Come evidenziato nei numeri precedenti di questa rubrica, sembra essere in atto in Cina un ridimensionamento degli squilibri con l’estero dovuti all’accumulo di surplus commerciali. Ma qual è l’origine di questi surplus e come vanno evolvendo? Osservando le principali voci della bilancia dei pagamenti cinese in serie storica (figura 1*), si nota il ruolo preponderante del saldo delle partite correnti – a sua volta largamente determinato dalla bilancia commerciale (esportazioni di beni e servizi meno importazioni) – e del conto finanziario – in cui pesano in modo determinante i flussi netti di investimenti diretti esteri (Ide). Il peso del conto capitale, che è ancora soggetto a molte restrizioni, è assai meno rilevante.
Soffermiamoci allora sull’andamento dei flussi commerciali, in particolare delle esportazioni, e sugli investimenti a lungo termine sotto forma di Ide.
Nel periodo precedente le riforme la strategia commerciale della Cina era caratterizzata da forti controlli e restrizioni governative, da politiche di sostituzione delle importazioni e da un tasso di cambio sopravvalutato. I beni ad elevata intensità di capitale dominavano le esportazioni. Ancora nel 1985 le esportazioni di petrolio rappresentavano circa il 20% del totale; la bilancia commerciale era in deficit a causa delle massicce importazioni di beni di consumo. Il processo di liberalizzazione avviato nel 1984 portò a una rapida crescita delle esportazioni. Vi contribuirono, in particolare, l’aumento del numero di imprese commerciali a cui era permesso esportare e la creazione di zone economiche speciali che offrivano un trattamento favorevole alle imprese straniere. Inoltre, il renminbi venne svalutato di circa il 60% rispetto al dollaro. Già nei primi anni ‘90 la struttura delle esportazioni era molto cambiata, con un peso assai maggiore dei prodotti a più elevata intensità del fattore lavoro. Una nuova ondata di liberalizzazioni ha accompagnato e agevolato l’accesso della Cina all’Organizzazione mondiale per il commercio (Omc) del dicembre 2001 e il conseguente boom delle esportazioni. In poco meno di un decennio la Repubblica popolare cinese è diventata il primo esportatore mondiale davanti alla Germania. In un contesto mondiale caratterizzato da una crescente frammentazione della produzione di beni e servizi, la Cina ha conquistato un ruolo crescente nell’assemblaggio e nella produzione di beni intermedi.
Il commercio di beni intermedi iniziò a diventare sempre più rilevante con le riforme avviate da Deng Xiaoping nel 1978 e proseguite gradualmente nei decenni successivi. Fondamentale si rivelò la liberalizzazione dei capitali esteri in entrata. A partire dal 1992 gli Ide crebbero in modo sostanziale (figura 2*), favorendo l’ingresso nel paese di un gran numero di imprese estere che utilizzarono la Cina come piattaforma per l’assemblaggio di parti e componenti, che venivano poi riesportate. Nell’arco di poco tempo, il peso del commercio di beni intermedi raggiunse quello delle esportazioni ordinarie (figura 3*). È tuttavia dopo l’entrata nell’Omc che la bilancia dei pagamenti della Cina inizia a maturare attivi sempre più consistenti (figura 1*). La domanda estera è così diventata un motore cruciale della crescita cinese. Nel 2007, in particolare, l’attivo della bilancia commerciale ha toccato il 7% del Pil. Un recente saggio calcola che questo incremento sia dovuto per circa due terzi all’attivo commerciale dei soli beni intermedi (tabella 1*).
Con la crisi economica internazionale si è assistito ad una contrazione degli attivi di partite correnti e, soprattutto, della bilancia commerciale (figura 1*). Da un lato, infatti, le esportazioni (incluse quelle di beni intermedi) si sono ridotte a causa del calo della domanda dei paesi più colpiti dalla crisi. Dall’altro, il programma interno di stimolo ha fatto crescere le importazioni, sia quelle di beni di consumo che quelle di materie prime. Queste ultime sono state spinte dai maggiori investimenti in infrastrutture. I dati relativi al commercio con alcune aree strategiche mostrano bene questa nuova situazione (tabella 2*). Tra il 2008 e il 2011, il saldo con i paesi membri dell’Ocse si è ridotto notevolmente. Si è registrato, in particolare, un peggioramento del passivo nei confronti dei paesi dell’est asiatico specializzati nella produzione di parti e componenti poi assemblati dalla Cina per essere riesportati. Infine, il saldo negativo dei conti con i paesi dell’Africa sub-sahariana può ritenersi un indicatore di carattere strutturale dovuto alla dipendenza della Cina dalle importazioni di materie prime dai paesi africani.
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