I cambiamenti politici, economici e demografici della storia recente della Repubblica popolare cinese (Rpc) hanno dato origine a interessanti dinamiche migratorie sia verso l’esterno che all’interno del paese. Ad oggi, si possono identificare tre principali aspetti del fenomeno migratorio in Cina. Ci sono innanzitutto flussi di cittadini cinesi in cerca di opportunità all’estero. È un fenomeno con origini lontane nel tempo, che ha prodotto la cosiddetta “diaspora cinese”. C’è poi la migrazione all’interno del paese, dovuta allo sviluppo economico degli ultimi trent’anni. Infine, più di recente, si osserva una crescente immigrazione dall’estero, costituita sia da una migrazione di ritorno che da nuovi flussi da altri paesi.
Secondo statistiche più recenti i cosiddetti cinesi d’oltremare (haiwai huaren, 海外华人) sono oggi circa 40 milioni, mentre alla nascita della Repubblica popolare erano appena 9 milioni (Tabella 1). Di questo gruppo, all’incirca il 75% risiede nel resto dell’Asia, mentre il restante 25% è suddiviso tra gli altri continenti (Tabella 1). Questi numeri, che sono in assoluto molto alti, ma che in termini relativi rappresentano solo tra il 2 e il 3% della popolazione della Rpc, non vanno tuttavia confusi con il fenomeno migratorio vero e proprio, il cui stock stimato per il 2010 era di “soli” 8 milioni di persone (Tabella 2). Il gruppo di cinesi d’oltremare include infatti sia gli individui nati nella Rpc e a Taiwan che quelli nati nel paese ospitante, ovvero le generazioni successive dei migranti. Lo stock di migranti, d’altra parte, include solo gli individui nati in territorio cinese che al momento dei censimenti risiedevano all’estero. I flussi verso il resto del continente e in particolare verso Hong Kong sono prevalenti, ma negli ultimi decenni gli incrementi più sensibili si registrano verso i paesi avanzati quali Stati Uniti, Giappone, Canada e Australia (Tabella 2).
La migrazione cinese ha una componente “storica”, che si fa risalire alla fine del XIX secolo, ed una relativamente più recente, che ha avuto inizio alla fine della Rivoluzione culturale (1966-76). Le due fasi sono tuttavia collegate: la diaspora creatasi durante la prima fase (specialmente verso l’Asia sud-orientale) ha rappresentato il network di riferimento su cui si è appoggiata la nuova migrazione iniziata negli anni ’80 del novecento. La fase intermedia, che va dalla creazione della Rpc alla fine della Rivoluzione culturale, è stata caratterizzata da forti restrizioni: il fenomeno migratorio si è ridotto all’invio di studenti verso l’Unione Sovietica e di lavoratori specializzati verso i paesi in via sviluppo.
I flussi migratori interni, invece, si sono affermati come dinamica sempre più rilevante nel corso degli ultimi trent’anni. Questi flussi erano determinati dalla necessità di trasferire la riserva di forza lavoro poco qualificata dalle aree rurali a quelle urbane. Il fenomeno migratorio all’interno della Rpc si usa distinguere in due fattispecie, a seconda che preveda o meno l’effettiva acquisizione dei diritti di residenza nel luogo di destinazione del migrante, un processo complesso e legato al sistema di registrazione delle famiglie, denominato hukou (户口). Spostamenti che implicano un cambiamento dell’hukou (che garantiscono cioè a chi si sposta gli stessi benefici dei cittadini delle aree urbane) sono consentiti a certe condizioni molto strette. Tuttavia i flussi migratori con cambiamento di hukou sono stati sostenuti (Tabella 3), nonostante in generale riguardino poche categorie di persone (tra cui i benestanti o chi possiede un titolo di studio avanzato). La migrazione rurale-urbana, che secondo le statistiche ha riguardato circa 140 milioni di individui nel corso dell’ultimo trentennio, è consentita invece solo in assenza di benefici dell’hukou (Tabella 3). Finora, tali flussi si sono diretti per la gran parte dalle provincie occidentali e centrali verso quelle della costa, laddove cioè ha luogo la gran parte dell’attività produttiva legata all’export (Tabella 4). Un’analisi dell’Economist ha tuttavia documentato come, più di recente, gli aumenti salariali e gli effetti della crisi economica sulle aree più sviluppate del paese abbiano contribuito ad alimentare flussi verso le province interne.
Oggi è in atto anche un nuovo trend di immigrazione diretto verso la Cina. Il declino della fascia di popolazione locale in età lavorativa insieme alla crescita sostenuta dell’economia hanno portato all’ingresso nel paese sia di forza lavoro a basso costo dai paesi confinanti, che di forza lavoro qualificata dai paesi avanzati. Per motivi simili, si assiste negli anni più recenti a un incremento nel numero di migranti di ritorno (haigui, 海归). Analisi del fenomeno mostrano come si tratti generalmente di un gruppo di persone qualificate che hanno lasciato la Cina per motivi di studio e che hanno acquisito esperienze lavorative all’estero. Secondo le statistiche del Ministero dell’Istruzione cinese, alla fine del 2009 c’erano un milione e seicentomila studenti cinesi all’estero, il 30,7% dei quali è rientrato con un titolo di studio secondario. Negli anni più recenti, inoltre, è cresciuto in modo sistematico il numero di studenti con un titolo di studio avanzato (a livello postgraduate) conseguito all’estero che hanno fatto ritorno in Cina (Tabella 5). Il loro rientro è ritenuto rilevante dal punto di vista strategico: ad esempio, la gran parte del management delle imprese private più dinamiche del paese è costituito da migranti di ritorno, grazie anche dalle esenzioni fiscali garantite da quasi tutte le province del paese.
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