerabili e come attrici intrinsecamente pacifiche, rinforzando nozioni binarie di mascolinità e femminilità che rischiano di essere dannose per la sicurezza in quanto le donne possono continuare a far vivere le dinamiche delle organizzazioni terroristiche attraverso azioni di propaganda o anche armate.
Nonostante le lacune, la prospettiva di genere inizia a essere integrata nei programmi di CVE del Kosovo, portando il paese a un buon punto di partenza in materia di gender sensitivity in questo settore. Quello che però è necessario per raggiungere un opportuno grado di sensibilità nei confronti del genere è la capacità di considerare le donne come attrici indipendenti all’interno delle loro comunità di appartenenza e nella società, allontanandosi dalla tendenza di associarle solo alla sfera domestica.
Per comprendere l’efficacia sul lungo periodo delle politiche di contrasto all’estremismo violento e per valutare gli effetti della loro incompletezza rispetto alla sensibilità di genere, è necessario monitorare i programmi di CVE, de-radicalizzazione, riabilitazione e reintegro del paese nel prossimo futuro. Attraverso il monitoraggio di tali politiche e programmi, infatti, sarà possibile rilevare se il coinvolgimento parziale delle donne all’interno dei programmi infici in maniera pratica sulla sicurezza nazionale e quindi se le politiche di CVE riescano a disinnescare più o meno completamente la violenza.
Per saperne di più:
Avdimetaj, T. e Coleman, J. (2020). What EU Member States Can Learn from Kosovo’s Experience in Repatriating Former Foreign Fighters and Their Families. Clingendael Institute. Disponibile su: https://www.clingendael.org/sites/default/files/2020-06/Policy_Brief_Kosovo_experience_repatriating_former_foreign_fighters_May_2020.pdf
Jakupi, R. e Kelmendi, V. (2017). Women in violent extremism. Lessons Learned from Kosovo. Kosovar Centre for Security Studies (KCSS). Disponibile su: http://www.qkss.org/repository/docs/women-in-ve-eng_594236.pdf
Petreshi, S. e Ilazi, R. (2020). Unpacking Kosovo’s Response to Returnees from the War Zones in Syria and Iraq. Kosovar Centre for Security Studies (KCSS). Disponibile su: http://www.qkss.org/repository/docs/violent-extremism-eng_978757.pdf
Ruf, M. e Jansen, A. (2019). Study Visit. Returned Women and Children – Studying an Ongoing Experience on the Ground. Ex Post Paper, Radicalisation Awareness Network. Disponibile su: https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/default/files/what-we-do/networks/radicalisation_awareness_network/ran-papers/docs/ran_study_visit_kosovo_11_10122019_en.pdf
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