Informazioni tratte dai report settimanali (luglio e Agosto 2021) preparati dalla Peace and Development Initiative-Kintha (PDI-Kintha) per conto dell’Arakan Humanitarian Coordination Team (AHCT). Elaborazione a cura di Lorraine Charbonnier
Dopo un forte aumento del numero di casi confermati di COVID-19, il tasso di nuove infezioni nello Stato Rakhine ha iniziato a calare verso la fine di agosto 2021, con meno di 300 nuovi casi registrati tra il 19 agosto e il 1° settembre. Come altrove, è probabile che il trend decrescente sia stato determinato dai lockdown e dalle limitazioni alla libertà di circolazione. Il 20 luglio, la United League of Arakan (ULA), il braccio politico della Arakan Army (AA), ha imposto alla popolazione dello Stato Rakhine due settimane di confinamento nel tentativo di frenare la diffusione del virus. Il 4 agosto l’ULA-AA ha annunciato l’estensione del lockdown fino al 18 agosto e poi ancora fino al 25 agosto. Proprio il 25 agosto, però, il Tatmadaw – cioè le forze armate del Myanmar tornate al potere con il golpe del 1° febbraio – ha annunciato un nuovo lockdown nell’area di Gwa, una città situata all’estremità meridionale dello Stato Rakhine, impedendo ai residenti di uscire di casa prima dell’alba e dopo a mezzogiorno.
Sommandosi alla crisi politica ed economica causata dal colpo di stato militare, le misure restrittive anti-COVID-19 stanno compromettendo la vita e i mezzi di sussistenza delle persone nello Stato Rakhine: “ora che i militari hanno imposto un lockdown e l’Arakan Army ha annunciato l’ordine di rimanere a casa per due settimane, le famiglie povere e la gente comune sono in difficoltà. L’ordine di rimanere a casa rende difficile guadagnarsi da vivere e non ci sono opportunità per i lavoratori giornalieri” ha spiegato un leader della società civile locale, intervistato dall’Arakan Humanitarian Coordination Team (AHCT). “Ci sono molti lavoratori occasionali qui, ma ora non possono uscire per lavorare e quindi si trovano in una situazione critica” ha confermato una donna che vive nell’area di Ramree, aggiungendo che “c’è un po’ di sostegno da parte delle organizzazioni della società civile, ma non è abbastanza”. Le limitazioni imposte alla libertà di circolazione per via della pandemia rendono particolarmente difficile per gli sfollati interni (Internally Displaced Persons, IDPs) generare una qualche forma di reddito. Uno dei coordinatori del campo per IDPs di Kalar Chaung ha spiegato all’AHCT che “alcune persone lavorano occasionalmente fuori dal campo, ma è raro trovare un lavoro e non ci sono abbastanza posti di lavoro per tutti. La situazione nel nostro campo è anche peggiore perché gli unici mezzi di trasporto possibili sono per via d’acqua, quindi non è facile spostarsi da un posto all’altro per lavorare. Anche la situazione dei mezzi di sussistenza è peggiorata a causa dei lockdown. Non c’è quasi più cibo per le circa 100 famiglie che vivono nel campo. La situazione è pessima. Non riusciamo a mangiare abbastanza verdure e non vediamo carne nel nostro piatto da molto tempo. Stiamo mangiando con parsimonia aspettando il sostegno dei gruppi di beneficienza e di altre organizzazioni”.
Nonostante tutte queste criticità, alla fine di luglio i media locali riferivano che il 75% della popolazione del Rakhine stava rispettando le misure restrittive. Talvolta, però, i lockdown sono stati violati e sembra ci siano stati abusi da parte della AA contro chi non ha rispettato gli ordini. Tra questi, sono stati segnalati casi di violenza fisica contro chi lasciava le proprie case e di utilizzo di flashbang per disperdere gli assembramenti nella città di Sittwe. “Nella nostra città chi non indossa una maschera viene picchiato con bastoni di bambù” ha testimoniato un uomo di etnia Rakhine che vive a Minbya. A inizio agosto altri intervistati hanno raccontato all’AHCT che chi non segue gli ordini dell’AA, per esempio non indossando le mascherine, a volte viene multato. “Le persone senza mascherina devono pagare una multa di 1.000 kyat [circa 0,50 euro]. Alcuni si lamentano della multa. Sono arrabbiati e non sanno dove trovare 1.000 kyat. Non tutti possono permettersi una mascherina” ha detto un uomo di etnia Rakhine che vive nei dintorni di Ann. La stessa persona ha spiegato che prima chi arrivava ad Ann da altre città doveva restare 14 giorni in isolamento, periodo che è poi stato aumentato a 21 giorni. Successivamente, ha detto, l’AA ha impedito tutti i movimenti in entrata e in uscita dalla città di Ann, aggiungendo che “non ci sono restrizioni imposte e fatte rispettare dal consiglio militare [l’organo esecutivo della giunta militare] perché [il Tatmadaw] non ha il controllo amministrativo in questa zona da molto tempo”.
A inizio agosto, dopo le accuse mosse contro l’AA, l’ULA-AA ha annunciato la creazione di un meccanismo attraverso il quale i residenti dello Stato Rakhine possono denunciare eventuali violazioni di dritti umani e abusi di potere. Tale annuncio ha ricevuto l’attenzione delle comunità e alcune delle persone intervistate dall’AHCT l’hanno interpretato come un segno della crescente legittimità dell’ULA-AA e un passo verso una maggiore autonomia per la popolazione del Rakhine. Una donna di etnia Rakhine che vive a Sittwe ha detto: “dal mio punto di vista, con questo annuncio, l’ULA-AA sta dimostrando di avere legittimità e potere nello Stato Rakhine. Lo vedo come una prova del fatto che stanno iniziando a mettere in atto l’auto-amministrazione. La gente dello Stato Rakhine sta accogliendo con favore l’annuncio”. Altri intervistati hanno anche precisato che preferirebbero lamentarsi degli abusi con l’ULA-AA piuttosto che con la polizia o le istituzioni giudiziarie dei militari.
Nel frattempo, verso la fine di agosto, il National Unity Government (NUG) ha incontrato una ventina di organizzazioni della società civile di tutto il paese per discutere di come affrontare l’emergenza COVID-19. Durante l’incontro, il NUG ha invitato la società civile a unirsi alla National Health Commission for COVID-19 creata a luglio. Tuttavia, unirsi a questa Commissione – o anche solo interagire con il NUG – è pericoloso perché la giunta militare ha definito il NUG una “organizzazione terroristica” perciò chiunque si unisca, incontri o comunichi con il NUG rischia di essere arrestato. Nello Stato Rakhine non è chiaro se le organizzazioni della società civile decideranno di unirsi alla Commissione. Tale incertezza, però, non è solo dovuta ai rischi per la sicurezza appena menzionati, ma deriva anche dal riconoscimento di una potenziale duplicazione dato che l’ULA-AA si sta già occupando delle attività di prevenzione e risposta a COVID-19. Nonostante ciò, pur essendosi approcciato ad altre organizzazioni etniche armate circa l’emergenza sanitaria, il NUG non sembra essersi ancora confrontato con l’ULA-AA.
La pandemia sta anche avendo un forte impatto sull’assistenza umanitaria e in particolare sull’accesso umanitario. Le autorità militari hanno limitato le operazioni umanitarie a solo alcune forme di assistenza e richiedono a tutti gli operatori umanitari di essere vaccinati contro il COVID-19 e di presentare un tampone negativo per essere autorizzati a spostarsi. Nella pratica, però, la mancanza di strutture per fare i test significa che per molte organizzazioni è complicato soddisfare i requisiti per ottenere l’autorizzazione. Inoltre, non tutti gli operatori umanitari e delle organizzazioni della società civile sono riusciti a ricevere il vaccino. Ciò è particolarmente vero per i volontari e i lavoratori Rohingya – che, avendo il loro diritto alla cittadinanza negato, non possono essere formalmente assunti come personale. Un uomo di etnia Rohingya che lavora per un’organizzazione della società civile e vive nella zona di Maungdaw ha aggiunto che, nel suo caso, sono le limitazioni alla circolazione ad impedirgli di ricevere il vaccino: “io non posso andare a Sittwe per avere la dose di vaccino. Il governo impedisce ai Rohyngya di andare a Sittwe. Quindi, anche se la mia organizzazione è riuscita a ottenere una dose di vaccino per me, io non posso riceverla. La mia organizzazione farà fatica a vaccinare il proprio personale a Maungdaw”.
Un altro grande problema si deve alla crisi finanziaria e bancaria in corso, che rende difficile l’assistenza umanitaria anche quando le organizzazioni riescono a soddisfare i requisiti e ottenere dai militari l’autorizzazione agli spostamenti. A questo proposito, il coordinatore di una organizzazione umanitaria locale ha detto all’AHCT: “abbiamo ottenuto l’autorizzazione a luglio ma non possiamo andare ai campi [per IDPs] a fornire assistenza umanitaria a causa della crisi bancaria. Noi forniamo assistenza economica ai campi, ma non possiamo ritirare denaro dalle banche e, quindi, non possiamo distribuire contanti nei campi. Ora stiamo cercando di ottenere una nuova autorizzazione per agosto, ma non è sicuro che la otterremo […]. E se non otterremo l’autorizzazione non potremo raggiungere i campi anche se [nel frattempo] saremo riusciti a ricevere i soldi dalla banca. Ora come ora, con la crisi bancaria, la terza ondata di COVID-19 e le restrizioni imposte dal Consiglio Militare dello Stato Rakhine ci troviamo di fronte a molti ostacoli.”
A inizio agosto, l’AHCT ha intervistato alcuni residenti di diverse città e zone dello Stato Rakhine per capire quali fossero i loro bisogni e le sfide che devono affrontare. Tutti hanno espresso preoccupazioni in merito ai propri mezzi di sussistenza con particolare riferimento ai ritardi e alle interruzioni dell’assistenza umanitaria. Le persone intervistate in quattro campi per IDPs nelle zone di Ann, Kyauktaw, Minbya e Mrauk-U hanno fatto presente che gli sfollati nei campi facevano affidamento sull’assistenza economica fornita da WFP, ma che da giugno non hanno ricevuto alcun sostegno. Come loro, altri intervistati hanno segnalato ritardi o consegne meno regolari nel supporto fornito dal Department of Social Welfare e dalle organizzazioni internazionali non-governative. Uno dei coordinatori del campo Rahtar Butar, nella zona di Kyauktaw, a nord dello Stato Rakhine, ha detto: “la situazione qui è molto difficile. Alcune persone lavorano su base giornaliera al Car Gate o asfaltano le strade. Altri raccolgono bambù nelle foreste per venderlo, ma è pericoloso e alcuni sono rimasti ferite a causa delle mine”.
Anche chi non è sfollato ma vive nelle comunità più vulnerabili e remote dello Stato Rakhine sta affrontando situazioni difficili, come ha spiegato un uomo di etnia Rohingya che vive nel villaggio di Nga Sane Toke, a nord di Buthidaung: “prima del COVID-19 ricevevamo assistenza regolarmente ogni mese. Ora, una volta ogni due mesi. Quindi la situazione non va più come prima. Per colpa del COVID-19 non possiamo neanche lavorare fuori dal nostro villaggio o andare a Buthidaung. La maggior parte degli abitanti del villaggio fa il pescatore o vende bambù e legna da ardere. Ora non possono andare a Buthidaung per vendere le loro merci. Alcune famiglie che sono riuscite a risparmiare qualcosa prima del COVID-19 ce la faranno, ma la maggior parte delle persone sta facendo fatica economicamente. Nel nostro villaggio ci sono anche problemi di accesso ai medicinali e alle cure”. Un operatore umanitario che lavora per un’agenzia nazionale ha raccontato all’AHCT che “nella situazione attuale, gli sfollati, ma anche le comunità ospitanti, avranno bisogno di aiuti alimentari e sanitari, tra cui la fornitura di mascherine e igienizzante”, sottolineando che le popolazioni Rakhine e Rohingya che vivono nelle aree remote sono particolarmente a rischio: “questi villaggi sono troppo lontani e i trasporti sono precari. Già in situazioni normali molte organizzazioni non riescono a raggiungerli. Nella situazione attuale penso che nessuno potrà aiutarli”.
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