La “separazione” mancata: Filippine e Stati Uniti durante l’amministrazione Duterte

Il mandato presidenziale di Rodrigo R. Duterte (2016-2022) è stato una delle esperienze politiche più imprevedibili e dibattute della storia recente del Sud-Est asiatico. L’ex sindaco di Davao City occupò le prime pagine dei quotidiani internazionali per la sua retorica populista, alla quale fece ricorso per minimizzare – nel migliore dei casi – o semplificare – nel peggiore – situazioni e problematiche molto complesse, nonché per il suo approccio alla cosa pubblica che i suoi avversari ritenevano sovente dispotico[1]. Queste due principali caratteristiche trovarono riscontro in ogni aspetto della sua azione di governo. Da una prospettiva interna, la “guerra” indiscriminata alla droga generò diverse polemiche nei governi occidentali e nell’opinione pubblica, nazionale e internazionale, per via degli arresti e delle “esecuzioni extragiudiziali[2]” commesse dalla polizia nazionale e dai vigilantes privati nei confronti di coloro che erano anche solo sospettati di fare uso di sostanze stupefacenti, in particolare della famigerata shabu[3]. Da una prospettiva diplomatica, invece, il presidente Duterte intaccò sistematicamente a suon di dichiarazioni mordaci e irriverenti il rapporto di fiducia con gli Stati Uniti (USA), il garante di lungo corso della sicurezza e dell’integrità territoriale delle Filippine, sicuro com’era che il Paese potesse portare avanti i propri interessi nazionali defilandosi da un’alleanza vista come fortemente limitante e recidendo una volta per tutte il legame storico e culturale con l’ex dominatore coloniale.

Questo articolo intende rispondere all’interrogativo se la “separazione” dagli Stati Uniti, annunciata da Duterte in occasione del suo primo viaggio in Cina, si sia effettivamente concretizzata o meno. Prima di rispondere alla domanda, è opportuno partire dal significato politico di questa dichiarazione, fornendo lungo il percorso narrativo le prese di posizione e alcuni stralci di dichiarazioni ufficiali annunciate dall’ex presidente durante il suo mandato, nonché diverse cifre che testimoniano quanto fallace si rivelò la svolta che Duterte intendeva imprimere alla politica estera del Paese.

“Time to say goodbye, my friend”

La “separazione” dagli USA fu annunciata da Duterte a Pechino nell’ottobre 2016, a quattro mesi dal suo insediamento a Palazzo Malakanyang, con l’intenzione di abbandonare l’alleato di sempre per “riallinearsi ideologicamente[4]” alla Cina e alla Russia. Gli USA, secondo le parole utilizzate dal presidente in quel consesso, avrebbero “perso” da un punto di vista militare ed economico e, di conseguenza, le Filippine avrebbero presto “rivisto o abrogato[5]” la rete di accordi militari esistenti fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso. La politica estera “indipendente” auspicata dalla sua amministrazione aveva per obiettivo quello di stringere forti legami con i Paesi dell’area come la Cina, con cui le Filippine condividono un’intima esperienza culturale e una profittevole cooperazione commerciale, senza però sacrificare le relazioni con gli alleati dell’area[6]. Quale fosse il significato dietro queste affermazioni era allora incerto, al punto che alcuni membri del suo governo si affrettarono a correggere, se non addirittura smentire, le dichiarazioni del presidente.

Un primo assaggio della crisi dei rapporti con gli USA si ebbe nell’estate del 2016, quando il presidente Barack H. Obama criticò pubblicamente gli abusi delle autorità filippine nella contestata “guerra alla droga”, nella fattispecie le esecuzioni extragiudiziali che allora stavano impazzando nell’area metropolitana di Manila e nelle regioni limitrofe di Central Luzon e Calabarzon. La reazione di Duterte non si fece attendere e replicò alla sua controparte sfoggiando il suo marchio di fabbrica, ovvero un linguaggio libero dai condizionamenti imposti da protocolli diplomatici e da opportunità politiche. Ciò indusse la Casa Bianca, prima, ad annullare la visita di Obama a Manila, programmata per il 5 settembre, e ad accelerare, in seguito, il processo di ritiro delle Forze operative speciali statunitensi, già annunciato già nel 2015, impegnate dal 2002 a contribuire alla lotta al terrorismo contro le attività di insurrezione, sovversione (Fronte islamico di liberazione del popolo Moro) e terrorismo (il gruppo Abu Sayyaf) nel Mindanao del Sud e nelle isole Sulu.

In questo quadretto di botte e risposte, il mese successivo Duterte minacciò di annullare le operazioni anfibie congiunte, salvo poi ritornare sui propri passi grazie ai buoni auspici del suo segretario alla Difesa, Delfin N. Lorenzana, che evitarono conseguenze più pesanti sulla relazione bilaterale. Ciò non impedì, comunque, al presidente filippino di mostrare alcune immagini inedite dei massacri di Balangiga e di Bud Dajo perpetrati dalle truppe coloniali statunitensi, rispettivamente nel 1901 e nel 1906, ai danni della popolazione civile. Evocando questi due importanti eventi ancora ben impressi nella memoria collettiva filippina, Duterte obiettò che, prima di condannare le presunte violazioni dei diritti umani fondamentali nella guerra alla droga, Obama avrebbe dovuto fare ammenda dei crimini statunitensi commessi nei confronti sia di civili sia di militari durante tutto il periodo dell’occupazione dell’arcipelago. Questa critica anticoloniale è, invero, un prodotto di una matura riflessione che è ben presente da tempo nella società filippina, sia a tra gli ambienti moderati sia tra quelli della sinistra radicale, il cui pensiero influenzò molto il giovane Duterte.

 

L’insofferenza verso una dipendenza sbilanciata

Dietro a questi scontri ed esternazioni, vi era l’obiettivo di Duterte di allentare – più di quanto alcuni suoi predecessori avessero tentato di fare in passato – quello che Adrian Cristobal e James Gregor riassunsero col termine di “legame di sicurezza[7]”. Il rapporto sincretico tra i due le Filippine e gli USA è il frutto di oltre settant’anni di cooperazione in campo militare incastonata all’interno di quattro accordi collaterali al trattato di mutua difesa firmato nel 1951, con il quale le Filippine fecero ingresso nel sistema “hub-and-spokes” congegnato dall’allora segretario di Stato statunitense John Foster Dulles. Questi accordi – il Military Assistance Agreement (MAA, 1953), il Visiting Forces Agreement (VFA, 1998), l’Enhanced Defence Co-operation Agreement (EDCA) e il Mutual Logistics Support Agreement (MLSA, 2007) – regolano tutti gli aspetti essenziali della presenza militare statunitense nelle Filippine e sono stati oggetto di sporadiche modifiche, sia per decisione del potere esecutivo sia su richiesta del Kongreso filippino, durante e dopo la fine della Guerra fredda.

Alla vigilia del giuramento ufficiale, Duterte chiarì che non avrebbe portato avanti il programma di modernizzazione militare intrapreso dal suo predecessore poiché la sua amministrazione avrebbe convogliato, nei successivi quindici anni, gran parte dei fondi messi a bilancio verso l’ambizioso programma infrastrutturale Build Build Build. Tutto ciò lasciava presagire la volontà del neo-eletto presidente di decelerare il processo di acquisto di armamenti militari. Nondimeno, i dati raccolti ed elaborati dallo Stockholm International Peace Research Institute ci restituiscono un quadro molto diverso. Le spese per la difesa in epoca Duterte aumentarono dai 3,8 miliardi di dollari del 2016 agli oltre 5,5 miliardi del 2021, per poi ridiscendere a 4,1 miliardi l’anno successivo. Il rapporto tra spesa militare e PIL crebbe dall’1% del 2016 (quando il dato del PIL si attestava al 7,1%[8]) all’1,4% del 2022 (a fronte di una crescita pari al 7,6%[9]), percentuale questa mai raggiunta durante l’amministrazione di Benigno Aquino III (2010-2016). Malgrado queste cifre indichino un incremento sostanziale delle spese per la difesa, esse hanno gravato, in media, sulla finanza pubblica per una percentuale pari al 5,4%, più bassa di oltre un punto rispetto a quella registrata durante il mandato precedente[10].

Una delle principali ragioni che spiegano questi numeri è data dall’intensificarsi delle azioni militari a Marawi da parte di diverse sigle del fondamentalismo islamico legate al “Gruppo Maute”. Infatti, le Forze armate filippine dipendono quasi esclusivamente dalla vendita o dalle donazioni di armi e finanziamenti garantiti dal governo di Washington attraverso due principali programmi di assistenza militare, il Foreign Military Sales e il Foreign Military Financing. Sulla base dei dati disponibili, per quanto parziali, tra il 2016 e il 2021 il Congresso statunitense esaminò diversi provvedimenti di legge relativi alla vendita di armi convenzionali, sistemi d’arma, velivoli militari ed equipaggiamento per un valore superiore ai 4,7 miliardi di dollari[11]. Le richieste filippine si sono intensificate tra il 2019 e il 2022, ovvero a seguito della crescita del numero di operazioni di disturbo portate avanti dalla Guardia costiera cinese e dalle maritime militias – ingaggiate dai pescherecci cinesi – nelle isole Spratly, nella secca di Scarborough e nella scogliera di Whitsun[12]. Durante il mandato di Duterte, gli USA non lesinarono anche sull’assistenza allo sviluppo, incrementando gli aiuti dai 139 milioni dell’anno fiscale (statunitense) 2016 agli oltre 155 milioni dell’anno 2022[13], con un aumento di oltre il 10%.

Il punto di maggiore frizione dei rapporti tra Manila e Washington, in epoca Duterte, coincise con il lungo processo di sospensione del VFA. Nel febbraio 2020, il presidente Duterte annunciò la volontà di uscire dall’accordo bilaterale che disciplina le attività dei militari e del personale civile statunitensi di stanza nelle Filippine nel quadro delle esercitazioni militari denominate Balikatan (Fianco a fianco). L’annuncio fece seguito alla decisione delle autorità di immigrazione americane di cancellare il visto di ingresso negli USA all’allora capo della Polizia nazionale filippina Ronald dela Rosa, il braccio destro di Duterte che aveva avuto fino ad allora un ruolo di primo piano nella guerra alla droga. La legge federale del 2018 autorizzava, infatti, i funzionari governativi ad annullare o a respingere le richieste di ingresso a quegli individui che erano accusati di violazione dei diritti umani fondamentali. Invero, Duterte cercò di trovare una giustificazione politica alla sua decisione, dichiarando pubblicamente che il VFA era utilizzato dagli USA come strumento legale per condurre attività illecite e segrete in territorio filippino, come quella di dispiegare una non ben stimata quantità di testate nucleari senza il consenso delle autorità filippine, con il rischio concreto di innescare la dura reazione della Cina contro il territorio arcipelagico[14].

Tuttavia, alla dichiarazione di Duterte replicò il Senato filippino, che con una risoluzione chiese al presidente di riconsiderare la decisione, anche a costo della riscrittura di un nuovo accordo più favorevole alle Forze armate filippine. Invero, una decisione definitiva sul ritiro dell’accordo fu rinviata per ben tre volte, fino a quando la proposta di abrogazione del VFA fu definitivamente revocata nel luglio 2021. Tale decisione può essere interpretata come la riconoscenza di Duterte per l’invio di oltre 33 milioni di dosi di vaccino Moderna nell’ambito del programma internazionale Gavi COVAX AMC[15], del quale gli USA sono i principali donatori.

 

Contestualmente alla questione del VFA, Duterte espresse anche la sua volontà di ridiscutere i termini dell’EDCA, un accordo del 2014 che andava ad aggiornare il patto militare del 1951 e che – pur limitandone il campo di operatività – consentiva alle truppe americane di tornare nelle Filippine dopo la chiusura delle basi militari con il mancato rinnovo del Military Bases Agreement del 1947. Per Duterte, questa rivalutazione era necessaria perché l’accordo aveva come chiaro obiettivo la Cina. Anche in questo caso la minaccia non si tramutò in qualcosa di concreto. Le esercitazioni Balikatan, malgrado fossero state decurtate, continuarono a tenersi nelle cinque basi militari individuate[16] dall’accordo del 2014, fatte salve le due sospensioni del 2016 e del 2020. Esse furono ripristinate l’anno successivo, facendo registrare nel 2022 la partecipazione di quasi novemila truppe.

Persuaso dagli alti ufficiali militari filippini che hanno costruito col tempo rapporti di stretta collaborazione con le controparti americane[17], Duterte mantenne in vita i due perni della consultazione politica in ambito militare, il “Dialogo strategico bilaterale” e le consultazioni ministeriali Two-Plus-Two. Nell’ottobre 2017, la sua amministrazione rinnovò per cinque anni un altro accordo in scadenza, ovvero il MLSA, che fin dal 2007 stabilisce i termini, le condizioni e le procedure volte a favorire l’acquisizione e il trasporto di armi e servizi statunitensi alle Forze armate filippine. Il supporto logistico statunitense si rivelò, senz’altro, determinante per la riconquista della città di Marawi.

 

La Cina e il problema dell’autonomia strategica

Mentre con Obama la relazione si era incrinata a causa della guerra alla droga, le divergenze tra Duterte e le amministrazioni di Donald J. Trump e Joe Biden riguardavano, soprattutto, la Cina e le due visioni antitetiche sul ruolo di Pechino nello scenario asiatico. Il presidente filippino avversava l’idea che la Cina stesse tentando di cambiare l’ordine regionale esistente e, anzi, affermava che rispetto ad altri Paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (Association of South-East Asian Nations, ASEAN), le Filippine non avessero colto fino ad allora tutti i benefici derivanti dalle opportunità di dialogo e cooperazione svelatisi con l’ascesa, prima, e il consolidamento, poi, della Cina come attore regionale imprescindibile, a causa del dilemma fondato sulla scelta di conciliare i propri impegni strategici con gli interessi economici. In sostanza, Duterte riteneva come contrario agli interessi nazionali questo sforzo funambolico di cui, negli ultimi due decenni, il suo Paese si è reso protagonista nel tentativo di trovare un equilibrio il più possibile durevole.

La Cina era e continua ad essere il primo partner commerciale delle Filippine, seguito da USA e Giappone[18]. Tra il 2016 e il 2022, secondo i dati della Philippine Statistics Authority, la Cina occupa il terzo posto tra i principali investitori nelle Filippine, un gradino sopra gli USA, con un picco degli investimenti tra il 2018 (cinquanta miliardi di pesos) e il 2019 (oltre 88 miliardi di pesos)[19]. L’economia fu, peraltro, uno dei temi che dominarono, in negativo, il dibattito tra le Filippine e gli USA. Basti pensare a ciò che accadde nell’agosto 2017, dopo la decisione di Trump di ritirare il suo Paese dalla Trans-Pacific Partnership: questo annuncio non fu accolto con favore da Duterte, il quale accusò l’allora presidente statunitense di voler “uccidere”[20] i posti di lavoro che l’accordo di libero scambio avrebbe garantito in Asia.

Per di più, Duterte lamentava che l’alleanza con gli USA avesse privato il junior partner di autonomia politica e strategica, un costo questo imposto dall’adesione all’accordo di difesa. Pertanto, secondo questa visione, anziché garantire la difesa del Paese, Washington impediva a Manila di perseguire una politica di appeasement[21] con Pechino, che avrebbe dovuto sfociare in un accordo diplomatico bilaterale sulla soluzione delle dispute territoriali nel Mar occidentale delle Filippine, il nome con cui il governo filippino designa la propria zona economica esclusiva del Mar Cinese Meridionale. L’effetto che Duterte temeva più di altri era che l’intima relazione politica e militare delle Filippine con l’alleato avrebbe persuaso la Cina a fare ricorso alla forza militare per la conquista degli isolotti e delle scogliere contese. Proprio per allontanare una prospettiva di questo tipo, il National Security Policy 2017-2022 suggeriva “prudenza in questa complessa e delicata questione” e prescriveva che interventi diplomatici “calibrati” da parte dell’esecutivo avrebbero potuto evitare lo scoppio di una guerra[22] in un crocevia strategico tra Asia orientale e sud-orientale. La decisione del governo filippino, presa nell’agosto 2020, di congelare il dialogo strategico e le operazioni navali congiunte con la Marina statunitense nel Mar occidentale delle Filippine, andava proprio in questa direzione.

Nonostante prevalesse la necessità di inviare segnali conciliatori al governo di Pechino per ricostruire la relazione bilaterale su nuove basi rispetto al passato, Duterte dovette affrontare all’interno della sua amministrazione l’opposizione di diversi esponenti. Si levarono, difatti, voci contrarie a un approccio fin troppo accomodante nei confronti delle richieste della Cina, che nel lungo periodo avrebbe indotto le Filippine a seppellire tutte le pretese sui contenzioni nel Mar Cinese Meridionale. In questo senso, la voce più stridente fu quella del segretario di Stato Teodoro Locsin, che si dimostrò il più strenuo difensore della sentenza pronunciata nel luglio 2016 dalla Corte permanente di arbitrato dell’Aia relativa alle dispute marittime nel mare conteso, che Duterte considerava, al contrario, un “pezzo di carta[23]”. Lo stesso Locsin aveva tenuto a precisare, allineandosi così alle richieste provenienti dagli USA[24], che ogni attacco – non provocato dalle Filippine – nel bacino di mare conteso contro navi militari e della Guardia costiera, e di aeromobili militari e non, rientra nel campo di applicazione dell’articolo IV del trattato di alleanza del 1951[25], che mette in moto i rispettivi processi costituzionali per la valutazione di una risposta militare congiunta e coordinata.

 

Conclusioni

Sulla base dell’analisi fin qui sviluppata, è ragionevole ritenere che la separazione tra Manila e Washington si sia rivelata un tentativo fallito. Duterte non ha mai chiarito quale strategia avesse davvero in mente, né mai ha tenuto a esporre i termini e i rischi di un processo che, per realizzarsi, richiederebbe comunque un periodo di tempo superiore ai sei anni di mandato che un presidente della Repubblica filippina può esercitare. In ogni caso, più che di una separazione, il presidente fu autore di una rivalutazione della dipendenza strategica e militare del suo Paese per garantirsi vantaggi economici dal rafforzamento della relazione bilaterale con la Cina.

Diversamente dagli USA, Duterte non considerava Pechino come una minaccia alla stabilità e alla pace dell’Asia orientale e sud-orientale, semmai come un importante partner economico della regione con il quale incrementare i rapporti commerciali e dal quale strappare accordi economici favorevoli alla crescita e all’ambiziosa politica di ammodernamento infrastrutturale sulla quale Duterte puntò gran parte della propria credibilità politica per allargare il bacino di consensi in patria. Questa convinzione non è, peraltro, una novità nella politica filippina, bensì una costante che ricorre a fasi alterne dall’amministrazione di Gloria Macapagal Arroyo (2001-2010).

Tuttavia, ad ogni passo in avanti nella cooperazione economica corrispose un passo indietro nella soluzione delle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale. I flebili sforzi di Duterte di gettare le basi per un dialogo bilaterale sui diritti di pesca nelle aree contese furono frustrate dalla refrattarietà della Cina a concedere margini di negoziato su una questione considerata, dal governo comunista, di vitale interesse nazionale. Questa, per certi versi legittima, volontà di accomodamento con una delle principali potenze economiche e militari della regione cozzava, però, con le posizioni degli USA, poiché ciò avrebbe significato portare avanti un’iniziativa a spese degli interessi strategici contemplati nell’alleanza militare.

Sebbene le dichiarazioni che Washington fece recapitare a Duterte, e ora al suo successore, fossero chiare, vi è oggi, come allora, scetticismo davanti alla possibilità che gli USA possano effettivamente intervenire militarmente a sostegno delle Filippine, nell’eventualità dello scoppio di un conflitto aperto per le dispute nel Mar Cinese Meridionale. Questo impegno implica rischi che ogni amministrazione statunitense difficilmente sarebbe disposta ad accollarsi per la difesa, a ogni costo, dell’alleato. Si aggiunga a questo che gli USA sembrano più concentrati a preservare le rotte marittime e le zone di identificazione aerea da ogni plausibile pericolo, che a favorire il negoziato per la soluzione diplomatica tra le Filippine e la Cina per le aree contese.


[1] Sia il populismo sia il fenomeno del cosiddetto “bossism” sono stati ampiamente esaminati, con riferimento a Duterte, in Curato, N. (a cura di) (2017), A Duterte Reader: A Critical Essays on Rodrigo Duterte’s Early Presidency, Quezon City: Ateneo de Manila University Press.

[2] La Corte penale internazionale ha stimato che, tra l’estate 2016 e il marzo 2019, il numero delle vittime delle operazioni eseguite dalla polizia e dai gruppi di ignoti giustizieri si attesterebbe tra le dodicimila e le trentamila persone, cfr. The International Criminal Court (2021), Situation in the Republic of the Philippines, Pre-Trial Chamber I, ICC-01/21, 14 giugno, p. 3, disponibile online al link https://www.icc-cpi.int/sites/default/files/CourtRecords/0902ebd18039c196.pdf.

[3] È il nome comunemente impiegato nelle Filippine – e in altri Paesi asiatici – per riferirsi alla metamfetamina in cristalli, ovvero la sostanza stupefacente che – secondo il Dangerous Drug Board del governo filippino – è la più consumata nel Paese. La shabu si vende a un prezzo inferiore rispetto alla cocaina e all’eroina, in prevalenza, ciò la rende di conseguenza la droga più diffusa nelle aree popolate in prevalenza da persone a basso reddito.

[4] ABS-CBN News (2016), “Duterte: It’s Russia, China, PH ‘Against the World’”, 20 ottobre, disponibile online al link https://news.abs-cbn.com/news/10/20/16/duterte-its-russia-china-ph-against-the-world.

[5] BBC News (2016), “Rodrigo Duterte Wants US Troops ‘To Leave Philippines’”, 26 ottobre, disponibile online al link https://www.bbc.com/news/world-asia-37773706.

[6] Blanchard, B. (2016), “Duterte Aligns Philippines with China, Says US Has Lost”, 20 ottobre, disponibile online al link https://www.reuters.com/article/us-china-philippines-idUSKCN12K0AS.

[7] Cristobal, A.E. e Gregor, A.J. (1987), “The Philippines and the United States: A Short History of the Security Connection”, Comparative Strategy, Vol. 6 (1), pp. 61-89.

[8] Banca mondiale, Data Bank, World Development Indicators, Philippines, disponibile online al link https://databank.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG/1ff4a498/Popular-Indicators.

[9] Banca asiatica di sviluppo, Asian Development Outlook 2023, aprile, disponibile online al link http://dx.doi.org/10.22617/FLS230112-3.

[10] Gli ultimi dati disponibili sul rapporto tra spese per la difesa e PIL risalgono al 2021, mentre quelli rapportati alla spesa statale sono aggiornati al 2020. L’elaborazione dei dati tiene conto delle informazioni dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), Military Expenditure Database, disponibile online al link https://milex.sipri.org/sipri.

[11] Defence Security Co-operation Agency, Major Arms Sales and Financing: “United States Turns Over Boat Facility to Philippine Marine Corps”, 14 febbraio 2022, disponibile online al link https://www.dsca.mil/news-media/news-archive/united-states-turns-over-boat-facility-philippine-marine-corps; United States Turns Over Four Cessna Planes to Philippine Navy, 11 febbraio 2022, disponibile online al link https://www.dsca.mil/news-media/news-archive/united-states-turns-over-four-cessna-planes-philippine-navy; The Philippines – AIM-9X Sidewinder Block II Tactical Missiles, 24 giugno 2021, disponibile online al link https://www.dsca.mil/press-media/major-arms-sales/philippines-aim-9x-sidewinder-block-ii-tactical-missiles; The Philippines – F-16 Block 70/72 Aircraft, 24 giugno 2021, disponibile online al link https://www.dsca.mil/press-media/major-arms-sales/philippines-f-16-block-7072-aircraft; Philippines – Scout, Assault, and Light Support Boats with Armaments and Accessories, 30 luglio 2020, disponibile online al link https://www.dsca.mil/node/1377; Philippines – AH-1Z Attack Helicopters and Related Equipment and Support, 30 aprile 2020, disponibile online al link https://www.dsca.mil/press-media/major-arms-sales/philippines-ah-1z-attack-helicopters-and-related-equipment-and-support; Philippines – Apache AH-64e Attack Helicopters and Related Equipment and Support, 30 aprile 2020, disponibile online al link https://www.dsca.mil/press-media/major-arms-sales/philippines-apache-ah-64e-attack-helicopters-and-related-equipment-and; The Philippines – AN/SPS-77 Sea Giraffe 3D Air Search Radars, 14 dicembre 2016, disponibile online al link https://www.dsca.mil/press-media/major-arms-sales/philippines-ansps-77-sea-giraffe-3d-air-search-radars.

[12] Cfr. Center for Strategic & International Studies (2021), “Pulling Back the Curtain on China’s Maritime Militia”, A Report of the CSIS Asia Maritime Transparency Initiative and the Center for Advanced Defense Studies, novembre, disponibile online al link https://csis-website-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-public/publication/211118_Poling_Maritime_Militia.pdf?VersionId=Y5iaJ4NT8eITSlAKTr.TWxtDHuLIq7wR.

[13] Lum, T. et al. (2022), “The Philippines: Background and US Relations”, Congressional Research Service, 14 settembre, p. 7, disponibile online al link https://crsreports.congress.gov/product/pdf/R/R47055/4.

[14] Lema, K. et al. (2020), “Duterte Terminates Philippines Troop Pact, US Calls Move ‘Unfortunate’”, Reuters, disponibile online al link https://www.reuters.com/article/us-philippines-usa-defence-idUSKBN2050E9.

[15] The Kaiser Family Foundation (2023), “US International COVID-19 Vaccine Donations Tracker”, 30 giugno, disponibile online al link https://www.kff.org/coronavirus-covid-19/issue-brief/u-s-international-covid-19-vaccine-donations-tracker/.

[16] Fort Magsaysay (Nueva Ecija), base aerea Basa (Pampanga), base aerea Antonio Bautista (Palawan), base aerea Mactan-Benito Abuen (Cebu) e base aerea Lumbia (Cagayan de Oro).

[17] Cfr. Tran, B.T. (2019), “Presidential Turnover and Discontinuity in the Philippines’ China Policy”, Asian Perspective, Vol. 43 (4), p. 637.

[18] UN Comtrade Database, “Philippines”, dati 2022, ultimo accesso il 15 giugno 2023.

[19] Republic of the Philippines, Philippine Statistics Authority, “Approved Foreign Investments by Country of Investor 2011 to 2022”, disponibile online al link https://psa.gov.ph/foreign-investments-press-releases/time-series-data.

[20] The Straits Times (2017), “Philippine President Duterte Takes Swipe at Washington’s Retreat from TPP Free Trade Deal”, 8 agosto, disponibile online al link https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/philippine-president-duterte-takes-swipe-at-washingtons-retreat-from-tpp-free-trade.

[21] Cfr. de Castro, R.C. (2017), “The Duterte Administration’s Appeasement Policy on China and the Crisis in the Philippine-US Alliance”, Philippine Political Science Journal, Vol. 38 (3), pp. 159-181.

[22] Republic of the Philippines (2017), “National Security Policy for Change and Well-being of the Filipino People, 2017-2022”, aprile, p. 13, disponibile online al link https://nsc.gov.ph/attachments/article/NSP/NSP-2017-2022.pdf.

[23] Lim, B.K. (2016), “Philippines’ Duterte Says South China Sea Arbitration Case to Take ‘Back Seat’”, 19 ottobre, disponibile online al link https://www.reuters.com/article/us-china-philippines-idUSKCN12J10S.

[24] US Department of State (2023), Office of the Spokesperson, “US Support for the Philippines in the South China Sea”, Press Statement, 29 aprile, disponibile online al link https://www.state.gov/u-s-support-for-the-philippines-in-the-south-china-sea-4/; The Associated Press (2020), “US Provides Missiles, Renews Pledge to Defend Philippines”, 23 novembre, disponibile online al link https://apnews.com/article/donald-trump-typhoons-south-china-sea-philippines-islamic-state-group-797287b6f7e487956670f8ebad00a742.

[25] Reuters (2021), “Philippines Tells China to ‘Back Off’ After South China Sea Standoff”, 18 novembre, disponibile online al link https://www.reuters.com/world/china/philippines-condemns-chinese-coast-guards-action-south-china-sea-2021-11-18/.

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