La Ue è oggi il primo partner commerciale di Pechino e il Mediterraneo, con al centro l’Italia, è considerato il naturale punto di arrivo della Via della seta marittima, parte del progetto “One Belt One Road” lanciato dal Presidente cinese Xi Jinping a fine 2013. Sull’onda di questa grandiosa iniziativa, dall’inizio del 2014 abbiamo assistito a un rinnovato interesse per l’Italia da parte dei cinesi, al punto che, secondo il Financial Times, a fine 2015 il nostro paese era diventato la prima destinazione degli investimenti esteri di Pechino in Europa, grazie anche all’acquisizione di Pirelli. Ad oggi, il totale investito in Italia ammonta a circa 12 miliardi di euro, corrispondente a circa il 10% degli investimenti totali cinesi in Europa.
Attraverso la Via della seta marittima del XXI secolo, la presenza cinese in Italia – e più in generale nel Mediterraneo – è destinata ad aumentare ulteriormente, con importanti implicazioni politiche e strategiche per un paese come il nostro, fermamente ancorato all’alleanza transatlantica, ma anche interessato a esplorare le grandi opportunità che possono essere offerte dai massicci investimenti cinesi nelle infrastrutture portuali e di trasporto marittimo.
Le infrastrutture sulla Via della seta marittima
La Via della seta marittima del XXI secolo prende ispirazione dalle storiche rotte marittime che ebbero il loro momento di massimo splendore nel XVI secolo: partendo dalle coste cinesi, collegavano Oriente e Occidente attraverso una serie di snodi commerciali lungo il Mar cinese meridionale e l’Oceano Indiano. La nuova Via della seta marittima intende far rivivere queste tratte cercando di coinvolgere anche i paesi e le regioni storicamente escluse i cui mercati sono oggi in crescente espansione. Dal punto di vista pratico, la via marittima della “One Belt One Road” prenderà forma tramite una serie di progetti volti a costruire un network di porti e infrastrutture che permetterà di connettere la Cina ail Sud-est asiatico, all’Africa orientale e al Mediterraneo.
Secondo i dati forniti dal sesto rapporto annuale del centro Studi e Ricerche Mezzogiorno (SRM), nell’ultimo decennio il Mediterraneo è stato oggetto di numerosi investimenti da parte delle principali compagnie cinesi del settore. Nel giugno 2014 il Premier Li Keqiang, invitato a partecipare al Forum di cooperazione marittima Cina-Grecia, aveva definito il porto del Pireo la “porta d’accesso per la Cina in Europa”. La recente acquisizione da parte di Cosco Pacific del 67% delle quote di mercato della società che controlla il porto greco è tuttavia solo l’ultimo di una lunga serie di investimenti grazie ai quali Pechino ha consolidato la sua presenza logistica e commerciale nel Mediterraneo.
Grazie a un’aggressiva politica di fusioni e acquisizioni, diverse compagnie armatoriali cinesi sono riuscite ad assicurare la loro presenza in alcuni dei principali scali commerciali che servono l’intero bacino mediterraneo: Cosco Pacific possiede il 20% del terminal container del Canale di Suez; la joint venture composta da China Cosco Holdings Co., China Merchants Holdings Co. e Cic Capital Corporation detiene il 65% delle turche Liman Hizmetleri Lojistik e Kumport Liman Hizmetleri ve Lojistik che gestiscono il traffico del porto di Ambarli; e infine vi sono Apm Terminals e China Cosco Shipping Ports, che a ottobre 2016 hanno siglato un accordo per la gestione del terminal container di Vado Ligure ed il reefer terminal ad esso connesso.
Focus sui porti del Nord Adriatico
L’espansione degli interessi cinesi nel Mediterraneo non ha lasciato da parte l’Italia, il cui progetto di punta connesso alla Via della seta marittima è rappresentato dall’alleanza tra cinque dei maggiori porti del Nord Adriatico. Il progetto è cofinanziato dal governo italiano e dal Silk Road Fund, creato nel 2014 per sviluppare la Via della seta cinese. L’iniziativa ha ricevuto il supporto dalle autorità di entrambi i paesi durante il Forum della cooperazione delle città della Via della seta, tenutosi a Venezia nel luglio del 2015.
Il progetto dei “cinque porti”, elaborato e sostenuto dalla North Adriatic Port Association (Napa), interesserà i porti italiani di Venezia, Trieste e Ravenna congiuntamente alle strutture portuali di Capodistria (Slovenia) e Fiume (Croazia). Il consorzio mira ad attrarre le enormi navi cargo cinesi che raggiungono il Mediterraneo attraverso il Canale di Suez attraverso la realizzazione di una piattaforma multimodale al largo della località portuale di Malamocco, vicino a Venezia. L’opera finale comprende anche la costruzione di cinque terminal: tre in Italia (Marghera, Ravenna e Trieste), uno in Slovenia (Capodistria) e uno in Croazia (Fiume).
Il progetto avrà un costo stimato intorno ai 2,2 miliardi di euro di cui 350 milioni già stanziati dal governo italiano per l’inizio dei lavori della piattaforma di attracco al largo della laguna di Venezia. Per quanto riguarda la controparte cinese, diversi investitori hanno già espresso il loro interesse a contribuire al finanziamento dell’opera, come ad esempio le autorità portuali di Shanghai e Ningbo, la Cccg Group (la sesta compagnia di costruzioni più grande al mondo) e la Industrial and Commercial Bank of China (Icbc). Quest’ultima, inoltre, ha recentemente aperto diverse filiali in Italia per finanziare aziende italiane e cinesi interessate a partecipare ai progetti connessi alla realizzazione della nuova Via della seta.
Una volta realizzato, il progetto dei “cinque porti” permetterà all’Italia di competere con il porto greco del Pireo e quello turco di Istanbul, offrendo alle navi cinesi una rotta sud-nord Europa alternativa a quella che dai porti del sud del Mediterraneo passa attraverso i Balcani.
Considerazioni strategiche
La crescente presenza cinese in Italia e, più in generale, nel Mediterraneo ha degli evidenti vantaggi per tutti i paesi interessati. I recenti investimenti stanno creando nuovi posti di lavoro e aiutano nella riqualificazione delle infrastrutture, facilitando lo sviluppo di nuove sinergie tra imprese logistiche, portuali e manifatturiere. Tuttavia, se da una parte il crescente volume di scambi commerciali e l’arrivo di nuovi capitali è stato accolto con favore, il rinnovato interesse di Pechino per l’Europa del sud e i paesi nordafricani ha fatto emergere nuovi problemi legati alla competizione commerciale e alla questione della sicurezza nelle acque del Mediterraneo. Senza dimenticare le nuove sfide a cui verranno sottoposti i mercati mediterranei ora che le imprese cinesi possono contare su un abbattimento dei costi di gestione e di trasporto delle loro merci.
In questo contesto Pechino sta peraltro rivedendo la sua strategia di difesa dei propri interessi all’estero, in particolare nelle zone più turbolente del Medio Oriente e del Nord Africa. Il collasso del regime di Muammar Gheddafi nel marzo 2011 colse la Cina impreparata, e l’evacuazione dei circa 35.000 cittadini cinesi che all’epoca operavano in Libia fu tutt’altro che semplice. Oltre a riaccendere il dibattito interno sul principio di non ingerenza negli affari interni di altri paesi, l’incidente libico ha imposto un ripensamento dei rapporti con i paesi dell’area mediterranea. Pechino ha dovuto prendere atto che i legami economici con tali paesi non possono prescindere dalla cooperazione nei settori della sicurezza e della difesa. Le esercitazioni navali congiunte tra Cina e Russia nelle acque del Mediterraneo nel maggio del 2015 e la creazione dell’avamposto militare di Gibuti divenuto operativo all’inizio del 2016 si collocano all’interno di questo nuovo contesto.
L’Europa non ha saputo elaborare finora una risposta strategica organica alla crescente presenza cinese nel Mediterraneo. Servirebbe una strategia ad ampio spettro che affronti sia la dimensione economico-commerciale che quella della sicurezza e l’Italia è nella posizione ideale per farsene promotrice grazie al suo ruolo centrale, sia politico che economico, nell’area.
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