Alcuni mesi fa, nel maggio 2020, i media hanno riportato lo spostamento di una parte consistente della produzione di un grande gruppo manifatturiero giapponese, Panasonic, dalla Thailandia al Viet Nam[1]. Quello spostamento ha sicuramente delle ragioni commerciali e strategiche. Due ragioni principali potrebbero essere la crescita economica del Viet Nam (con conseguente crescita del Paese come potenziale mercato), e l’entrata in vigore dell’accordo commerciale fra il Viet Nam e l’Unione Europea (UE)[2], che renderà più semplice esportare prodotti giapponesi fabbricati in Viet Nam. Qualunque siano le cause, se lo spostamento relativo agli investimenti diretti giapponesi dalla Thailandia verso il Viet Nam continuerà, avrà probabilmente importanti conseguenze economiche e geopolitiche.
Gli investimenti diretti esteri (IDE) sono stati per decenni uno dei principali motori di sviluppo dei Paesi del Sud-Est asiatico. I primi cinque Paesi a formare il blocco regionale dell’Association of South-East Asian Nations (ASEAN), Indonesia, Malaysia, Singapore, Thailandia e le Filippine (anche noti come “ASEAN-5”), hanno saputo attrarre IDE dai Paesi più industrializzati, e sfruttare l’afflusso di capitale e tecnologia, che li ha aiutati a raggiungere un livello di sviluppo socio-economico molto più elevato degli altri Paesi dell’area, Cambogia, Laos, Myanmar e Viet Nam (oggi anche noti come “CLMV”), i quali, per ragioni storiche di instabilità politica (guerre indocinesi, Khmer Rouge in Cambogia, regime militare in Myanmar) e anche a causa della Guerra fredda (influenza sovietica nei Paesi comunisti e chiusura al capitale e all’influenza dei Paesi del blocco americano) non hanno ricevuto in passato i benefici degli IDE da parte dei Paesi occidentali o del Giappone.
Negli ultimi anni, grazie a riforme politiche e commerciali e a un clima internazionale più sereno, anche questi Paesi a più basso reddito hanno visto una crescita notevole degli IDE. In questo articolo tratteremo il flusso degli investimenti del Giappone, il principale investitore diretto nei Paesi ASEAN, in Thailandia e in Viet Nam. La Thailandia è stata la principale destinazione di investimenti diretti giapponesi nei Paesi ASEAN dagli anni Ottanta a oggi. Questo però potrebbe cambiare nel prossimo futuro. L’Indonesia nel 2019 ha superato la Thailandia per ammontare di investimenti giapponesi (il che è già successo in passato e potrebbe essere temporaneo), e il Viet Nam, seppure ancora distante, è stato negli ultimi tre anni il terzo Paese ASEAN per ammontare di investimento diretto giapponese[3].
Per prima cosa, analizzeremo i dati, per cercare di capire se i numeri confermano la tendenza di questo spostamento degli investimenti dalla Thailandia verso il Viet Nam. Discuteremo poi alcune iniziative di enti pubblici e privati giapponesi in Viet Nam, per cercare di capire se ci sia un progetto politico verso una strategia di cooperazione, e per capire come tali iniziative potrebbero influenzare la tendenza degli investimenti diretti giapponesi nel Paese indocinese. Tratteremo poi dell’attitudine e reazione dei media e delle organizzazioni thailandesi verso questo aumento degli investimenti giapponesi verso il Viet Nam e relativo ridimensionamento del primato thailandese nell’area. Cercheremo, infine, di capire quale potrebbe essere l’impatto sull’economia e sull’assetto geopolitico del Sud-Est asiatico.
Numeri e tendenze
Nel 1986 il Viet Nam, reduce da decenni di guerre e con un Governo finalmente in pieno controllo del Paese, iniziò un programma di riforme economiche noto come Doi Moi. Alla metà degli anni Novanta le riforme cominciarono a produrre effetti e ad attrarre investimenti privati da Paesi stranieri. Al tempo, Singapore era già un Paese avanzato, mentre la Thailandia, la Malaysia, l’Indonesia e le Filippine avevano un livello di sviluppo economico modesto, ma in crescita costante. Cominciamo dunque a osservare le rilevazioni statistiche dal 1995.
Osserviamo che nel 1995 gli investimenti giapponesi nel Sud-Est asiatico erano distribuiti fra gli “ASEAN-5” in misura quasi uguale. Tuttavia, nel 1996 cominciarono sia l’ascesa della Thailandia a principale destinazione di capitale giapponese nel Sud-Est asiatico, sia gli investimenti giapponesi in Viet Nam. Nel decennio fra il 1996 e il 2005, il rapporto fra il flusso di capitale verso la Thailandia e verso il Viet Nam fu di oltre 7 (7,22) a 1, con una media di investimenti annuali verso la Thailandia di 1 miliardo e 232 milioni di dollari, mentre verso il Viet Nam la cifra si attestò a 171 milioni di dollari.
È nel 2006 che gli investimenti giapponesi in Viet Nam cominciano a crescere in maniera importante. In quell’anno triplicarono rispetto all’anno precedente (da 153 milioni nel 2005 a 467 nel 2006). Continueranno poi a crescere progressivamente, fino a raggiungere un picco di 3 miliardi e 266 milioni di dollari nel 2013. Nello stesso periodo, anche la Thailandia ha continuato ad attrarre sempre più investimenti dal Giappone, fino a raggiungere il picco di 10 miliardi e 174 milioni di dollari nel 2013.
Consideriamo ora il rapporto fra investimenti giapponesi in Thailandia e in Viet Nam a partire dal 2005, ovvero da quando il Governo di Hanoi ha cominciato ad attrarre investimenti giapponesi in maniera consistente fino al 2019. Consideriamo rispettivamente gli intervalli di quindici, dieci e cinque anni. Dal 2005 al 2019 la media degli investimenti annuali dal Giappone verso la Thailandia è stata di 4 miliardi e 105 milioni di dollari, mentre verso il Viet Nam è stata di 1 miliardo e 499 milioni. Il rapporto per quel periodo di tempo è di quasi 3 (2,74) a 1. Dal 2010 al 2019 la media degli investimenti annuali dal Giappone verso la Thailandia è stata di 5 miliardi e 120 milioni di dollari, mentre verso il Viet Nam di 1 miliardo e 972 milioni. Il rapporto per quel periodo di tempo si riduce a 2,60 a 1. Infine, dal 2015 al 2019 la media degli investimenti annuali dal Giappone verso la Thailandia è di 5 miliardi e 107 milioni di dollari, quasi invariata rispetto all’intervallo precedente, così come in Viet Nam, stabile a 1 miliardo e 926 milioni. Anche il rapporto, 2,65 a 1, è dunque quasi invariato. Le statistiche sembrano confermare solo parzialmente un cambio di direzione degli investimenti diretti giapponesi nel Sud-Est asiatico. Il Viet Nam cresce e attrae capitali dal Giappone in misura sempre maggiore, ma la Thailandia rimane il principale destinatario del capitale giapponese fra i Paesi ASEAN.
Le politiche di cooperazione commerciale giapponese in Viet Nam
Per capire se c’è effettivamente un cambio di direzione più significativo di quello che i numeri aggregati mostrano, consideriamo ora l’attenzione istituzionale data a iniziative di cooperazione e di promozione degli investimenti giapponesi in Thailandia e in Viet Nam.
La Japan External Trade Organisation (JETRO), il principale organo istituzionale giapponese di promozione commerciale con l’estero, in una sezione della versione inglese del suo sito web, mostra le iniziative di cooperazione e investimento giapponese all’estero[4]. Notiamo che gli incontri istituzionali, le conferenze su investimenti, gli accordi di cooperazione, e altre iniziative di collaborazione fra il Giappone e il Viet Nam sono numerosi. Nel 2020, tre dei nove eventi nel sito riguardano il Viet Nam e, andando indietro negli anni, si nota un’attenzione particolare verso Hanoi, che tende a crescere negli ultimi anni.
Osserviamo che iniziative simili verso la Thailandia sono quasi del tutto assenti. La Thailandia è presente solo in incontri multilaterali (ad esempio, il “Mekong Five Economic Forum” del luglio 2015), o in incontri rivolti ad attrarre investimenti in Giappone, come l’Invest Japan Symposium tenuto a Bangkok nel 2017, che è anche l’ultima iniziativa di cooperazione commerciale fra la Thailandia e il Giappone presente nel sito. La minore presenza di iniziative di promozione e cooperazione non significa necessariamente che il Giappone stia disinvestendo dalla Thailandia. È più probabile che le aziende giapponesi siano già solidamente radicate in Thailandia e che gli sforzi di promozione commerciale verso l’estero siano rivolti verso nuovi Paesi. Inoltre, la Thailandia ha al momento un livello di sviluppo economico e una disponibilità di capitale molto più elevati rispetto al Viet Nam. Questi fattori, assieme a una valuta molto forte (nel biennio 2018-2019 il baht thailandese è stata la valuta che più si è apprezzata verso il dollaro in Asia), fanno della Thailandia non più un Paese dove produrre, ma un mercato per prodotti giapponesi e una fonte di capitale. Il che spiega gli eventi di promozione del Giappone come destinazione di investimenti thailandesi.
Il Viet Nam offre, invece, costi di manodopera inferiori, ma condizioni logistiche e strategiche di valore simile a quelle della Thailandia[5] e, come già citato all’inizio di questo articolo, ha inoltre recentemente siglato un accordo commerciale con l’UE, che permetterà alle aziende giapponesi di produrre in Viet Nam ed esportare verso i mercati europei pagando tariffe minime.
L’attitudine dei media thailandesi
I media thailandesi hanno seguito e riportato la crescita del Viet Nam come meta di IDE con due tipi di reazione. Una più positiva, che vede un maggiore afflusso di capitali nell’area come un dato vantaggioso per tutti, anche per la Thailandia. Un altro tipo di reazione, più negativa, vede invece il Viet Nam come un Paese rivale nell’attrazione di capitale estero.
La reazione più positiva vede gli investimenti nei Paesi “CLMV” come una situazione win-win. La Thailandia potrebbe vedere ridurre la sua quota di investimento estero, ma rimarrà comunque al centro di un’area che crescerà in settori come la logistica, il turismo, il credito o la produzione energetica, che andranno a fornire le economie in crescita dei Paesi “CLMV”. Inoltre, la Thailandia vede quei Paesi come meta di investimenti verso l’estero e anche come futuri mercati per le proprie aziende. Il centro di intelligence economica della Siam Commercial Bank scriveva in un rapporto del 2016 che “il nuovo afflusso di [IDE] giapponesi ha implicazioni per la Thailandia perché è situata strategicamente fra [i Paesi] “CLMV”. La Thailandia può può trarne beneficio servendo da centro più avanzato di manifattura, servizi, logistica e trasporti in grado di connettere le crescenti operazioni giapponesi attraverso la regione[6]”.
I media che hanno reagito in maniera più negativa all’ascesa del Viet Nam, che considerano come un Paese con caratteristiche simili alla Thailandia e quindi una meta alternativa per gli investimenti esteri. Vedono, quindi, la situazione come un gioco a somma zero, dove un aumento del capitale, della tecnologia e dei posti di lavoro in un Paese comporta una diminuzione nell’altro. Le preoccupazioni degli osservatori dipendono dal fatto che il Viet Nam potrebbe sostituire il ruolo di principale centro manifatturiero giapponese nel Sud-Est asiatico, allo stesso modo in cui la Thailandia prese il posto di Malaysia e Singapore quando negli anni Ottanta le economie e i salari di questi due Paesi crebbero così tanto da rendere la produzione poco competitiva. I giornali che hanno riportato in maniera negativa il trasferimento delle aziende giapponesi dalla Thailandia al Viet Nam hanno spesso adottato toni polemici come in questi titoli: “La Shiseido scarica la Thailandia per andare a inserirsi in Viet Nam[7]”, o “La Thailandia, campione degli investimenti esteri giapponesi, tiene d’occhio il Viet Nam, nuova meta degli investimenti[8]”.
L’impatto della crescita del Viet Nam come principale destinazione degli investimenti giapponesi (a scapito della Thailandia)?
È ragionevole dunque chiedersi se le preoccupazioni di alcuni osservatori thailandesi circa un cambio di destinazione degli investimenti giapponesi più a Ovest, verso il Viet Nam, siano fondate, o se abbiano invece ragione i commentatori più ottimisti sulle conseguenze di questo avvicendamento. In realtà, i numeri non sembrano giustificare i timori di un abbandono delle aziende giapponesi della Thailandia. Attualmente, la presenza giapponese nel regno è ben radicata e, seppure meno che in Viet Nam, gli investimenti continuano ancora a crescere. L’esempio dell’azienda Panasonic, che abbiamo citato all’inizio di questo articolo, è significativo in questo senso. L’impianto di produzione, per esempio, di lavatrici in Thailandia che sarà chiuso occupa ottocento lavoratori, ma quelli costituiscono una minima parte delle circa 14.200 persone che lavorano per la Panasonic in Thailandia.
Se le tendenze attuali saranno confermate, possiamo prevedere che la Thailandia manterrà principalmente un livello di produzione volto a soddisfare il mercato interno thailandese, che in alcuni settori, primo fra tutti quello automobilistico, è uno dei maggiori mercati per le aziende giapponesi. Allo stesso tempo, vedremo il Viet Nam affermarsi come base di produzione per l’esportazione verso i mercati più opulenti di Europa, Nordamerica, e dello stesso Giappone. Questo influirà sicuramente sugli assetti geopolitici dell’area, ma in misura minore rispetto ad altri fattori quali la crescita economica generale dei vari Paesi ASEAN e i rapporti commerciali e politici con le altre potenze mondiali, la Cina in primo luogo. Se adotteranno le politiche giuste, volte a incrementare innovazione e diversificazione economica, sia il Viet Nam sia la Thailandia hanno il potenziale di prosperare, superare la trappola del reddito medio (la “middle-income trap”) e diventare entrambi Paesi ad alto reddito nei prossimi anni. Concludiamo questo articolo augurandoci che questo accada possibilmente in maniera non conflittuale, ma cooperativa.
[1] Reuters (2020), “Japan’s Panasonic to Cut 800 Jobs in Thailand, Move Some Production to Vietnam Next Year”, 21 maggio; Watanabe, K. (2020), “Panasonic to move appliance production from Thailand to Vietnam”, Nikkei Asia, 21 maggio.
[2] Comunicato stampa UE (2020), “Entrata in vigore dell’accordo commerciale UE-Viet Nam”, 31 luglio, disponibile online al link https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_20_1412.
[3] Japanese External Trade Organization (JETRO), “Japanese Trade and Investment Statistics”, disponibile online al link https://www.jetro.go.jp/en/reports/statistics.html.
[4] JETRO Topics, disponibile online al link https://www.jetro.go.jp/en/jetro/topics/.
[5] Nel 2007, il Logistics Performance Index (LPI) della Banca Mondiale mostrava che, dal punto di vista logistico, la Thailandia era molto più efficiente del Viet Nam, ma nel 2018 il divario era minimo. Dal punto di vista strategico (commerciale), per le aziende giapponesi che vogliono decentrare la produzione, ma anche conquistare i mercati emergenti dell’area ASEAN, il Viet Nam offre gli stessi vantaggi di centralità sia geografica che politica (all’interno dell’ASEAN) della Thailandia, cfr. disponibile online al link World Bank (2018), Global Ranking, https://lpi.worldbank.org/international/global.
[6] Economic Intelligence Center (2016), “Japan’s FDI in ASEAN Sharpens Focus on CLMV”, 1° febbraio, disponibile online al link https://www.scbeic.com/en/detail/product/1956?fbclid=IwAR26kS5ofgQ3cKgy14U_Y0CAXFwGjxEmKZy-itSj91ZlyNV3fQvDN81dPGA.
[7] Thai Rath Online (2012), 28 giugno, disponibile online al link (in thailandese) https://www.thairath.co.th/content/271708.
[8] Prachachat Turakit (2012), 21 ottobre, disponibile online al link (in thailandese) https://www.prachachat.net/aseanaec/news-58496.
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