Negli anni Quaranta del secolo scorso, dopo la fine della seconda guerra mondiale, si pose in Gran Bretagna il problema di dare alloggio a una crescente popolazione urbana: per questo venne lanciato un movimento nazionale per lo sviluppo di nuove città (“new towns”), normato dal “New Town Act” del 1946. Furono così costruite 27 nuove città, sul modello della “città-giardino” ideato da Ebenezer Howard circa mezzo secolo prima. Oggi, cinquant’anni dopo, la Cina è teatro di una simile operazione di ingegneria urbanistica e sociale, su scala molto più vasta e con un impatto di portata globale.
La Cina si propone di raggiungere un tasso di urbanizzazione del 60 per cento entro il 2030, il che significa che ogni anno, in media, circa 16 milioni di residenti delle aree rurali – quasi una quarto della popolazione dell’Italia – verrebbero ad essere trasferiti in contesti urbani. Questa tendenza è in atto da più di due decenni, secondo quella che il geografo David Harvey ha definito “la più grande migrazione di massa che il mondo abbia mai visto”. Nel 1985 meno del 20 per cento della popolazione cinese risiedeva in città. Da allora la popolazione urbana è cresciuta a un ritmo di circa l’1 per cento annuo, per superare il 50 per cento della popolazione cinese totale nel 2011, nonostante il tasso di natalità nelle città sia rimasto più basso per effetto delle politiche di controllo delle nascite.
Le conseguenze visibili di questa urbanizzazione di massa sono enormi progetti infrastrutturali nell’intero paese: da dighe, ponti e autostrade a quartieri residenziali recintati, centri commerciali e grandi edifici pubblici. Ogni anno sono state costruite 11 milioni di unità abitative, e ogni giorno vengono creati da 10 a 15 nuovi quartieri residenziali. Tutto ciò ha trasformato profondamente il panorama urbano del paese. Questo straordinario cambiamento demografico, unito al boom dell’edilizia, ha portato ad ambiziosi piani per la costruzione di nuove città. Il governo cinese ha annunciato che costruirà 20 nuove città ogni anno per 20 anni: ne consegue che, entro il 2030, saranno costruite almeno 400 nuove città.
In aggiunta ai cambiamenti demografici, il “grande balzo in avanti” nella costruzione di nuove città è anche l’effetto del desiderio dei governi locali di individuare nuove aree per la crescita economica. Esistono oltre 150 Zone nazionali di sviluppo economico e Parchi industriali ad alta tecnologia, oltre a numerose aree simili a livello provinciale. Nonostante siano state inizialmente concepite a fini di sviluppo industriale, la maggior parte di queste zone si è trasformata sin dalla fine degli anni Novanta in aree di sviluppo residenziale e commerciale, sulla spinta del boom del settore immobiliare.
In confronto ai precedenti britannici, le “new towns” cinesi sono di gran lunga più grandi e riflettono un’agenda economica e sociale ben più ambiziosa. Mentre le nuove città britanniche venivano costruite per dare alloggio a circa 50.000 persone l’una, le nuove città cinesi hanno spesso l’obiettivo di ospitare 500.000 persone e oltre: in questo senso, esse corrispondono ancor di più ai criteri di “auto-sufficienza” economica e sociale immaginati da Howard per la sua “città-giardino”. Sono spesso le stesse maggiori municipalità cinesi a istituire “new town”, come motore economico per l’attrazione di investimenti e come strumento di marketing per migliorare la propria immagine. Queste città nascono quindi da una forte esigenza di globalizzazione. Realizzate sulla base di un elaborato processo di progettazione e sviluppo, esse sono spesso concepite come casi esemplari di urbanismo, basati sulle più avanzate tecnologie.
Uno sviluppo recente di questo movimento per le “new town” è l’eco-città. Nel 2007 la Cina è diventata il primo produttore di gas serra, superando gli Stati Uniti. La combinazione di economia di mercato e sistema di governo autoritario consente enormi investimenti nello sviluppo di tecnologie verdi all’avanguardia, con la messa in atto di politiche che sono spesso di più difficile attuazione in Occidente. Per questo la Cina ospita oggi numerosi esperimenti di eco-città. Nel 2004 venne approvato un ambizioso piano che, con il sostegno dei governi cinese e britannico, mirava a costruire la prima eco-città al mondo a consumo zero di energia e senza emissioni di anidride carbonica. Si tratta di Dongdan, nuova città da costruire su di un’isola fluviale dello Yangtze nei pressi di Shanghai. Venne predisposto un elaborato master plan per conseguire obiettivi di sostenibilità ecologica e sociale; tuttavia il cantiere non fu mai avviato e il progetto venne infine cancellato nel 2009. Tra i fattori che ne hanno determinato il fallimento vi furono, oltre agli scandali politici e alle proteste degli ambientalisti, anche il divario tra la visione radicale su cui si fondava il progetto e i problemi concreti posti dalla progettazione e dal finanziamento.
L’esperienza di Dongdan fu però un’importante lezione, sulla base della quale il governo centrale ha poi istituito un’altra eco-città modello, in partnership con Singapore: l’eco-città di Binhai, a Tianjin. La nuova città occupa un’area di 30 chilometri quadrati (costituiti principalmente da terre saline-alcaliche e terre di risulta) e – quando sarà pronta, nel 2020 – darà alloggio a 350.000 residenti. Il progetto prevede l’impiego di 26 indicatori di performance, come linee guida per controllare le prestazioni ambientali nella fase di costruzione e sviluppo.
Le “new towns” cinesi sono dunque concepite come modelli di pianificazione ecologica e per questo sono mirate a influenzare profondamente lo sviluppo urbano della Cina nell’attuale fase di massiccia urbanizzazione. In questo senso, le “new towns” rappresentano iniziative top-down, di ispirazione governativa e finalizzate a introdurre nuove idee all’avanguardia nel settore della pianificazione urbana. Resta tuttavia da vedere quanto questi progetti potranno avere successo, poiché le sfide sono tante sia dal punto di vista tecnologico sia da quello socio-economico (per esempio sul versante delle politiche energetiche e delle politiche riguardanti la proprietà della terra). In ogni caso, la nascita di migliaia di nuove città nei prossimi vent’anni sarà un fenomeno da osservare, anche per l’influenza che esso potrà esercitare sul resto del mondo.
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