Si è tenuto a Pechino il 14 e 15 maggio scorsi il Belt & Road Forum for International Cooperation – il più importante evento diplomatico dell’anno, organizzato a poca distanza dal G7 di Taormina e dal G20 di Amburgo. L’obiettivo dell’incontro è stato la promozione della Belt & Road Initiative (Bri), promossa dal Presidente cinese Xi Jinping per stimolare la connettività tra la Cina e (per ora) 65 paesi del territorio euroasiatico e africano – ma anche oltre, visto che alcuni Stati sudamericani ne vogliono far parte – attraverso la promozione degli scambi commerciali e culturali, degli investimenti in vari settori, della costruzione di reti infrastrutturali e piattaforme di cooperazione. Il tutto inquadrato nella componente terrestre attraverso la Silk Road Economic Belt e in quella marittima con la Maritime Silk Road.
L’obiettivo del progetto è di esportare la sovracapacità cinese in vari settori quali l’acciaio, le costruzioni, i trasporti e la logistica, al fine di rilanciare la crescita interna e acquisire mercati di sbocco esteri per le merci cinesi. Durante il Belt & Road Forum, Xi Jinping ha parlato di un costo complessivo del progetto di circa 124 miliardi di dollari Usa. Un ruolo centrale, in questo ambito, sarà rivestito dal sistema bancario cinese che ha il compito di accompagnare l’internazionalizzazione delle grandi imprese statali. La Banca centrale cinese ha introdotto prestiti appositi per quegli imprenditori che vogliono investire nei paesi attraversati dalla Belt & Road. E sempre per promuovere le nuove Vie della seta è stata creata la Aiib, la Banca asiatica per gli investimenti in infrastrutture, che si è resa disponibile a finanziare progetti di tipo infrastrutturale concedendo prestiti ai paesi aderenti.[1] Non è un caso che proprio sabato 13 maggio, il giorno prima che si aprisse il Belt & Road Forum, la Aiib abbia ammesso sette nuovi paesi, portando il totale dei suoi membri a 77. Tra questi figura anche l’Italia, che è uno dei paesi fondatori dal marzo 2015.
La Belt & Road Initiative e l’Europa
L’Europa riveste un ruolo fondamentale per la Bri, essendo il vecchio continente il più importante partner commerciale della Cina e la fonte primaria di tutta una serie di tecnologie e know-how necessari all’ammodernamento dell’industria cinese. Bruxelles e Pechino si scambiano ogni giorno merci e servizi per un valore di circa 1,2 miliardi di euro, una somma superiore all’interscambio Cina-Usa. È in un tale contesto che gli investimenti cinesi sul territorio europeo sono aumentati considerevolmente negli ultimi anni, proprio in concomitanza con il lancio della Bri. Basti pensare che l’acquisizione di Pirelli da parte di ChemChina fu fatta, per circa il 25%, attraverso il Silk Road Fund, un fondo cinese creato per promuovere gli investimenti legati alla Belt & Road Initiative; e anche le acquisizioni cinesi nelle aziende tecnologiche in Germania e perfino nelle squadre di calcio del Milan e dell’Inter sono considerate, a Pechino, tasselli della costruzione della connettività euro-asiatica al fine di promuovere la Belt & Road.
L’Europa è oggi la prima destinazione degli investimenti cinesi esteri. Secondo il China Global Investment Tracker dell’American Enterprise Institute (Aei, un think tank con sede a Washington), tra il 2005 e il 2016 sono stati investiti nel continente europeo da parte della Cina 164 miliardi di dollari Usa che, a fronte dei 103 miliardi investiti negli Stati Uniti, fanno dell’Europa la prima destinazione dei flussi cinesi. Analizzando le principali economie del continente, si conta come, tra il 2000 e il 2016, la Cina abbia investito 23,6 miliardi di euro in Gran Bretagna e 18,8 miliardi di euro in Germania; l’Italia è il terzo paese destinatario con una cifra intorno ai 12,8 miliardi di euro, seguito dalla Francia, interessata dagli investimenti cinesi per 11,4 miliardi di euro.
Nel 2016, secondo una recente ricerca del Rodhium Group e del Mercator Institute for China Studies, gli investimenti cinesi nel mercato europeo hanno raggiunto i 35,1 miliardi di euro, cifra di quattro volte superiore a quella degli investimenti europei in Cina[2]. E il flusso di investimenti cinesi non accenna ad arrestarsi: è notizia di aprile il prolungamento dell’offerta di ChemChina per la multinazionale svizzera Syngenta; con la cifra record di 43 miliardi di dollari Usa, si tratterebbe della più grande acquisizione cinese di sempre.
Le prospettive per l’Europa del Sud
Con il raddoppio della capacità di percorrenza del Canale di Suez, gli Stati dell’Europa meridionale occupano una posizione di centralità per la Maritime Silk Road. La Grecia è stato il primo paese a beneficiare di tale situazione: con il progetto di potenziamento del porto del Pireo partito nel 2008, e un investimento cinese di più di 4,3 miliardi di dollari americani, la capacità del porto greco è quadruplicata e ha raggiunto nel 2015 un traffico di 3,36 milioni di Teu. Sono inoltre previsti piani di costruzione di linee ferroviarie in Grecia, in Macedonia, e in Serbia, come la tratta Belgrado-Budapest, per convogliare verso il nord Europa le merci che arrivano nel porto del Pireo. Anche la Spagna guarda con favore all’iniziativa cinese e punta a includere nell’iniziativa cinese i complessi portuali di Valencia e Barcellona.
L’Italia si candida a intercettare parte di questo traffico grazie al progetto dei “cinque porti” nel Nord Adriatico. Il consorzio interesserà le strutture portuali di Venezia, Trieste e Ravenna e i porti di Capodistria (Slovenia) e di Fiume (Croazia) con l’obiettivo di attrarre le navi cargo cinesi che percorreranno il Mediterraneo attraverso il Canale di Suez e indirizzarle fino a Malamocco, località marittima nei pressi di Venezia dove è prevista la costruzione di una piattaforma off-shore.
Se la tratta Shanghai-Amburgo è lunga 11.000 miglia, il viaggio necessario per collegare Shanghai al Nord Adriatico sarebbe di circa 8.600 miglia, con un tempo di percorrenza inferiore di otto giorni rispetto al porto tedesco. Una volta operativo, il complesso portuale dovrebbe quindi essere in grado di gestire tra gli 1,8 e i 3 milioni di Teu all’anno; numeri importanti, se consideriamo che, ad oggi, la totalità dei porti italiani può gestire fino a 6 milioni di Teu l’anno.
Tra opportunità e criticità
Il ruolo dell’Italia nell’implementazione della Bri, incluso il progetto dei cinque porti, è stato uno dei punti del colloquio bilaterale tra il Premier italiano Paolo Gentiloni e il Presidente cinese Xi Jinping il 15 maggio, a margine del Belt & Road Forum. In tale occasione, Xi Jinping ha confermato l’intenzione di inserire i porti italiani tra quelli sui quali investire come terminali delle nuove Vie della seta. In particolare, ha spiegato il Presidente del Consiglio italiano, è previsto il “potenziamento dei porti di Trieste e Genova, collegati ai corridoi ferroviari e autostradali” che raggiungono “il cuore dell’Europa”.
L’Unione europea – come pure alcuni politici italiani – pur professando un’adesione di massima al progetto cinese, ha comunque sollevato una serie di perplessità, soprattutto riguardo la mancanza di attenzione, nel progetto, per le tematiche ambientali – cosa che potrebbe creare problemi, in particolare nel caso di Venezia – e di sostenibilità e trasparenza. In tal senso, la posizione del governo tedesco merita attenzione.
Durante la cerimonia di apertura del Belt & Road Forum – a cui hanno partecipato tutti i grandi paesi europei ad eccezione dell’Italia – il ministro tedesco degli Affari economici Brigitte Zypries ha sottolineato le criticità del progetto cinese, facendo capire in tal modo che Berlino è sì pronta ad approfittare delle innumerevoli opportunità della Belt & Road, ma senza rinunciare ai propri valori.
Il rilancio economico della Cina passa, indubbiamente, per un’implementazione riuscita del progetto Bri. Tocca però a noi europei fare in modo che questo grandioso progetto sia davvero “win-win”: non solo dal punto di vista economico, ma anche – e forse soprattutto – dal punto di vista normativo e valoriale.
[1] Nicola Casarini, “When all roads lead to Beijing: Assessing China’s new Silk Road and what it means for Europe”, The International Spectator 51 (2016): 95-108.
[2] Thilo Hanemann e Mikko Huotari, “Record Flows and Growing Imbalances: Chinese Investment in Europe in 2016”, MERICS papers on China n. 3, gennaio 2017, http://rhg.com/?p=10228.
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