La crescita verde è una delle priorità dell’agenda politica sia dell’Ue che della Cina: entrambe sono interessate a realizzare una crescita sostenibile mantenendo e migliorando le condizioni ambientali dei rispettivi territori. Un uso efficiente delle risorse ha anche importanti ricadute economiche. Il mercato globale di prodotti e servizi verdi è, infatti, stimato attualmente in circa 1.000 miliardi di euro all’anno, cifra che dovrebbe raddoppiare entro il 2020. Alle opportunità si sommano, però, anche i rischi. La Cina è diventata negli ultimi anni la prima produttrice mondiale di pannelli solari, superando l’industria europea. Se da una parte l’Europa ha motivo di rallegrarsi di una tale svolta “verde” del sistema manifatturiero cinese, dall’altra le tensioni commerciali tra Bruxelles e Pechino – se non gestite correttamente – potrebbero avere serie ricadute sulla loro cooperazione ambientale. Che ha invece raggiunto, negli ultimi anni, importanti traguardi.
Focus sulla “crescita verde”
Nel 2013, in occasione del decimo anniversario del partenariato strategico, la Ue e la Cina misero al centro del vertice annuale la “crescita verde”. Otto anni prima, nel 2005, Bruxelles e Pechino avevano siglato un accordo – definito all’epoca “partenariato per il cambiamento climatico” – con l’obiettivo di rafforzare la collaborazione sulla sicurezza climatica e creare un dialogo strutturato sull’utilizzo di tecnologie verdi e la riduzione dei gas a effetto serra. Il tema del cambiamento climatico ha caratterizzato anche l’ultimo vertice Ue-Cina tenutosi a Bruxelles il 29 giugno 2015, al quale hanno partecipato, per la parte europea, Jean-Claude Juncker (Presidente della Commissione europea) e Donald Tusk (Presidente del Consiglio europeo) e, per la Cina, il premier Li Keqiang. In tale occasione – a dieci anni della sigla del “partenariato per il cambiamento climatico” – i leader delle due parti hanno firmato una dichiarazione congiunta sulla sicurezza climatica che verrà presentata al vertice Cop21 – la Conferenza Onu sul clima che si terrà a Parigi nel dicembre del 2015. Tale dichiarazione congiunta non è che il punto di arrivo di una serie di dialoghi e progetti di cooperazione che hanno coinvolto la Ue e la Cina negli ultimi anni.
Dal 2009, ad esempio, c’è un meccanismo di cooperazione bilaterale – con incontri regolari annuali a livello di direttori politici – tra la Commissione europea e l’Autorità forestale statale cinese. La Dg Clima ha, inoltre, instaurato con Pechino un dialogo specifico sul cambiamento climatico e avviato numerosi progetti di cooperazione:
Oltre alla Dg Clima, la Dg Industria dell’Ue ha iniziato una serie di progetti con la Cina al fine di migliorare l’efficienza energetica dell’industria e contribuire a una crescita sostenibile. Un gruppo di lavoro speciale è stato istituito nel 2010, di concerto con il Ministero cinese dell’industria e della cooperazione tecnologica. Le sue tre principali aree di collaborazione sono l’efficienza energetica nell’industria, l’eco-design e la politica industriale sostenibile.
Le questioni ambientali e il loro legame con l’industria e l’economia sono inoltre discusse nell’ambito del dialogo economico e commerciale (Eu-China high level economic and trade dialogue, Hed). Dal 2003 è inoltre attivo un Dialogo politico Ue-Cina sull’ambiente con incontri a cadenza regolare (spesso biennale) tra le due parti. Durante il quinto (e finora ultimo) dialogo politico sull’ambiente tenutosi a Pechino nel 2013 sono stati siglati – alla presenza di Antonio Tajani, all’epoca vicepresidente della Commissione europea e responsabile per l’Industria e l’imprenditoria, di Janez Potočnik, Commissario europeo responsabile per l’Ambiente e di Zhou Shengxian, ministro per la Protezione dell’ambiente – importanti accordi di cooperazione in tema di sostenibilità ambientale, urbanizzazione sostenibile e scambio di quote di emissione. Al quinto dialogo politico sull’ambiente del 2013 ha anche partecipato una delegazione di 59 imprese e associazioni industriali nazionali ed europee che hanno discusso delle sfide in campo normativo sul mercato cinese e illustrato le best practices europee al fine di migliorare il contesto imprenditoriale, in particolare per le piccole e medie imprese. L’industria europea, con la propria vasta esperienza in materia di prodotti e servizi non nocivi per l’ambiente ha molto da offrire alla Cina riguardo alla protezione dell’ambiente e a una crescita sostenibile, a dimostrazione che la cooperazione in tema di crescita “verde” ha un notevole potenziale in termini di opportunità commerciali. Esistono però anche elementi di frizione, come sta ad indicare il recente caso dei pannelli solari.
Tra principi e interessi
A fine maggio 2015, la Commissione europea ha deciso di aprire un’indagine sull’import di pannelli solari provenienti da Taiwan e Malesia, che si sospetta siano in parte “made in China”. Bruxelles ha accolto così una richiesta dell’industria europea, che accusa la concorrenza cinese di fare largo uso di pratiche illegali per aggirare i dazi sull’import cinese e il prezzo minimo concordato con l’Ue dei pannelli solari per evitare il “dumping”, cioè la vendita a prezzi molto inferiori rispetto al valore commerciale. Secondo ProSun, l’organizzazione che rappresenta l’80% della produzione di pannelli “made in Europe”, i produttori cinesi del solare aggirano le misure antidumping dell’Ue prima esportando in paesi terzi, come Malesia e Taiwan, poi falsificando la loro vera origine.
La questione dei pannelli solari è un ottimo esempio della difficoltà di tenere insieme i principi della protezione dell’ambiente e la promozione della “crescita verde” con gli interessi dell’industria europea. Una difficile quadratura del cerchio. Rimane comunque interesse sia della Ue che della Cina trovare un compromesso per non compromettere gli sforzi e le iniziative in materia ambientale e sviluppo sostenibile che le due parti hanno intrapreso negli ultimi anni.
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