In politica internazionale essere una grande potenza non garantisce una vita facile. La Cina è sempre più consapevole dei dilemmi che la rapida crescita del suo potere comporta. Del resto, la goffaggine dimostrata dalla diplomazia di Pechino nella sua regione negli ultimi anni è una chiara testimonianza delle enormi sfide con cui le autorità cinesi si trovano a fare i conti. Si possono individuare cinque “dilemmi del potere” che la Cina dovrà affrontare.
Il primo dilemma è come valutare correttamente il proprio potere. In questo senso la Cina è ancora un paese di incerta collocazione, se si considera che l’ascesa cinese e la sua velocità dipendono da come si definisce, si misura e si osserva il concetto di “crescita”. Senza dubbio la Cina è il paese più popoloso al mondo, il più grande attore commerciale e il maggior destinatario di investimenti diretti esteri, nonché la seconda economia del mondo per Pil a parità di potere d’acquisto. Tuttavia, in termini di Pil pro capite e di livello di sviluppo umano la Cina si colloca rispettivamente al 97° e al 101° posto. Ha inoltre una disponibilità di risorse pro capite assai limitata e una popolazione in rapido invecchiamento, con oltre 700 milioni di persone che vivono in aree rurali e 150 milioni al di sotto della soglia di povertà (il 36 per cento della popolazione vive con meno di due dollari al giorno).
Secondo, si tratta di stabilire come tradurre le risorse in potere effettivo. Le dimensioni della popolazione, la crescita del Pil e delle spese militari costituiscono per la Cina notevoli risorse di potere, ma per raggiungere le risorse di cui dispongono gli Stati Uniti la strada è ancora lunga. Il soft power, in particolare, non dipende tanto dal governo quanto dalla capacità di offrire e incarnare valori che consentano di esercitare una forza di attrazione nei confronti della società civile. Nel prossimo decennio la traduzione delle risorse di potere in potere effettivo sarà ancor più complicata. A ciò si aggiunga che la stima delle future risorse di potere della Cina si basa spesso su proiezioni lineari che non tengono conto del fatto che la crescita della Cina è squilibrata e insostenibile nel lungo periodo, e che fattori ecologici e sociali potrebbero frenarne considerevolmente lo sviluppo.
Il terzo dilemma è come esercitare il potere in modo appropriato ed efficace. Viviamo in un’epoca di grande cambiamento, in una fase “plastica” della storia mondiale caratterizzata dallo spostamento e dalla diffusione del potere. È la natura stessa del potere a cambiare, con uno spostamento verso reti di vario genere. Uno Stato non può più essere veramente potente se non diventa centro di queste reti, se non è capace di stabilire interconnessioni con gli attori che contano. Ma la Cina è ancora priva di esperienza in questi nuovi giochi del potere internazionale. Le molteplici minacce alla sicurezza nazionale che la Cina si trova a fronteggiare richiedono di integrare gli strumenti della diplomazia, della difesa e dello sviluppo.
Quarto, si deve stabilire come condividere il potere con gli altri e come offrire rassicurazioni. È inevitabile che il potere militare della Cina cresca, fintanto che l’economia del paese si espande e i suoi interessi all’estero si moltiplicano. La Cina apparirà quindi sempre più come una potenza potenzialmente pericolosa, da contenere attraverso la formazione di coalizioni che ne controbilancino l’ascesa. Naturalmente una dinamica di questo genere minerebbe gravemente la posizione internazionale della Cina. La Rpc è assai vulnerabile dal punto di vista geopolitico ed è peraltro priva di esperienza storica su come condividere il potere con altri e su come praticare il multilateralismo. I cinesi dichiarano di avere intenzioni pacifiche, ma è necessario che ne convincano gli altri, in particolare gli Stati Uniti e i vicini asiatici. A tal fine è importante che la Cina partecipi più attivamente ai fora multilaterali e accetti di assumersi nuovi impegni internazionali.
Infine si pone il dilemma di come conservare il potere, evitando comportamenti strategicamente miopi. Una grande potenza può facilmente essere tentata di fare un uso smodato del proprio potere, con il rischio di dilapidarlo. Nei prossimi anni la Cina dovrà mantenere un atteggiamento di moderazione strategica: non un compito facile, considerate le complicate controversie territoriali con i vicini, il crescente nazionalismo dell’opinione pubblica interna e le difficoltà dei vari attori della politica estera cinese a coordinarsi fra loro. In più, per avere successo la grand strategy della Cina dovrebbe guardare più al contesto esterno in cui si trova ad operare che alle sue capacità rispetto ai singoli Stati con cui interagisce. Per la Cina sarebbe costoso ed autolesionista lanciarsi in una sconsiderata competizione per la supremazia, magari concentrandosi su un singolo paese per quanto potenzialmente minaccioso, senza prestare la dovuta attenzione alla necessità di preservare un ambiente esterno favorevole.
È necessario che la Cina tenga a freno gli impulsi imperialistici, convincendosi che non sempre accumulare potere è vantaggioso, e impari ad ascoltare e a comunicare con maggiore chiarezza. Dovrebbe inoltre accettare con meno riserve le norme su cui si fonda l’ordine internazionale e a cui non sembra esservi alternativa.
La comunità internazionale dal canto suo dovrebbe sforzarsi di comprendere meglio le preoccupazioni della Cina, le sue aspirazioni e le difficoltà che incontra nel processo di modernizzazione. Una Cina in via di evoluzione può essere integrata e resa partecipe dei processi di cooperazione internazionale, se le si offrono incentivi sufficienti e stimoli continui. Per contro, un’esagerata paura delle capacità e delle intenzioni della Cina può diventare causa di conflitto e condurre a risultati tragici. Quel che serve è un reciproco e dinamico adattamento tra Cina e mondo esterno: un processo già in atto, ma che dovrà proseguire e intensificarsi nei prossimi anni.
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