Il banco di prova dell’economia rurale

Il China Policy Lab (Cpl) è un’iniziativa di condivisione delle agende di ricerca sulla Cina contemporanea, organizzata e ospitata dal Center for Italian Studies della Zhejiang University.

Ospite del terzo appuntamento del China Policy Lab è stato Michele Geraci, docente di Finanza e direttore del China Economic Policy Program presso la Nottingham University Ningbo, oltre che responsabile per la Cina del Global Policy Institute di Londra. L’analisi di Geraci si è focalizzata sulla importanza – ampiamente sottovalutata – dell’economia rurale nelle dinamiche sociali e macroeconomiche della Cina odierna. Il settore agricolo è stato infatti il primo banco di prova per le riforme volute da Deng Xiaoping a partire dalla fine degli anni settanta del secolo scorso, e i cui risultati hanno portato la Cina a diventare la potenza economica di oggi.

Il seminario è stato arricchito dalla proiezione del documentario China Rural Economy, prodotto e commentato da Geraci stesso. Nel video, le riflessioni economiche sono state integrate da vivide interviste con i contadini di Xingyi, località rurale nella provincia del Guizhou. Il documentario ha ripercorso brevemente la storia delle riforme rurali dei primi anni ottanta, quando Deng diede ai contadini la possibilità di vendere sul mercato, a prezzi non regolati, l’output agricolo in surplus. Gli incentivi per gli agricoltori – che venivano dall’esperienza di socialismo reale delle comuni rurali – conobbero un completo ribaltamento e l’aumento della produttività e dei redditi fu sensazionale. Le riforme furono portate avanti in maniera graduale e sperimentale, una provincia dopo l’altra, facendo coesistere pianificazione economica e meccanismi di mercato. L’attuale dibattito sul drammatico gap tra città e campagne nasconde, secondo Geraci, un’imprecisione analitica e di prospettiva. Il reddito rurale è molto più basso di quello urbano, ma: a) il costo della vita nelle campagne è molto più basso di quello delle città; b) per i contadini la terra offre una fonte stabile e sicura di reddito; c) l’abitazione non comporta spese di affitto, un costo rilevante per chi vive in città; d) l’alimentazione è garantita dalla propria terra o da quella dei vicini; e) il lavoro nei campi è limitato alla stagione della semina e del raccolto, mentre per il resto dell’anno si possono cercare altri impieghi temporanei, integrando i propri salari. Per decostruire i miti sulla vita nelle campagne e articolare meglio problemi e prospettive future, Geraci ha individuato tre temi chiave: microcredito, proprietà terriera e sistema dell’hukou (户口).

Il microcredito è spesso proposto come soluzione per incrementare produttività e reddito dei piccoli agricoltori. Attraverso il prestito sarebbe possibile comprare migliori sementi e fertilizzanti, nuove macchine agricole o diversificare la produzione verso un valore aggiunto maggiore. Tuttavia, lavorando sul campo, si apprende della difficoltà dei contadini ad ottenere prestiti dalle istituzioni creditizie formali. Le soluzioni più adottate sono i prestiti da parenti, amici o in molti casi il ricorso al sistema bancario ombra. Molto spesso, la liquidità ottenuta viene impiegata per migliorare le condizioni abitative, anziché essere reinvestita in attività agricole. Inoltre, come spiegato dai contadini, acquistare collettivamente risorse e mezzi di produzione è poco praticabile, a causa della diversità dei terreni e delle esigenze produttive.

La terra è proprietà collettiva del villaggio e i contadini godono unicamente del diritto di utilizzo per un periodo destinato a prolungarsi da un minimo di 15 a un massimo di 35 anni, variabile a seconda della zona. È quasi certo che il leasing sia rinnovato allo scadere del periodo, ma a causa dell’incertezza sulle politiche future vi è una comprensibile riluttanza a investire cifre rilevanti. Gli agricoltori difficilmente possono convertire la produzione suggerita dal governo verso attività più profittevoli, a causa delle quote minime di produzione agricola imposte a livello nazionale. Inoltre, non è ancora possibile vendere i terreni, ma solo concederli in leasing a un costo molto basso e i terreni delle singole famiglie sono di dimensioni troppo ridotte per generare economie di scala. Una delle opzioni più dibattute è quella di garantire la piena proprietà della terra e la conseguente possibilità di vendita. L’opinione espressa da Geraci a riguardo è però decisamente negativa. Una volta venduti i terreni è molto probabile, sostiene Geraci, che i contadini non siano preparati a investire il denaro ottenuto in attività produttive, con il rischio che dissipino rapidamente le proprie risorse. Una volta esaurita la liquidità, si troverebbero senza mezzi finanziari né terreni da coltivare.

Il sistema di registrazione familiare, detto hukou, è parte cruciale di questo discorso. Da alcuni anni la Cina sta accelerando il processo di urbanizzazione permettendo, in maniera controllata, il passaggio dall’hukou rurale (nongye, 农业) all’hukou “non-rurale” ( fei nongye, 非农业), che garantirebbe l’accesso a migliori servizi di welfare. Obiettivo di questa politica è portare forza-lavoro nelle città ed espandere la capacità di consumo della popolazione. Ma i contadini sono davvero disposti a trasferirsi, attratti dalle promesse della vita urbana? Le interviste condotte da Geraci suggeriscono che in molti casi è vero il contrario. Il trasferimento nei centri urbani comporterebbe la perdita del diritto di utilizzo della terra, che tornerebbe a disposizione collettiva del villaggio. Rinunciare all’hukou rurale significherebbe perdere alcuni importanti benefici, come i sussidi per l’istruzione. L’allontanamento dalle famiglie e dalle proprie tradizioni è un ulteriore deterrente difficile da superare. Infine, l’impiego nelle città sarebbe soltanto temporaneo e gli abitanti rurali, non possedendo competenze specifiche, si troverebbero presto disoccupati e con un affitto oneroso da sostenere.

Geraci propone dunque punti di vista in chiara controtendenza rispetto all’opinione generalizzata sul gap tra città e campagne. Il documentario ha aggiunto vividezza e profondità all’analisi, che è stata integrata dalle voci di diretti protagonisti: man mano che i mezzi di comunicazione diventano più potenti e accessibili, nuove strade nella ricerca e nella divulgazione possono – e devono – essere battute. Tra gli obiettivi che guidano il Center for Italian Studies c’è senz’altro quello di appoggiare e diffondere questo tipo di pratiche innovative.

 

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