Il paradosso della finanza cinese

Nelle stanze dei più prestigiosi circoli economici ed accademici, quando l’economia rallenta si pensa a stimolare la crescita riducendo i tassi d’interesse. A volte funziona, ma non sempre è così. E in Cina questa tecnica potrebbe funzionare ancora meno: la riduzione dei tassi d’interesse potrebbe non essere il modo migliore per stimolare l’economia, anzi potrebbe generare una distorsione ulteriore dell’economia rispetto ai consumi interni. Questo perché bassi tassi d’interesse portano a un uso non efficiente del capitale e incoraggiano il risparmio privato.

La teoria economica standard suggerisce che quando i tassi d’interesse sono bassi il costo del capitale si riduce e questo incentiva le imprese – ma anche il governo – a investire. Un elevato livello di investimenti naturalmente stimola l’economia. Questa teoria funziona, ma solo nel breve termine. Ogni dollaro investito in un paese produce una crescita del Pil di quel paese di circa un dollaro, nell’anno in cui l’investimento viene effettuato. Tuttavia, per rendere tale crescita sostenibile anche nel lungo periodo, l’investimento originale deve generare profitti anche negli anni successivi. Alcuni tipi di investimento (quelli ben ponderati) in effetti riescono a produrre un ritorno anche in anni successivi. Investimenti in progetti mal definiti invece non producono alcun ritorno, cosicché per produrre crescita anche negli anni successivi è necessario effettuare investimenti sempre crescenti.

Usiamo un esempio per spiegare il concetto: se si investono 100 dollari per costruire un chilometro di autostrada, il Pil aumenta più o meno di 100 dollari. Se quest’autostrada rimane vuota, inutilizzata e non contribuisce in modo (pur indiretto) allo sviluppo economico del paese, allora tale progetto non ha prodotto alcun ritorno in quell’anno. L’anno successivo, per ottenere una crescita economica diciamo del 10%, è necessario costruire altri 1,1 chilometri di autostrada, il che richiede un investimento aggiuntivo di altri 110 dollari; anch’essi non produrranno alcun ritorno e continuando con questo sistema, negli anni si creerà un pericoloso circolo vizioso, di fatto una “bolla”.

Gli economisti cinesi conoscono bene questo fenomeno. Ma il concetto è naturalmente noto anche agli economisti occidentali, in particolare a quelli americani, greci, spagnoli e irlandesi, solo per citarne alcuni. Durante periodi in cui i tassi di interesse sono bassi, prendere denaro in prestito dalle banche o dai mercati finanziari costa poco; aziende e governi tendono quindi a indebitarsi senza prestare la dovuta attenzione alla redditività dei progetti che finanziano. Ciò avviene perché, con bassi tassi di interesse, la cosiddetta “soglia minima”, o minimo ritorno atteso sul capitale, è più bassa di quanto lo sia con alti tassi. Se il progetto non produce ritorni elevati non importa: negli anni successivi si potrà sempre prendere a prestito nuovo denaro a costi bassi, ragion per cui trovare i famosi 110 dollari extra per l’estensione dell’autostrada sarà tutto sommato facile. In questo modo tutti sono soddisfatti: i dirigenti delle aziende possono espandere le loro attività (o i propri imperi personali); le banche prestano più denaro e ottengono profitti più elevati (i tassi attivi sono sempre più elevati dei tassi passivi – lo spread –, quindi ai fini del profitto il volume dei prestiti è molto più importante del valore assoluto dei tassi di interesse); i funzionari dei governi locali sono ben lieti e orgogliosi dello “sviluppo” della loro regione. Nessuno dei partecipanti al gioco si cura – ed è normale che sia così – dei benefici prodotti dagli investimenti nel lungo termine: prima che il “conto” arrivi tutti saranno già stati promossi a posizioni di prestigio o comunque trasferiti ad altre mansioni, cosicché la patata bollente passerà nelle mani dei loro successori. La storia ci insegna che, sia in Asia sia in Occidente, questo accade spesso.

Adesso rivolgiamo la nostra attenzione all’effetto dei tassi di interesse sui risparmi privati. Teorie economiche e intuito ci suggeriscono che quando si presentano due alternative su come investire, a parità di rischio, si sceglie sempre quella con i ritorni più elevati. Un investimento può prendere la forma di debito o di azioni; i privati che aprono un conto in banca in pratica stanno investendo i propri risparmi; stanno, in effetti, prestando denaro alla filiale sotto casa. In genere, più sono alti i tassi attivi che la banca pratica, più un individuo è incoraggiato a depositare fondi nel proprio conto, attratto dal ritorno più elevato, senza correre alcun rischio aggiuntivo. Quindi, in condizioni normali, tassi d’interesse bassi tendono a mobilitare depositi più modesti, mentre tassi alti attraggono più denaro. Dal momento che la gente può allocare i propri guadagni o in risparmio o in consumi, tassi di interesse bassi incoraggiano i consumi, mentre tassi alti li sopprimono favorendo il risparmio. Il Pil di un paese ha tra le sue componenti proprio il consumo dei privati; quindi si ritiene che tassi d’interesse bassi promuovano i consumi e dunque la crescita economica.

In Cina avviene invece l’opposto. Come discusso in dettaglio in un recente rapporto pubblicato dal Fondo monetario internazionale (Fmi), i cinesi si comportano da “target saver”, ossia “risparmiatori a obiettivo fisso”. Ciò significa che i cinesi hanno in mente un certo ammontare di denaro che sarà loro necessario quando, per esempio, saranno anziani. Scelgono quindi quanto risparmiare durante la loro vita in modo da raggiungere tale obiettivo. Dal momento che l’obiettivo è fisso, l’equazione è ribaltata: l’ammontare di denaro da risparmiare necessario per raggiungere l’obiettivo è tanto più elevato quanto più sono bassi i tassi d’interesse. Un tasso d’interesse alto invece consentirebbe loro di raggiungere l’obiettivo con meno capitale, che sarebbe quindi disponibile per consumi. In altre parole, l’ammontare dei risparmi dei privati è elevato quando i tassi sono bassi, mentre il consumo aumenta con l’aumentare dei tassi.

Per concludere: nel caso cinese alti tassi d’interesse servono a ottenere un più efficiente uso del capitale, incoraggiano investimenti in progetti con ritorni più elevati e (persino) stimolano i consumi interni, favorendo così il ri-bilanciamento dell’economia.

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