Per la giovane democrazia taiwanese, il risultato delle recenti elezioni rappresenta un momento storico per varie ragioni: è stata eletta la prima presidentessa donna, Tsai Ying-Wen; è stata messa fine alla pluridecennale supremazia del Partito nazionalista, il cui passato è segnato da anni di terrore e violenza contro il popolo taiwanese; la cosiddetta Terza forza (gruppi politici e civici formatisi in seno al Movimento dei girasoli) ha messo a dura prova il sistema bipartitico che ha dominato la scena politica taiwanese degli ultimi decenni. I media, nazionali e internazionali, hanno abbondantemente discusso questi cambiamenti interpretandoli come un ulteriore passo verso lo sviluppo democratico della nazione. Tuttavia la democrazia taiwanese, a causa della tuttora irrisolta relazione con la Repubblica popolare cinese (Rpc), si trova a dover fronteggiare svariate contraddizioni generate dalle libertà della sua stessa esistenza democratica.
Questo articolo, prendendo come esempio la recente formazione di alcuni partiti minori che non sono riusciti ad assicurarsi seggi in parlamento (o che hanno optato per non partecipare alle elezioni nazionali), si pone l’obiettivo di mettere in luce le tensioni che la giovane democrazia si trova ad affrontare quando la sua esistenza, che va di pari passo con una crescente integrazione sociale ed economica con l’altra sponda dello Stretto, è messa a dura prova dall’emergere di partiti politici con un manifesto pro-unificazione.
Nel corso degli ultimi otto anni, in un contesto in cui il partito al potere, il Partito nazionalista (Kuomintang: Kmt, 國民黨), ha favorito una serie di politiche di integrazione economica tra le due parti dello Stretto, gruppi sociali con un forte senso nazionalista e pro-unificazione hanno trovato un terreno fertile per consolidare le proprie identità. Questo non è avvenuto soltanto a livello di società civile, ma anche nella sfera politica, con un aumento dei partiti che promuovono la riunificazione pacifica attraverso lo Stretto. Tra questi partiti, il China production party (Zhongguo shengchan dang, 中國生產黨), il Chinese new resident party (Zhonghua xinzhumin dang, 中華新住民黨) e il Taiwan new republican party (Taiwan xinzhumin gonghedang, 台灣新住民共和黨), assumono un’importanza particolare in quanto creati da un gruppo sociale la cui presenza nell’isola è stata dibattuta ampiamente nel corso degli ultimi vent’anni, ossia le migranti per matrimonio provenienti dalla Rpc.
Arrivate nell’isola per ragioni economiche e famigliari, come conseguenza di un matrimonio contratto con un cittadino taiwanese, queste migranti, prevalentemente donne, si sono trovate a fare i conti con un ambiente relativamente ostile a causa del loro presunto legame con il maggiore nemico politico di Taiwan, ossia il Partito comunista di Pechino. L’arrivo in massa di queste migranti, in particolare dalla fine degli anni Novanta, è strettamente connesso alla lunga storia delle relazioni tra Rpc e Repubblica di Cina (Rdc). Questa, come è noto, è stata segnata da decenni di guerra civile tra Partito comunista e Partito nazionalista in territorio cinese prima degli anni Cinquanta, e – in seguito alla sconfitta dei Nazionalisti e alla conseguente fuga di questi ultimi a Taiwan nel 1949 –, dalla scissione del territorio nazionale cinese in due parti: la Rpc, nella porzione continentale, governata dal Partito comunista, e la Rdc, nell’isola di Taiwan, governata dal Partito nazionalista.
Se dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Ottanta ogni scambio tra le due parti, tecnicamente ancora in guerra, era vietato, una graduale liberalizzazione dei movimenti e degli scambi (da Taiwan verso la Cina e non viceversa) si verificò a partire dagli anni Novanta. Di fronte alle severe restrizioni imposte ai movimenti attraverso lo Stretto per i cittadini della Rpc, e in un periodo in cui Taiwan offriva ancora la speranza di una vita migliore, le unioni matrimoniali con un cittadino taiwanese (spesso uomini che faticavano a trovare moglie nel mercato matrimoniale locale perché troppo anziani, divorziati o poveri) divennero una strategia per aggirare le restrizioni imposte alla libertà di movimento. Gradualmente, queste unioni si sono evolute per includere individui appartenenti a qualsiasi classe sociale sia in Cina che a Taiwan. A dicembre 2015 c’erano, a Taiwan, 330.069 cittadini/e della Rpc sposati/e con un/a cittadino/a taiwanese. Un numero, questo, relativamente insignificante per la Cina, ma molto importante per Taiwan, un’isola con poco più di venti milioni di abitanti. Di questi immigrati, circa 120 mila avevano ottenuto la cittadinanza taiwanese alla fine dello scorso anno, il che in termini pratici significa anche il diritto di votare alle elezioni.
Di conseguenza, un acceso dibattito è sorto a Taiwan riguardo alla capacità di questi cittadini di influenzare il futuro dell’isola sostenendo partiti pro-Cina. Non si tratta di un tema nuovo per questo gruppo sociale. Nel contesto storico e politico delle relazioni tra le due sponde dello Stretto, l’arrivo in massa di migranti matrimoniali dalla Rpc è stato interpretato a Taiwan come una minaccia alla sovranità e sicurezza nazionale fin da quando il fenomeno ha iniziato ad assumere proporzioni significative. L’idea che questi cittadini, prevalentemente donne, potessero avere un impatto non solo sulla matrice della nazione taiwanese – contribuendo a riprodurre la futura generazione di cittadini – ma anche nella sfera politica immediata, esercitando il loro diritto di voto, ha spinto il governo taiwanese a sviluppare politiche di immigrazione molto restrittive nei confronti di questo gruppo sociale. La letteratura abbonda di resoconti concernenti questo trattamento differenziato e le sue conseguenze sulla vita di queste migranti e delle loro famiglie. Tuttavia, le migranti matrimoniali dalla Rpc hanno reagito a queste discriminazioni organizzandosi collettivamente: spesso grazie all’aiuto dei propri mariti taiwanesi, sono riuscite a dar voce ai propri interessi e ad aumentare il proprio potere negoziale nei confronti del governo e della società taiwanesi. Tuttavia, integrate in un più ampio movimento di migranti a Taiwan, le richieste delle migranti matrimoniali della Rpc hanno spesso assunto un’importanza secondaria nelle priorità del movimento, in parte per la specificità delle loro esigenze, in parte per la chiara politicizzazione di questa categoria. In questo quadro, il passaggio da azioni collettive all’interno della sfera civile taiwanese ad azioni politiche è qualcosa di piuttosto recente. Alcuni media nazionali guardano a questi partiti con preoccupazione in quanto possono essere sintomo di un’infiltrazione di Pechino nella politica taiwanese con lo scopo di influenzarne l’evoluzione presente e futura.
In base all’esperienza di ricerca di chi scrive nel contesto delle organizzazioni civili e dei movimenti politici, l’emergere di questi partiti si deve a una serie di fattori concorrenti:
a) sostegno da parte delle autorità della Rpc, plausibile ma difficile da dimostrare;
b) presenza di un numero consistente di cittadini della Rpc che non solo ha ottenuto la cittadinanza taiwanese, titolo necessario per avere il diritto di voto, ma anche i dieci anni aggiuntivi di residenza a Taiwan, titolo necessario affinché un cittadino dalla Rpc possa fondare un partito;
c) risposta prevedibile di fronte ad anni di politicizzazione di un fenomeno che in realtà è motivato da ragioni personali, familiari, economiche;
d) accumulo di esperienza all’interno della società civile, che ha permesso di definire nuovi obiettivi politici;
e) infine, la possibilità che questi partiti abbiano altri interessi, tutt’altro che politici, in quanto potrebbero rappresentare un canale efficace per raggiungere nuovi contatti e incrementare le opportunità economiche in territorio cinese.
È difficile prevedere l’impatto che questi partiti potranno avere in futuro nella sfera politica taiwanese. Tuttavia la loro presenza è un importante fattore dello sviluppo democratico dell’isola e delle contraddizioni che ha prodotto.
Taiwan non soltanto ha raggiunto una buona rappresentanza femminile all’interno delle sue istituzioni politiche, come dimostrato anche dall’elezione della sua prima presidentessa donna, ma sembra anche offrire opportunità di partecipazione politica ai suoi migranti. Questo è un esempio più unico che raro in un contesto regionale di migrazioni motivate da ragioni familiari, in cui le migranti per matrimonio vengono inquadrate dalle società riceventi prevalentemente come mere madri e mogli, o, al più, in termini economici, come lavoratrici. Taiwan non è da meno: tuttavia i tre partiti formati dalle migranti matrimoniali dalla Rpc sono indicativi di come la loro influenza possa estendersi anche al di fuori dell’ambito riproduttivo della famiglia. Ora è importante capire se, e fino a che punto, questi partiti, generatisi in seno alle libertà democratiche offerte dall’isola, possano influenzare l’esistenza stessa di Taiwan, le sue aspirazioni di indipendenza, e il suo assetto democratico.
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