La nuova leadership cinese eredita dalla precedente il compito di porre un freno al fenomeno della corruzione. Il Partito è infatti consapevole che il popolo cinese, pur beneficiando di un notevole progresso economico, critica aspramente (anche se riservatamente) la corruzione rampante nel sistema politico e istituzionale. Cresce la sfiducia nel Partito a causa delle ricchezze accumulate da funzionari corrotti che non di rado fuggono all’estero con i frutti delle loro azioni criminose, o, se restano in patria, veicolano all’estero il denaro carpito. Alcune stime parlano di più di 10.000 funzionari pubblici fuggiti con oltre 100 miliardi di dollari USA sottratti con varie forme di abusi. Per porre rimedio a questa emorragia di denaro pubblico e, soprattutto, per affrontare una grave perdita di “faccia” per il Partito, la nuova leadership sarà chiamata a rafforzare la campagna anticorruzione iniziata dai suoi predecessori, articolatasi essenzialmente in cinque direzioni.
1) Applicazione della Convenzione ONU contro la corruzione (UNCAC). Il governo cinese prese parte attiva alla negoziazione di questa convenzione e fu tra i primi a ratificarla (nell’ottobre del 2005), precedendo così molti paesi, fra cui l’Italia. Da allora, i giuristi cinesi concordano sì sul fatto che questa ratifica sia una pietra miliare nella lotta alla corruzione, ma allo stesso tempo ricordano la necessità di proseguire con le modifiche ai codici (in particolare per quanto attiene alla procedura penale), al fine di adattare le normative nazionali alla convenzione. Questo lavoro dovrà ora continuare con rinnovato vigore.
2) Negoziazione di accordi di estradizione e assistenza legale reciproca. I funzionari corrotti cinesi, come quelli di altri paesi, approfittano delle barriere giurisdizionali tra Stati per fuggire all’estero. Spesso ottengono questo risultato trasferendo i frutti delle loro azioni criminose alle consorti, ai figli e talvolta alle amanti, preventivamente inviati all’estero a questo scopo; la lotta della Cina alla corruzione passa dunque necessariamente attraverso la cooperazione giudiziaria con gli altri Stati. Il governo cinese è da tempo impegnato nella negoziazione di trattati di estradizione e di assistenza legale reciproca, e – se da una parte ha avuto successo nella stipula di tali trattati con vari paesi in via di sviluppo – ha avuto minor successo con i paesi sviluppati. Questi ultimi sono più riluttanti a stipulare tali accordi, sia perché il codice penale cinese prevede la pena di morte per reati economici e finanziari di particolare gravità, sia per il pericolo di tortura e maltrattamenti. Di fronte a queste difficoltà, la Cina tende a perseguire strade basate sulla negoziazione caso per caso. Oltre alle possibilità offerte dalle due Convenzioni ONU in materia (United Nations Transnational Organized Crime Convention o UNTOC e la già citata UNCAC), la Cina può richiedere bilateralmente il rimpatrio del sospettato con l’assistenza dell’Interpol o cercare di ottenerne la condanna nel luogo di residenza. Questa seconda strada rappresenta l’ultimo sviluppo nella storia della cooperazione giudiziaria tra la Cina e i paesi partner in questo campo.
3) La costituzione dell’Associazione internazionale delle autorità anti-corruzione (IAACA). Nell’ottobre 2006, a Pechino, è stata fondata la IAACA su iniziativa della Procura suprema del Popolo cinese. La IAACA è chiamata ad aiutare le autorità anticorruzione sparse nel mondo a stabilire contatti operativi, scambiarsi esperienze e promuovere l’applicazione della convenzione UNCAC. Ai sensi del suo atto costitutivo, l’Associazione è un’organizzazione non-governativa a carattere indipendente. Tuttavia, mentre i suoi membri appartengono alle rispettive autorità nazionali anti-corruzione, sia il presidente che il segretario generale della IAACA sono di nazionalità cinese. In aggiunta, la sede dell’Associazione è a Pechino e i suoi costi sono coperti per intero dal governo cinese. Nel 2013 il governo cinese dovrà fare di più affinché l’Associazione diventi veramente internazionale e possa così servire sia la Cina che gli altri paesi interessati al contrasto dei crimini economici e finanziari.
4) Rafforzamento delle azioni internazionali dell’Ufficio nazionale cinese per l’auditing (CNAO). Consapevole che il continuo stimolo dei consumi interni, obiettivo strategico per le autorità cinesi, costituirà terreno fertile per la corruzione, il governo ha preso misure a livello nazionale per rafforzare gli standard in materia di contabilità e auditing, ritenendo che gli auditors possano giocare un ruolo importante in questo campo. Due eventi segnalano l’intenzione della Cina di perseguire i suoi obiettivi in materia anche attraverso azioni all’estero. In primo luogo, dal 2008 e fino al 2014, l’Ufficio nazionale cinese per l’auditing partecipa ai lavori del Board ONU degli Auditors, con 60 esperti che collaborano alla valutazione di nove programmi di cooperazione multilaterale. In secondo luogo, per migliorare il controllo sui patrimoni statali all’estero, il CNAO ha costituito un nuovo dipartimento specializzato nell’auditing di questo specifico settore che andrà così a rafforzare l’azione della Commissione per la supervisione e l’amministrazione delle proprietà dello Stato (la SASAC, l’autorità principale di supervisione delle proprietà sul territorio nazionale e di quelle oltremare). Infatti, asset all’estero sono andati perduti in passato sia a causa dell’incapacità statale di monitorare un patrimonio sempre crescente, sia per colpa di funzionari corrotti.
5) Partecipazione in organismi regionali ed internazionali anti-riciclaggio. La Cina continuerà nel 2013 la sua attività anti-riciclaggio che è propedeutica al contrasto alla corruzione. La Cina fa già parte dal 2007 del Gruppo d’azione finanziaria (sul riciclaggio), o FATF, ed è anche membro dell’organismo regionale noto come Gruppo euroasiatico per la lotta al riciclaggio (EAG), costituito nel 2004 e che include Russia, Ucraina, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Tajikistan. Le attività dell’EAG mirano a creare una cornice legale e istituzionale per il contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo (AML/CTF), studiare la tipologia del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo e creare unità di intelligence finanziaria. Il lavoro fatto dalla Cina per essere ammessa a queste due organizzazioni e le attività svolte attraverso questi due organismi aumenteranno la capacità del governo di Pechino di prevenire il riciclaggio e di conseguenza la corruzione.
Nei prossimi anni la Cina continuerà a perseguire un approccio pragmatico attraverso la negoziazione di accordi di estradizione e di assistenza legale, ma soprattutto di accordi ad hoc laddove trattati veri e propri non siano possibili nel breve termine. Mentre le riforme legali in questo settore continueranno in parte ad ispirarsi a esperienze maturate in altri paesi, esse dovranno essere configurate in modo tale da poter essere recepite in un tessuto di cultura – anche giuridica – particolare, costituito da uno paese con un concetto molto diverso dello Stato di diritto. Se è compito degli accademici e dei professionisti cinesi fare in modo che in questo processo di inclusione le esperienze maturate in contesti non cinesi mantengano tutta la loro efficacia, spetta alla nuova leadership assicurarsi che questo lavoro venga ora portato a termine con maggiore incisività rispetto al passato e senza indugio. Un fallimento in questo campo potrebbe portare al declino della legittimità del Partito come monopolista del potere in Cina, e, di conseguenza, al destabilizzarsi del paese.
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