In un discorso preparato con cura, il presidente cinese Xi Jinping ha di recente affermato che ognuno ha le proprie aspirazioni e i propri sogni e che, pertanto, i cinesi dovrebbero interrogarsi su quale sia il “sogno cinese”. Si tratta di una domanda molto importante. A ben vedere, infatti, l’interrogativo fondamentale del dibattito sull’ascesa della Cina non è tanto come si debba misurarne la forza, quanto come si possano decifrarne le intenzioni. Nelle parole di Xi, il “sogno cinese” è “il compimento della grande rinascita della nazione cinese”.
Mentre il mondo intero discute dell’“ascesa” della Cina, i cinesi preferiscono utilizzare un’altra parola – “rinascita” (fuxing, 复兴), che ha un significato differente. Per comprendere le intenzioni della Cina e il “sogno cinese”, bisogna innanzitutto cogliere la logica che sta dietro all’utilizzo di questa parola. Con il suo impiego, i cinesi intendono enfatizzare il ritorno a uno status di grandezza piuttosto che l’ascesa dal nulla. Il termine ha le sue radici nella storia e nell’esperienza nazionale dei cinesi, in particolare nelle vicende del cosiddetto “secolo di umiliazione nazionale” tra la prima Guerra dell’oppio (1839-1842) e la fine della guerra sino-giapponese (1945). È il periodo in cui la nazione fu attaccata, dominata e spartita da varie potenze imperialiste. Senza una piena comprensione di questa parte della storia cinese e delle sensibilità che ne derivano, non si possono capire il nazionalismo cinese e le sue ricadute internazionali.
Il nazionalismo è un fenomeno complesso. Ne esistono diversi tipi, che si possono manifestare lungo linee civiche, etniche, culturali, religiose o ideologiche. In confronto ad altri paesi, in Cina il nazionalismo non è né religioso, né etnico, né propriamente ideologico: scaturisce invece dall’esperienza nazionale del Paese e dalla sua coscienza storica.
In questo senso, il “complesso di predestinazione-mito-trauma” è un utile strumento interpretativo per comprendere il nazionalismo cinese. In quanto cittadini del “Regno del centro”, i cinesi avvertono un forte senso di predestinazione – una sorta di “destino manifesto” –, mentre le incursioni occidentali e giapponesi e la degradazione a semi-colonia costituiscono per i cinesi l’“umiliazione nazionale”, il trauma storico del Paese. Allo stesso tempo, i cinesi sono molto fieri della loro storia, della loro civiltà e dei grandi successi del passato, che sono determinati a far rivivere. Questo è appunto il “sogno cinese.” È vero d’altronde che la Cina non è più debole e isolata come una volta: al contrario, è una potenza che ha la capacità di incidere sulla politica internazionale. Tuttavia, i cinesi non si sono realmente emancipati dalla passata umiliazione: i nuovi successi della Cina e la sua crescente fiducia in se stessa servono piuttosto a rafforzare questa coscienza storica, alimentando – e non attenuando – la memoria delle passate umiliazioni.
Questo complesso non è solo una fenomeno psicologico relativo alla percezione di sé. È piuttosto l’elemento chiave su cui è costruita l’intera identità nazionale cinese. Ciò che noi pensiamo di essere definisce ciò che noi pensiamo di volere: per questo, comprendere l’identità nazionale della Cina offre spunti di riflessione su ciò che la Cina sta cercando di diventare.
È sbagliato dare per assunto che il nazionalismo cinese sia un’imposizione calata dall’alto. Il “nazionalismo ufficiale” di uno Stato dipende spesso dal grado di “nazionalismo sociale” diffuso tra i cittadini. Molti cinesi condividono una forte coscienza storica del “secolo di umiliazione” del Paese. Come in ogni Paese, anche in Cina il sistema scolastico gioca un ruolo fondamentale nel trasmettere i sogni da una generazione all’altra. In seguito al crollo dell’Unione sovietica e dei regimi comunisti dell’Europa orientale, il governo cinese si è allontanato dall’ideologia comunista e ha iniziato a porre l’accento sul senso di una comune identità nazionale cinese. Nel sistema scolastico cinese, per esempio, il tema dell’umiliazione nazionale è assai ricorrente, con corsi di “educazione patriottica” impartiti dall’asilo fino all’università. Ciò spiega in parte perché i giovani cinesi siano così sensibili a questi temi, al punto da scendere in piazza durante le recenti tensioni con il Giappone. Mentre i giovani giapponesi sanno poco della seconda guerra mondiale (per effetto di un sistema scolastico che dedica poca attenzione a quel periodo storico), per molti giovani cinesi è come se la guerra con il Giappone non fosse mai terminata. In un certo senso, le tensioni tra i due paesi sono quindi uno scontro tra educazioni storiche contrapposte.
Questo accento sul trauma nazionale e sul mito si è però dimostrato una lama a doppio taglio per il regime. Da un lato, il “sogno cinese” di una rinascita nazionale ha svolto una funzione positiva, spingendo i cinesi a lavorare per rendere il Paese migliore, più prospero e più progredito. Dall’altro lato, però, l’eccessivo ricorso alla storia come strumento di legittimazione ha limitato la capacità del governo di dare soddisfazione alla propria gente e di partecipare in modo costruttivo alla vita internazionale.
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