L’arcipelago indonesiano come fucina di nuovi (o rinnovati?) linguaggi musicali

“Tradizione non è culto delle ceneri, ma custodia del fuoco” (Gustav Mahler).

Solitamente quando si pensa alla musica indonesiana saltano subito in mente il gamelan, le danze balinesi, il wayang kulit oppure l’ormai arcinoto aneddoto dell’esposizione universale di Parigi di fine Ottocento (1889), durante la quale alcuni compositori come Debussy e Ravel ebbero occasione di assistere a un concerto di gamelan giavanese. È anche risaputo come questo momento sia effettivamente stato uno spartiacque nell’evoluzione della musica europea: “la musica giavanese è capace di esprimere ogni sfumatura di significato, comprese tonalità irripetibili, e fa sembrare le nostre tonica e dominante come vuoti spettri adatti all’uso di infanti affatto saggi”[1]; “la musica giavanese obbedisce a leggi di contrappunto che fanno sembrare quella di Palestrina come un passatempo per bambini, e se uno l’ascoltasse senza il pregiudizio dell’orecchio europeo, allora riscontrerebbe uno charme percussivo che lo forzerebbe ad ammettere che la nostra musica sia giusto un tipo di barbaro rumore più adatto ad un circo ambulante”[2]; “le rapsodie giavanesi, invece di confinarsi in forme tradizionali (la musica tonale occidentale), si sviluppano secondo le fantasie di innumerevoli arabeschi”[3], “la musica giavanese consiste nell’eterno ritmo del mare, nel rumore delle foglie mosse dal vento e in mille altri piccoli suoni, i quali loro ascoltano con estrema attenzione, senza aver mai consultato alcuno di quei dubbi trattati (la teoria della musica occidentale)”[4]. Questo era Debussy dopo aver assistito ai concerti di gamelan in quel di Parigi. Tuttavia oggi sappiamo che molto probabilmente il gamelan, nella fattispecie alcuni strumenti dell’orchestra tradizionale giavanese, arrivarono in Europa già a bordo dei vascelli portoghesi, olandesi ed inglesi; è anche importante non dimenticare che, come testimoniano i bassorilievi del tempio di Borobudur, una forma neanche troppo primitiva di gamelan esisteva già intorno all’anno 1000 d.C. Dunque, nonostante questo importantissimo lavoro d’impollinazione che dobbiamo riconoscere a quella che è in fin dei conti la musica classica dell’isola di Giava, il gamelan rimane tutt’oggi paradossalmente un qualcosa per gli addetti ai lavori. È però vero che nell’ultima decade la musica contemporanea indonesiana è riuscita a farsi apprezzare in svariate sedi della porzione occidentale del globo, dall’Europa fino alla costa pacifica nordamericana. Proviamo allora a tracciare una mappa di nomi e luoghi e cerchiamo di capire come i protagonisti di questa ondata d’innovazione abbiano saputo trasferire linguaggi antichi in un luminosissimo futuro.

In primo luogo è doveroso menzionare due precisi momenti: il primo riguarda il lavoro di I Wayan Sadra[5] e la nascita del concetto di musik kontemporer, mentre il secondo corrisponde alla caduta del trentennale regime dittatoriale di Suharto e di conseguenza alla demolizione della diga che divideva l’Indonesia dal resto del mondo, istante in cui i linguaggi del punk hardcore e del noise si mescolarono al sangue della gioventù, alla stessa maniera dell’eroina che invadeva la nazione verso la fine degli anni ‘90. Sadra, l’artista che aveva lasciato Bali anche per via delle polemiche che lo colpirono a causa del suo approccio poco ortodosso nei confronti della musica tradizionale della sua isola natìa, trovò all’ISI di Surakarta una seconda casa e terreno fertile per le sue sperimentazioni. Fu ad esempio a metà anni ‘90 il primo ad importare in Indonesia un’unità Space Echo RE-201 della Roland: per intenderci, la bacchetta magica preferita da personaggi del calibro di King Tubby[6]. Ho visto personalmente questa effect unit ancora conservata all’ISI di Surakarta, custodita quasi come fosse un amuleto magico.

Sempre a Surakarta si sviluppò, parallelamente ma in maniera più massiccia rispetto a città come Jakarta e Yogyakarta la prima scena noise indonesiana, ancora oggi esperienza pivotale per tutto il Sud-Est asiatico. La diffusione di tale linguaggio sperimentale è infatti inscindibile dalla voglia di affermazione, emancipazione (solitamente gli strumenti dei musicisti facenti parte a questa scena sono tutti autocostruiti, in puro spirito do-it-yourself) e protesta che lo caratterizza sin dagli albori. È dunque in questo preciso momento storico, ovvero alla fine del secolo scorso, in concomitanza con la nascita della nuova Repubblica e quindi di una nuova democrazia, che tradizioni pressoché millenarie iniziano a mutare e ad assumere nuove guise. Esattamente dal 2013, anno in cui mi trasferii a Surakarta per studi etnomusicologici, seguo con estrema attenzione l’evoluzione della musica contemporanea dell’arcipelago, perché ritengo che al momento attuale sia una fra le più interessanti e stimolanti al mondo: non a caso alcuni degli artisti che nominerò di qui in seguito sono riusciti nell’ultima decade a esibirsi e farsi apprezzare in alcuni dei luoghi e dei festival più importanti di tutto l’Occidente.

La prima menzione, praticamente d’obbligo, riguarda il duo formato da Wukir Suryadi e Rully Shabara, coi quali condivisi per la prima volta il palco nel 2014 a Yogyakarta (al Museum Dan Tanah Lihat): i Senyawa. Attivi da ormai vent’anni, autentiche icone e alfieri del nuovo sound sperimentale che sgorga dal ring of fire, la combo composta dal multistrumentista originario della città di Malang e il vocalist proveniente da Makassar ha saputo lentamente conquistare i cuori del pubblico di tutto il mondo e ha di fatto propiziato l’inizio della diffusione al di fuori dei confini nazionali delle nuove avanguardie scaturite dall’arcipelago. Wukir dà alla luce strumenti a partire, solitamente, da attrezzi agricoli che fanno parte della cultura contadina giavanese. Rully, dotato di una mostruosa estensione vocale (che a tutti gli effetti lo pone nell’Olimpo dei migliori performer dell’ultima decade almeno, ricercatissimo per collaborazioni da nomi di spicco della scena europea ed americana) dialoga con le bordate di frequenze emesse dalle particolarissime sorgenti sonore. Le esibizioni dei Senyawa rapiscono lo spettatore, che si trova scaraventato in un turbinìo di atmosfere provenienti da secoli di sincretismi (animismo, induismo, sufismo, kejawen) mescolati a linguaggi musicali moderni e contemporanei come il metal, il noise e l’industrial.

La città di Surakarta si trova ad un’ora scarsa di treno di distanza da Yogyakarta. Da poco docente di ruolo all’Institut Seni Indonesia, Peni Candra Rini incarna meglio di chiunque altro l’evoluzione del canto giavanese. Compositrice e pesindhen proiettata nel futuro, Peni mixa tecniche avanzate come i sovracuti (dotata di un’estensione vocale fuori dal comune, da ultrasoprano) al vibrato tipico del canto che storicamente accompagna il karawitan. Pupilla e per anni prima vocalist nell’orchestra di Rahayu Supanggah[7], da poco scomparso e considerato il più grande compositore indonesiano del ‘900, è recentemente stata impegnata per molteplici esibizioni insieme a Bang On A Can e Kronos Quartet negli Stati Uniti. Proprio in occasione delle celebrazioni del cinquantennale dello storico quartetto d’archi statunitense, tenutosi lo scorso novembre alla Carnegie Hall di New York (con altri ospiti eccezionali, come la canadese Tanya Tagaq[8]), l’intera concert hall ha salutato l’esibizione della cantante di Giava Centrale con una lunga standing ovation. Quando si attraversa lo stretto che divide Giava e Bali e si vedono i vulcani di Giava Est allontanarsi, si cambia quasi totalmente dimensione. Attraccare nell’”isola degli dei” infatti, a maggioranza induista, non significa soltanto lasciarsi alle spalle i Giavanesi ma comporta essere catapultati in un territorio che di fatto ha flora e fauna, lingua, cultura e tradizioni proprie (e questo è fondamentalmente ciò che avviene ogniqualvolta lasciamo un’isola indonesiana per un’altra). I Gabber Modus Operandi, duo di musica elettronica sperimentale attivo soprattutto nell’ultima decade, hanno saputo mescolare i ritmi ipercinetici tipici della gabber, della break e della grindcore a musiche come il jathilan, il dangdut e il gamelan balinese. Il risultato è un frullatore sonoro frutto di quello che sembra essere una sorta di sarcasmo digitale, in cui il sacro e il profano si confondono fino ad assumere una forma letteralmente inaudita. Non a caso un’artista del calibro di Björk[9] ha fortemente voluto con sé Kasimyn dei Gabber Modus come producer per alcuni brani del suo ultimo lavoro, pubblicato recentemente, e come DJ per alcune date del suo ultimo tour mondiale.

Nell’isola di Bali inoltre, vive e lavora attualmente quello che ritengo essere, oltre a mostri sacri come Steve Reich e Terry Riley (che non a caso sono fra le sue maggiori fonti di ispirazione), il più interessante compositore in attività. Dewa Ketut Alit, in principio giovane co-fondatore dell’orchestra Cudamani, ideatore di strumenti gamelan poco convenzionali e ora direttore dello straordinario ensemble Gamelan Salukat, ha passato parecchi degli ultimi anni come visiting lecturer in istituzioni del calibro del MIT, Berkeley College e University of British Columbia (invitato da Michael Tenzer, che a sua volta, decenni fa, introdusse proprio Reich alla musica balinese). Il suo ultimo lavoro, uscito lo scorso anno, è stato menzionato fra i dieci migliori album di musica classica contemporanea nell’annuale classifica del New York Times. Dopo anni di scambi epistolari ho avuto occasione di conoscerlo nel marzo del 2023 a Stoccolma, dove la sera prima della sua esibizione abbiamo assistito fianco a fianco a quello che sarebbe stato uno degli ultimi concerti di Catherine Christer Hennix: una nottata semplicemente indimenticabile, a cui sarebbe appunto seguito il concerto del Gamelan Salukat. Le composizioni di Alit sono improntate alla commistione di forme contemporanee di gamelan balinese che però condividono col minimalismo americano la potenza espressiva della ripetitività e l’avanguardia della ricerca sul timbro, dando vita a mondi sonori che lasciano di stucco chiunque per la prima volta faccia esperienza del suo sound.

Lo scorso novembre, nella stessa serata, Rully Shabara e Peni Candra Rini si esibivano rispettivamente al Lincoln Center e alla Carnegie Hall, fra i templi della musica di New York. Dal 2013, anno in cui approdai per la prima volta in terra giavanese, la musica dell’arcipelago ha saputo conquistare i palcoscenici delle migliori venue e dei più importanti festival di tutto il mondo (penso ad esempio al panel interamente dedicato all’Indonesia durante una delle ultimissime edizioni del berlinese Transmediale). Una giovanissima generazione di talenti puri e cristallini che ha saputo cavalcare le nuove tecnologie e rinnovare antichi linguaggi, trasformandoli in espressioni musicali di bellezza e profondità disarmanti. Oggi l’avanguardia musicale indonesiana, ancora una volta dopo quasi centocinquanta anni, si erge ad esperienza di riferimento e nondimeno funge da ispirazione per artisti di mezzo mondo. Nel biennio 2013/2015, mentre ero a Surakarta, ebbi la fortuna di seguire le lezioni di Sri Hastanto[10], recentemente scomparso, che insieme al filippino Josè Maceda[11] viene considerato come il più importante etnomusicologo del Sud-Est asiatico dalla seconda metà del Novecento in poi. Mi capitava spesso di discutere circa le differenze fra l’ISI di Surakarta e l’ISI in quel di Yogyakarta: sostenevo animatamente come il conservatorio di Yogya proponesse corsi più “moderni”, rispetto a quelli ancora forse troppo ancorati alla tradizione che si tenevano invece a Solo. La risposta di Pak Hastanto era sempre la stessa: “Indonesia itu budaya petani, tidak boleh diubah”, ovvero quella contadina è la vera cultura indonesiana, non la si dovrebbe cambiare. A distanza di anni e con una neonata rampante classe media, comprendo appieno quello che Sri Hastanto stava cercando di dirmi. La cultura giavanese si trova di fronte ad un bivio, mentre fortissime sono le influenze sia dello stile di vita tipico dell’Occidente sia del pensiero e delle attitudini mainstream proprie dell’Arabia Saudita. Riuscirà a mantenere quelle peculiarità che per secoli e secoli l’hanno caratterizzata? Senza ombra di dubbio, per quanto riguarda la musica, la mitica Nusantara è attualmente in ottime mani[12].


[1] Librarie Jose Corti, (1945), Correspondence de Claude Debussy et Pierre Louys (1893-1904), Parigi, Henri Borgeaud, p. 41, citato in Tamagawa, K. (1988), Echoes From The East: The Javanese Gamelan and its Influence   on the Music of Claude Debussy, Austin, D.M.A document, University of Texas, p. 21.

[2] Lesure, F. & Langham Smith, R. (1977), “Taste”, in Lesure, F. & Langham Smith, R., Debussy on Music, New York, A.A. Knopf, citato in Tamagawa, K. (1988), Echoes From The East: The Javanese Gamelan and its Influence   on the Music of Claude Debussy, Austin, D.M.A document, University of Texas, p. 22.

[3] Bibliotheque Nationale, (1962), “lettera, 1910”, in Claude Debussy, Parigi, p.30, citato in Tamagawa, K. (1988), Echoes From The East: The Javanese Gamelan and its Influence   on the Music of Claude Debussy, Austin, D.M.A document, University of Texas, p. 22.

[4] Lesure, F. & Langham Smith, R. (1977), “Taste”, in Lesure, F. & Langham Smith, R., Debussy on Music, New York, A.A. Knopf, citato in Tamagawa, K. (1988), Echoes From The East: The Javanese Gamelan and its Influence   on the Music of Claude Debussy, Austin, D.M.A document, University of Texas, p. 22.

[5] I Wayan Sadra (1954 – 2011). Musicista, compositore, musicologo e docente universitario, protagonista del rinnovamento della musica balinese a cavallo fra gli anni ’80 e i primi 2000. Insignito del New Horizon Award dalla International Society for Art Science and Technology, University of California (Berkeley, 1991).

[6] King Tubby, al secolo Osbourne Ruddock (1941 – 1989) è stato un pioniere: ingegnere del suono autodidatta, tecnico radio, discografico e produttore. A partire dal 1958, col suo sound system autocostruito e colle primissime versione di unità effetto quali riverbero e delay, inventò di fatto il concetto di remix e le tecniche di sovraincisione (overdubbing, da cui il genere da lui coniato, dub music), influenzando per gli anni a venire il mondo della musica elettronica e dance.

[7] Supanggah, Rahayu (1949 – 2020). Compositore, docente, viene ricordato soprattutto per Opera Jawa e la sua fervente attività di concertista. Insignito dell’Asian Film Award nel 2007 e dallo stesso anno residente permanente al Southbank Centre di Londra. Collaborò con importanti figure del teatro d’avanguardia americano ed inglese quali Robert Wilson e Peter Brook, con coreografi e infine con registi cinematografici come Sergio Leone.

[8] Tagaq Tanya, è una cantante, performer, scrittrice e visual artist di etnia Inuit. Conosciuta in tutto il mondo per l’utilizzo di tecniche vocali come il throat singing e il canto tradizionale degli Inuk della regione del Nunavut (Canada), ha contribuito a far conoscere al grande pubblico l’eredità espressiva delle popolazioni della fascia artica.

[9] Björk, al secolo Björk Guðmundsdóttir, è una cantante, cantautrice, musicista, compositrice, produttrice discografica, attivista e attrice islandese. Considerata figura di spicco della musica elettronica e di ambito sperimentale/avanguardia, negli anni ha saputo attraversare svariati generi da protagonista. Insignita di numerosi riconoscimenti e premiata come migliore attrice al Festival di Cannes del 2000 (per Dancer in the Dark di Lars Von Trier).

[10] Hastanto, Sri (1946 – 2021). Etnomusicologo, docente all’ISI di Surakarta (fondatore della cattedra denominata Karawitanologi), considerato uno dei più importanti studiosi dalla seconda metà del ‘900 in poi in ambito etnomusicologico in Asia in generale e specialmente nel Sud-Est asiatico.

[11] Maceda, José Montserrat (1917 – 2004). Etnomusicologo, compositore e field recordist. Studiò pianoforte, composizione e analisi musicale alla Normale di Parigi, musicologia alla Columbia University, antropologia alla Northwestern University e ottenne il dottorato in etnomusicologia alla UCLA. Durante gli anni trascorsi a Parigi conobbe Boulez, Stockhausen e Xenakis. Introdusse la loro musica insieme a quella di Edgar Varèse al pubblico filippino. I suoi lavori di archiviazione di musiche tradizionali sul campo nelle Filippine sono diventati parte del registro Memory of the World dell’UNESCO e del CNRS di Parigi.

[12] Nusantara è un termine indonesiano che indica il Sud-Est asiatico marittimo (o di parti di esso). Si tratta di un termine giavanese antico che significa letteralmente “isole esterne”. In Indonesia il termine fa riferimento generalmente all’arcipelago indonesiano, mentre fuori dei confini nazionali è adottato per indicare l’arcipelago malese. Ulteriori approfondimenti sono disponibili online al sito: https://en.wikipedia.org/wiki/Nusantara_(term) .

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