Da anni si continua a guardare al settore delle fonti rinnovabili come alla sorgente della tanto agognata rivoluzione energetica, ma una rivoluzione con conseguenze ancora più significative sembra paradossalmente arrivare da due fonti fossili quali il gas naturale ed il petrolio. La tecnica della fratturazione idraulica (hydraulic fracking) risale al XIX secolo ma soltanto di recente negli Stati Uniti innovazioni tecniche e interventi politico-legislativi l’hanno resa commercialmente sfruttabile su larga scala, permettendo di avviare l’estrazione di estese riserve di gas e petrolio (c.d. shale gas/oil). Nonostante le differenti opinioni sui risvolti pratici dello sviluppo di queste riserve, un generale consenso sembra esistere sul fatto che nei prossimi anni il costo dell’energia negli Stati Uniti si abbasserà notevolmente e il Paese diminuirà la propria dipendenza da importazioni di gas e petrolio. È poi sempre più diffusa l’opinione che i benefici occupazionali diretti (creazione di posti di lavoro nell’indotto dell’esplorazione, trasporto e vendita di petrolio e gas) ed altri vantaggi indiretti (abbassamento del costo del lavoro al livello di paesi emergenti) del fracking siano di portata straordinaria e gli Stati Uniti potrebbero non solo raggiungere l’autosufficienza energetica ma andare oltre: verso un avanzo commerciale grazie l’esportazione del gas e del petrolio in eccesso.
Tralasciando l’Unione europea, nella quale l’opposizione di vivaci associazioni ambientaliste e la difficile situazione politica a livello comunitario e dei singoli Stati sembrano per il momento impedire lo sfruttamento delle seppur considerevoli riserve, la Cina è l’area geografica nella quale lo shale gas potrà avere le maggiori ricadute. Le autorità cinesi hanno osservato con grande attenzione gli sviluppi del fenomeno negli Stati Uniti e, constatato il successo, si vanno attivando onde evitare che il principale concorrente commerciale e geo-politico dei prossimi anni possa acquisire un vantaggio competitivo irrecuperabile.
Il potenziale è enorme: le autorità cinesi ritengono infatti che all’interno dei confini nazionali siano racchiuse le più grandi riserve al mondo di shale gas. Altre analisi sembrano confermare tale dato, ponendo la Cina tra i primi paesi al mondo anche per riserve di shale oil. Non sorprende però che sia il gas a destare maggiore interesse, dal momento che per la Cina, nonostante i periodici proclami di epocali riforme nel campo energetico, il carbone continua a generare il 70% della produzione energetica del Paese (con un uso tuttora in forte crescita). Il gas rappresenta sotto diversi punti di vista un efficiente strumento per una realistica riduzione dell’uso del carbone e delle relative emissioni (soprattutto in ragione della relativa facilità con la quale è possibile riconvertire le centrali termiche). Il governo cinese ha concentrato e continua a concentrare attività diplomatico-commerciali ed investimenti in infrastrutture su due fronti: la Russia ed i paesi dell’Asia centrale da un lato (collegati attraverso gasdotti), e i paesi dell’Australasia fornitori di gas liquido (Lng) dall’altro (connessi tramite i nuovi terminal). Uno dei numerosi vantaggi che potrebbero derivare dallo sfruttamento dei giacimenti di shale gas sarebbe il venire meno della dipendenza dalle importazioni e, al limite, la possibilità di divenire un Paese esportatore. Nel mese di gennaio di quest’anno il governo ha assegnato permessi per effettuare ricerche in 20 diverse zone del Paese (principalmente nel Sichuan e nelle province circostanti).
A fronte di queste opportunità vi sono tuttavia notevoli problemi di natura tecnica, economica ed ambientale.
Problemi tecnici: rispetto agli Stati Uniti (nei quali le operazioni di esplorazione hanno richiesto circa 60 anni e 200,000 pozzi per arrivare allo stato attuale), i depositi cinesi si trovano mediamente a profondità maggiori e in situazioni geologiche più complesse, rendendo le operazioni di trivellazione decisamente più complicate. A questo occorre aggiungere che la maggior parte delle zone per le quali sono stati assegnati permessi di esplorazione sono classificate come ad alto rischio sismico, rendendo quindi necessaria l’adozione di soluzioni tecniche (in alcuni casi non ancora sviluppate in altre parti del mondo) volte a prevenire rischi sismici.
Problemi ambientali: altra problematica di natura sia tecnica che ambientale è quella relativa alle risorse idriche. Il processo di fratturazione idraulica richiede enormi quantità di acqua e, nonostante la questione sia dibattuta, può comportare rischi di inquinamento delle falde acquifere. Se la ricerca di un equilibrio tra uso dello shale gas e tutela delle risorse idriche è un tema dibattuto negli Stati Uniti e negli altri paesi che fanno già uso del fracking, in Cina l’attenzione deve essere decisamente maggiore vista la notoria scarsità di risorse idriche del Paese, con una disponibilità pro-capite di acqua pari a meno di un terzo della media mondiale, e con una distribuzione non uniforme di tali risorse sul territorio.
Problemi economici: gli investimenti associati allo sviluppo di shale gas e shale oil in Cina sono di difficile previsione ma certamente ingenti. Fino ad ora i permessi esplorativi sono stati assegnati solamente alle grandi aziende di Stato, meno interessate ad investire in questo nuovo settore rispetto alle imprese private e alle multinazionali che hanno già sviluppato significative esperienze. Sembra tuttavia che un’apertura ad imprese private sia possibile nei prossimi mesi.
A questi vanno poi aggiunti altri problemi, quali la disciplina giuridica dell’esplorazione e dell’utilizzo delle risorse, la carenza di infrastrutture nelle regioni interessate, l’attività di disturbo di speculatori. Da questo breve quadro dovrebbe comunque risultare chiaro come gli enormi benefici economici, ambientali e geo-politici che la Cina potrebbe ottenere dall’utilizzo delle riserve di shale gas e shale oil non possono essere considerati separatamente da sfide altrettanto significative. Le autorità cinesi, con il sostegno della comunità scientifica ed imprenditoriale, sono già da tempo impegnate a studiare le soluzioni necessarie, avendo perfettamente inteso che questo settore potrebbe diventare uno dei fronti più importanti della “sfida” tra Stati Uniti e Cina nel prossimo decennio.
In questo delicato contesto va inquadrato anche il crescente interesse di un player italiano del peso di Eni, interessato allo sviluppo del promettente blocco a shale gas situato nel Sichuan Basin.
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