Gli investimenti cinesi in Europa

I recenti viaggi di Wen Jiabao e di Li Keqiang in alcuni Paesi d’Europa segnalano una svolta nelle relazioni bilaterali della Cina con gli stati membri dell’Unione: Pechino non si accontenta più solo di sostenere adeguatamente i flussi commerciali, ma, come del resto avviene già da anni in Africa, intende ora investire direttamente, con capitali pubblici e privati, nell’apparato produttivo, nelle infrastrutture e nel debito pubblico dei partner europei, soprattutto dei più deboli.

È stato questo il leit motiv delle visite di Wen Jiabao in Grecia e Italia (ottobre 2010), di Hu Jintao in Portogallo (novembre 2010) e di Li Keqiang in Spagna (gennaio 2011). I leader cinesi perseguono una strategia di rinnovata attenzione verso i paesi “periferici” dell’Unione, molti dei quali sono in difficoltà a causa della crisi finanziaria e accolgono perciò con favore l’afflusso di capitali cinesi.

Con un valore delle riserve valutarie che si avvicina ormai ai tre trilioni di dollari, di cui si stima il 70% sia detenuto in dollari statunitensi, la diversificazione delle valute per uscire dalla “trappola del dollaro” è ormai un imperativo del governo cinese. Yu Yongding, ex consigliere della banca centrale di Pechino e conosciuto con il soprannome di “dollar killer”, è di recente stato citato da Der Spiegel come influente esempio degli analisti che in Cina sostengono che, malgrado le altre valute “non siano necessariamente un rimpiazzo ideale” dei bond americani, la diversificazione permette una minimizzazione delle perdite qualora il dollaro dovesse ulteriormente indebolirsi.

La responsabilità degli investimenti di questo tipo è della State Administration of Foreign Exchange (Safe) e della China Investment Corporation (Cic), che gestiscono un fondo di 200 miliardi di dollari in fondi e quote azionarie. Lo scorso luglio il governo cinese ha acquistato 400 milioni di dollari in titoli di stato spagnoli a lungo termine (e il primo ministro Zapatero l’ha prontamente ringraziato). Nel corso della visita ad Atene, Wen Jiabao ha anche annunciato l’intenzione di continuare ad acquistare titoli del debito greco.

Anche sul fronte degli affari la potenza cinese, forte della mancata distinzione tra capitale (e interessi) pubblici e privati in questo tipo di operazioni, si fa sentire: l’azienda di stato Cosco (che è presente anche al porto di Napoli) ha ottenuto in leasing per cinque miliardi di dollari l’infrastruttura portuale del Pireo per 35 anni, con l’obiettivo di portare il numero annuale dei container in transito da 800.000 a 3,7 milioni entro il 2015. Il Pireo è, nell’ottica cinese, la porta d’ingresso ai mercati dell’Europa centrale e orientale. È stata istituita per gli armatori una linea di credito di 4,5 miliardi di dollari, ma, secondo il New York Times, quasi esclusivamente per acquistare navi di produzione cinese.

In Portogallo, China Power International è interessata a Edp (e non vanno in questo caso dimenticate le possibili sinergie con gli investimenti di Pechino nell’Africa lusofona).

Inoltre, nella città irlandese di Athlone, convenientemente situata a metà strada tra Galway e Dublino, si progetta la costruzione di un grande centro di logistica per le merci cinesi; un’azienda cinese costruirà una sezione di autostrada in Polonia (parzialmente finanziata con fondi comunitari), e capitali cinesi sono interessati a partecipare alla costruzione delle nuove reti autostradali tra Germania e Turchia. Tutto questo ha provocato la reazione allarmata dei commissari europei Antonio Tajani e Karel De Gucht: si chiede almeno alla Cina, reciprocamente, l’apertura del mercato interno delle commesse pubbliche.

Come già avvenuto in altre parti del mondo, la crescita degli investimenti si accompagna a un aumento della popolazione cinese residente (in Spagna, ad esempio, si stima che vivano, legalmente e illegalmente, 240.000 cinesi – erano 161 cinquant’anni fa), a un’offensiva mediatico-culturale senza precedenti (a Bruxelles, alla presenza delle più alte autorità dell’Unione, è stata lanciata l’edizione europea del quotidiano China Daily), e a una richiesta esplicita di sostegno politico nell’ambito dei dossier comunitari (quali commercio ed embargo sulla vendita delle armi).

Se Qu Yingpu, direttore capo del China Daily Media Group, sostiene che il proprio quotidiano in Europa “fornisce una prospettiva razionale e cerca di essere la voce della ragione”, quel che si percepisce nel vecchio Continente per ora è solo la forza del portafoglio.

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