Recentemente, l’inviato dell’Unione Europea in India, Tomasz Kozlowski, ha ricordato come l’Europa si aspettasse che l’India compilasse il semplice consueto rapporto di due pagine sul Contributo Programmato e Definito a Livello Nazionale (INDC) prima del summit sui cambiamenti climatici del 2015. Ma, contrariamente alle aspettative, l’India se n’è uscita con quasi quaranta pagine di un rapporto dettagliato, ha giocato un ruolo attivo nei negoziati, e ha mantenuto saldi i suoi impegni al rispetto dell’Accordo sul Clima di Parigi nonostante le azioni di Trump. L’Ambasciatore Kozlowski ritiene che l’India del Primo Ministro Modi sia diventata più schietta sulla scena globale. A un pubblico evento, il Ministro degli Esteri S Jaishankar ha articolato una posizione che rimane spesso inespressa. Scavando nella grande iniziativa cinese della “Belt and Road” (BRI), Jaishankar ha detto: “L’India è stata pioniere della Connettività, e non sto parlando della Grand Trunk Road che venne molto più tardi. Abbiamo molta più titolarità sulla Via della Seta di chiunque altro. Forse a un certo punto abbiamo perso quel marchio”. Il marchio India si è evoluto. Con la sua popolazione di quasi un miliardo e trecento milioni di persone e un’economia di 2.500 miliardi di dollari, l’India è oggi uno dei mercati che crescono di più al mondo. L’India è anche uno dei principali acquirenti di forniture di armi. Nella strategia dell’amministrazione Trump sull’Afghanistan e l’Asia Meridionale, recentemente svelata, l’India occupa un ruolo preminente e nel Sud-est asiatico Singapore sta sollecitando l’India a connettersi più arditamente con i Paesi ASEAN. Il Segretario di Stato americano Rex Tillerson, prima della sua prima visita ufficiale in India, ha sottolineato la necessità per Delhi e Washington di sforzarsi per fornire nella regione Indo-Pacifica meccanismi finanziari sostenibili alternativi per impedire che le economie emergenti e le democrazie in erba cadano nelle trappole del debito cinese e perdano la loro sovranità. Le aspettative indiane sono alte, ma l’elefante è anche consapevole della formidabile crescita della Cina. Con la sua economia da 11.000 miliardi di dollari, una poderosa infrastruttura militare, e capacità cibernetiche, Pechino è un esuberante avversario con diritto di veto, che sfida la crescita dell’India.
Per l’India, il fardello dell’umiliante sconfitta contro la Cina nella guerra del 1962 ha plasmato da un tempo lunghissimo le risposte e le politiche nei confronti di Pechino. L’India solo ora sta emergendo dall’ombra del 1962, ma la Grande Muraglia Cinese non è facile da scalare. Nel commercio bilaterale di 71 miliardi di dollari, l’India registra un allarmante deficit commerciale di 51 miliardi di dollari. La disputa frontaliera di lunga data rimane una questione spinosa malgrado i molteplici round negoziali. Intrusioni a cavallo della Linea di Controllo Effettivo e stalli militari come quello di 21 giorni a Depsang nel 2013 fino a quello recente di 73 giorni nel trivio India-Bhutan-Cina di Doklam, hanno fatto poco per colmare il deficit di fiducia. La Cina è emersa come l’unico maggiore blocco sulla via dell’ambizione dell’India a un posto nel Gruppo dei Fornitori Nucleari, che conta 48 membri. Pechino continua nel Consiglio di Sicurezza a proteggere menti del terrore come Masood Azhar e Zaki ur Rehman Lakhvi, sponsorizzati dal Pakistan, il suo amico per tutte le stagioni, ma ricercati dall’India per atroci atti di violenza. L’India si oppone fortemente al progetto da 46 miliardi di dollari del Corridoio Economico Cina-Pakistan, collegato alla BRI, poiché attraversa il “territorio illegale” del Kashmir occupato dal Pakistan. Nel frattempo, la Cina sta velocemente espandendo la sua influenza attraverso aiuti e infrastrutture nell’immediato vicinato dell’India, inclusi il Nepal, lo Sri Lanka, le Maldive, e il Myanmar. Per la Cina, l’asilo indiano al Dalai Lama, il leader spirituale tibetano, è un grosso punto critico. Il leader religioso, premio Nobel per la Pace, è accusato da Pechino di macchinazioni politiche per alimentare il fuoco della secessione in Tibet. E il contesto di policy dell’India, estendendosi oltre l’Oceano Indiano al Mar Cinese Meridionale, ha fatto aggrottare le sopracciglia a Pechino. Nel gennaio del 2015, un primo Documento Congiunto Indoamericano di Visione Strategica ha portato all’interno dell’India il conflitto sul Mar Cinese Meridionale, scrollandosi di dosso il lungo cauto silenzio indiano sul sino-espansionismo nella sfera marittima. Più del 55% del commercio dell’India passa attraverso le rotte marine del Mar Cinese Meridionale e dello Stretto di Malacca, che valgono in totale 5.000 miliardi di dollari di scambi. Mentre per la Cina gli Stati Uniti, il Giappone e la Corea del Sud rimangono le priorità assolute, i tradizionali legami dell’India con il Vietnam e la vendita di armi allo stesso costituiscono un fatto irritante. La Cina, mentre obietta fortemente alla salita dell’India a bordo dell’ASEAN, osserva da vicino i legami che Nuova Delhi sta approfondendo con i Paesi ASEAN, e le unità di esplorazione di gas e petrolio negli stati litoranei del Mar Cinese Meridionale.
Malgrado le differenze acute, ci sono stati punti di convergenza tra i due giganti asiatici nei forum globali nel passato. Al summit di Copenaghen del 2009, l’allora Primo Ministro cinese Wen Jiabao si rivolse al Primo Ministro Mammohan Singh all’ultimo momento e cercò il sostegno dell’India contro le pressioni montate dalle nazioni occidentali. I due Paesi hanno anche forgiato una cooperazione all’interno dei forum multilaterali, inclusi i BRICS, la Shanghai Cooperation Organization (SCO), e la banca di sviluppo per i BRICS. Ma le dinamiche sono cambiate. Nel suo libro “Come l’India vede il mondo” l’ex ministro degli esteri Shyam Saran scrive: “La Cina è determinata a plasmare l’ordine internazionale politico ed economico in una maniera allineata ai propri interessi. Ma in questa ricerca non considera più l’India come una fonte di sostegno. Con l’avvento di Xi Jinping, cerca un nuovo tipo di “relazioni tra grandi potenze”, collocandosi allo stesso livello degli Stati Uniti”. Oggi, dopo il diciannovesimo Congresso del Partito Comunista (CPC), il Presidente cinese Xi Jinping ha uno status elevato che lo colloca tra Mao Zedong e Deng Xiaoping. Nel suo discorso di apertura al CPC, Xi ha espresso orgoglio per le azioni assertive nel Mar Cinese Meridionale e ha chiesto all’Esercito Popolare di Liberazione (EPL) di proiettare il potere su scala globale entro il 2050. Impacchettata nell’ipernazionalismo, la bellicosità della Cina sulla terra e in mare continuerà a sfidare l’ordine basato sulle regole internazionali che pretende di sostenere.
Nel trattare con una formidabile Cina, l’India dovrà esercitare pazienza e prudenza. Finché l’India non mette a posto la sua struttura di governance interna, e non riduce il gap economico e militare con la Cina, non ci sarà molto da guadagnare nello stuzzicare il dragone senza un’adeguata potenza di fuoco per combattere. Ma l’adozione di misure compensative contro l’avversario avverrà attraverso raggruppamenti regionali di Paesi che la pensano allo stesso modo, in opposizione all’asserzione unilaterale di potere di Pechino. L’India sta collaborando strettamente con gli Stati Uniti e con gli alleati-chiave nella regione. Presto il Dialogo di sicurezza quadrilaterale tra India, Stati Uniti, Giappone e Australia, iniziato nel 2007 ma interrotto dal governo di Kevin Rudd, sarà ufficialmente rinato come Indo-Pacific policy, sostenuta dal governo di Abe. Ma un Trump transazionale avrà bisogno di Pechino per contenere una Corea del Nord nucleare. Nel frattempo, l’India guadagnerà dalle discussioni con la vecchia amica Russia, e il blocco ASEAN che scolpisce un accordo di libero scambio con sei nazioni incluse l’India e la Cina potrebbe essere una piattaforma per la cooperazione con Pechino. Come dice il proverbio cinese, “Come la distanza testa la forza di un cavallo, così il tempo mostra la sincerità di una persona”. Il sogno cinese porterà a una spinta economica o a un incubo nella regione? Dipenderà da come Xi piloterà la relazione sino-indiana.
Traduzione dall’inglese a cura di Giuseppe Gabusi.
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