La rapida diffusione delle infezioni da COVID-19 nel mondo, nonostante le ovvie differenze territoriali e lo scarto temporale nell’aumento dei casi, ha generato sovente risposte simili. L’Indonesia, lo Stato più popoloso del Sud-Est asiatico, risulta ad oggi il Paese più colpito della regione e sembrava esser impantanato in una perenne, ma statica prima ondata. A più di un anno dai primi casi accertati, non si poteva notare nessun tipo di andamento altalenante nel numero di infezioni, né si erano succeduti periodi di picchi accompagnati da diminuzioni significative fino a quando, alla metà di giugno 2021, si sono scatenati nuovi focolai causati dall’arrivo della variante Delta e dagli spostamenti collegati alla fine del Ramadan. Con oltre due milioni e trecentomila contagiati e quasi sessantaduemila morti, il computo degli effetti del nuovo coronavirus nell’arcipelago potrebbe anche apparire in linea con la situazione internazionale. Tuttavia, la scarsa capacità di tracciamento in un vasto territorio abitato da oltre duecentosettanta milioni di persone e la mancanza di trasparenza nella comunicazione dei dati rendono questi numeri tutti da verificare[1].
Mostrando molte similitudini più con alcuni Paesi occidentali e dell’America latina che con i propri vicini, l’Indonesia ha reagito inizialmente alla diffusione del virus sminuendone la pericolosità e affermando, anzi, che grazie al clima tropicale, a una presunta superiorità nella risposta immunitaria, all’utilizzo di erbe medicinali e alle immancabili preghiere il Paese sarebbe stato certamente risparmiato dall’emergenza sanitaria. Mentre diversi membri del Parlamento si sono attardati in elucubrazioni, non pochi leader religiosi si sono affidati alla scienza e hanno esonerato i fedeli dal partecipare alle liturgie, in un Paese dove gli incontri religiosi hanno un ruolo fondamentale. Soltanto il 31 marzo 2020 la presidenza di Joko Widodo (Jokowi) si è dotata di strumenti più consoni per combattere la pandemia, come ad esempio la formazione di una task force ad hoc o una maggiore richiesta di materiali per il testing e per la protezione individuale. Inoltre, è proprio da quella data che il governo indonesiano ha iniziato a rendere effettive quelle restrizioni che in altri Stati venivano applicate ormai da tempo, evitando però un lockdown generalizzato[2].
A una chiusura generalizzata di tutte le attività si è preferito un sistema di restrizioni sociali su larga scala (Pembatasan Sosial Berskala Besar – PSSB)[3]. Dopo nemmeno qualche mese dai primi provvedimenti volti a contrastare l’emergenza, il Presidente ha annunciato l’entrata in una nuova fase nel rapporto di convivenza con il virus, definita “new normal”. Tale annuncio non è coinciso purtroppo con un calo delle infezioni ed è parso ai più come prematuro, confermando che le attenzioni della classe dirigente sono rivolte alla finanza e allo sviluppo economico più che alla salute della popolazione indonesiana nella sua totalità[4]. Se è vero che il deciso incremento di contagi del giugno 2021 ha le sue vere cause nella diffusione della variante Delta, è anche necessario sottolineare che le politiche portate avanti durante tutto l’arco dell’emergenza hanno facilitato tale diffusione. L’applicazione di lockdown parziali a Giava e Bali appare tardiva date le condizioni del sistema sanitario quasi al collasso[5].
Come era prevedibile, la crisi pandemica con il conseguente distanziamento sociale e le limitazioni alla mobilità hanno avuto un impatto gravoso sulla crescita economica. Nel 2020, il PIL dell’arcipelago è sceso del 2,07% rispetto alla crescita del 5% dell’anno precedente. L’Indonesia non ravvisava una tale contrazione economica dalla crisi finanziaria asiatica del 1997-1998[6]. Come in tante altre aree del pianeta, la recessione ha interessato – in modo più o meno diverso – i vari campi. I settori più colpiti dalla pandemia sono stati quelli più vulnerabili alle limitazioni alla mobilità, al calo del commercio internazionale e alle interruzioni delle catene di approvvigionamento globali. I primi effetti sul reddito sono stati avvertiti proprio dai lavoratori informali nelle aree urbane di Giava e Sumatra, come quelli a basso salario coinvolti nei trasporti, nella ristorazione e nella vendita al dettaglio. I programmi di protezione sociale già esistenti, attrezzati per raggiungere i più poveri, hanno svolto solo in parte un ruolo nell’alleviare gli effetti immediati, ma non contemplano soluzioni a lungo termine. Più preoccupanti sono i potenziali effetti di impoverimento causati da danni strutturali all’economia, in seguito al prolungarsi dell’emergenza sanitaria e della recessione economica, che comporterebbero la chiusura definitiva di molte piccole aziende e un deciso incremento della disoccupazione. Se la crescita economica non riprende, è probabile che la disoccupazione aumenti tra i lavoratori salariati del settore formale e i lavoratori a reddito medio-basso che non sono stati coperti, per adesso, dai programmi di protezione sociale.
I processi decisionali “dall’alto” stentano ad aver un approccio onnicomprensivo che vada a risolvere le difficoltà dell’arcipelago. Il distanziamento sociale, l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale e il rispetto di particolari norme igieniche sono praticabili soltanto da determinati gruppi. Nei bassifondi di Giacarta, Medan o Surabaya, tra i venditori di street food o tra alcune categorie di operai, il distanziamento è una chimera impossibile da realizzarsi nemmeno nei prossimi cinquant’anni. In alcune isole lontane dalla capitale l’approvvigionamento di alcuni materiali e, a volte, persino di acqua pulita rappresenta ancora oggi un problema. Per di più il governo non ha la forza di mettere in campo altri ammortizzatori sociali in grado di raggiungere quei settori della popolazione, nella quasi totalità legati al lavoro informale, maggiormente colpiti dalla crisi economica connessa al COVID-19. Gli aiuti economici indirizzati a coloro che vivono al limite della soglia di povertà appaiano insufficienti e, peraltro, anche a causa del ricorso a metodi di rilevazione antiquati il governo non sempre è in grado di identificare le fasce maggiormente colpite. L’iniziale piano di recupero impallidisce rispetto alle ingenti somme di denaro stanziate nei Paesi sviluppati, ma è leggermente superiore a quello di tanti altri Paesi in Via di Sviluppo (PVS). Il problema risiede, dunque, nella capacità di programmazione e nell’utilizzo di tali somme. Così, per quanto concerne la lotta alla diffusione del virus, il governo indonesiano si trova imprigionato in un eterno presente, giacché qualsiasi azione sembra indirizzata ad affrontare i problemi soltanto nel breve periodo, mancando di una visione del futuro[7].
Esattamente nei primi mesi di confronto con la pandemia si è ripresentata, in maniera non dissimile da tanti altri Stati del mondo, l’eterna questione del rapporto tra governo centrale e istituzioni locali. Lo scontro tra Jokowi e il Governatore della capitale Anies Baswedan sulla rapida attuazione delle restrizioni, sebbene imperniato su ovvie rivalità politiche e sull’acquisizione di credito elettorale, costituisce un chiaro esempio della difficoltà da parte dell’amministrazione centrale nel comprendere le urgenze territoriali. La classe politica nazionale è apparsa, come spesso accaduto in passato, distante dai problemi reali del Paese e in particolare dalle classi meno abbienti. Gli attori locali, al contrario, hanno spesso saputo agire più velocemente ed efficacemente non solo nella lotta al nuovo coronavirus, ma anche nel sopperire alle problematiche di natura economica e sociale della popolazione. In alcune aree particolarmente colpite i politici locali sono stati capaci di svolgere una discreta opera di tracciamento e isolamento grazie a mezzi sviluppati precedentemente per altre malattie. Molto spesso sono stati i singoli governatori a imporre limitazioni alle attività per combattere la diffusione delle infezioni. I politici locali, che spesso in passato si sono avvantaggiati dei successi nei singoli municipi per intraprendere una carriera nazionale, hanno comunque dimostrato maggiore abilità nel gestire situazioni emergenziali a cui sono in gran parte avvezzi. Tuttavia, le restrizioni sono entrate spesso in contrasto con la politica nazionale e hanno attirato le critiche dei funzionari governativi che continuano a temere le ripercussioni economiche delle limitazioni. Una mancanza di coordinamento tra il governo nazionale e le istituzioni territoriali mina, purtroppo, l’efficacia di qualsiasi sforzo per controllare la diffusione del COVID-19. In un Paese dove dalle ultime elezioni manca una reale forza di opposizione in Parlamento, la creazione di reti locali – siano esse politiche, religiose o tribali – in grado di sostituirsi allo Stato centrale e compensarne le gravi ed evidenti mancanze, costituisce una risposta politica foriera di nuove tensioni[8].
La carta su cui la presidenza Jokowi sembra aver puntato tutto il proprio capitale politico, già dalla seconda metà del 2020, è l’arrivo del vaccino, somministrato attraverso una capillare campagna a livello nazionale. Anche su questo tema però il governo indonesiano ha attirato più critiche rispetto ai risultati raggiunti. Il programma vaccinale è stato avviato con clamore propagandistico nel gennaio 2021. In controtendenza questa volta con tanti altri Stati del mondo e suscitando non poche polemiche, si è scelto di inoculare le prime dosi disponibili alla fascia d’età maggiormente produttiva, quella compresa tra i 25 e i 60 anni[9]. Oltre agli operatori socio-sanitari, buona parte dei parlamentari di Giacarta e tanti altri membri dell’élite sono già immunizzati, mentre un numero elevatissimo di soggetti potenzialmente a rischio rimane nel limbo dell’attesa. L’obiettivo di raggiungere la quota di centottanta milioni di vaccinati entro la fine di quest’anno appare decisamente improbabile dato il ritmo di somministrazioni giornaliere fin qui sostenuto. Se si esclude il problema dell’approvvigionamento delle dosi, già di per sé determinante, l’incapacità di sostenere la catena del freddo e la penuria di strutture e personale adatti all’inoculazione dipingono un quadro a tinte abbastanza fosche. Inoltre, l’Indonesia sarà probabilmente uno dei primi Paesi a rendere obbligatorio il vaccino contravvenendo alla raccomandazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha dichiarato tale pratica controproducente[10]. Infine, è il cosiddetto programma di “vaccinazione indipendente” (Vaksinasi Mandiri o Gotong Royong) a suscitare le maggiori perplessità. In seguito alle pressioni della potente Camera di commercio indonesiana, il governo ha approvato un decreto che permetterà alle singole aziende di portare avanti la propria campagna vaccinale. In sostanza, ciò comporterà la possibilità per quei lavoratori già privilegiati di raggiungere più velocemente l’immunizzazione lasciando indietro di nuovo gli anziani e le categorie più fragili[11].
A metà maggio 2021, in concomitanza con il rallentamento della campagna di vaccinazione pubblica e il timore di un’ennesima recrudescenza delle infezioni a causa degli spostamenti legati alle celebrazioni per la fine del Ramadan, il programma di vaccinazione privato è stato avviato alla presenza del Presidente Jokowi, ricevendo il plauso del mondo economico. Tuttavia, diversi esponenti dell’ambiente accademico hanno rinnovato i loro dubbi sulla disuguaglianza insita in questo tipo di programma[12].
Il tema dei vaccini si lega a una ben più ampia questione di posizionamento geopolitico dell’arcipelago nell’importante area dell’Indo-Pacifico e, più in generale, nei fragili equilibri dell’attuale sistema internazionale. Come è ormai chiaro a tutti, la guerra dei vaccini avrà un impatto significativo sui futuri rapporti di forza tra le grandi Potenze mondiali, Cina e Stati Uniti in primis. L’Indonesia si trova ormai da diversi anni nel pieno di una disputa territoriale con la Repubblica Popolare Cinese per quanto riguarda alcuni tratti del Mar Cinese Meridionale, attualmente una delle zone più calde del pianeta[13]. Tuttavia, il Presidente Jokowi ritiene fondamentale inserirsi nei piani di espansione commerciale cinese e approfittare dei fondi messi a disposizione da Pechino. Lo scoppio della pandemia e la necessità dei vaccini hanno accelerato un processo di riavvicinamento tra i due Paesi. Infatti, è proprio nell’azienda cinese Sinovac che il governo ha investito le maggiori speranze, riuscendo anche a concludere un accordo di collaborazione tra quest’ultima e la Biopharma, principale industria farmaceutica indonesiana. Il legame tra i due Paesi asiatici appare più solido che in passato, nonostante le sopracitate tensioni causate dalle dispute sulle acque contese. Per quanto concerne invece i rapporti con gli Stati Uniti, la sconfitta elettorale di Donald Trump del novembre scorso è stata accolta positivamente da Giacarta, nella speranza di un’evoluzione meno pericolosa dei rapporti sino-americani[14]. Inoltre, la cattiva gestione dell’emergenza sanitaria da parte della vecchia presidenza e la perdita di soft power causata dall’impossibilità di destinare grossi aiuti ai PVS hanno contribuito a una diminuzione significativa del fascino statunitense sull’arcipelago.
Negli ultimi mesi l’Indonesia ha cercato di svolgere un ruolo più attivo nel panorama internazionale, sia ponendosi come mediatore per quanto riguarda la crisi in Myanmar, sia esprimendo le proprie preoccupazioni per quanto concerne la crisi israelo-palestinese, ma tali sforzi diplomatici non bastano a cancellare l’ennesimo voto negativo alla risoluzione delle Nazioni Unite sui crimini contro l’umanità[15]. Nemmeno l’emergenza sanitaria è riuscita a creare le condizioni per un ripensamento di quelle politiche che da troppo tempo gravano sull’arcipelago per quanto riguarda i diritti umani. Proprio sulle responsabilità del passato e sui problemi sociali del presente, uno su tutti l’impatto della Omnibus Law[16] sui diritti dei lavoratori, il governo Jokowi pare aver fallito le grandi aspettative dell’opinione pubblica mondiale circa il progressismo dell’attuale establishment.
La condizione disastrosa del sistema sanitario in seguito al recente incremento dei contagi conferma le preoccupazioni sulle sorti del paese. La pandemia ha accelerato dinamiche già in corso e aggravato problemi già esistenti in Indonesia. I principali interrogativi riguardano aspetti non secondari e investono processi a lungo termine. Il sempre più netto squilibrio in favore dell’economia rispetto alla salute pubblica, l’ormai cronica disattenzione ai diritti umani e alle libertà democratiche, l’aumento delle tensioni interetniche e interreligiose, la scarsa capacità di immaginare miglioramenti significativi nel campo della ricerca e dell’educazione, la mancanza di politiche serie per contrastare l’inquinamento e i cambiamenti climatici costituiscono sempre di più delle sfide improrogabili per l’arcipelago. Senza l’ascesa di nuove forze politiche e sociali in grado di offrire risposte alternative a quelle fin qui praticate, tali sfide potrebbero rimanere disattese ancora per molti decenni, trasformando l’attuale situazione di emergenza in una condizione di crisi strutturale difficilmente superabile.
Note bibliografiche
[1] Per l’aggiornamento in tempo reale dei dati pandemici in Indonesia si rimanda a Our World in Data, Indonesia: Coronavirus Pandemic Country Profile, disponibile online al link https://ourworldindata.org/coronavirus/country/indonesia?country=~IDN.
[2] Djalante, R. et al. (2020), “Review and Analysis of Current Responses to COVID-19 in Indonesia: Period of January to March 2020”, Progress in Disaster Science, 6, pp. 1-9.
[3] Andriani, H. (2020), “Effectiveness of Large-Scale Social Restrictions (PSBB) toward the New Normal Era during COVID-19 Outbreak: A Mini Policy Review”, Journal of Indonesian Health Policy and Administration, 5 (2), pp. 61-65.
[4] The Conversation Indonesia (2020), “Why a ‘New Normal’ Might Fail in Indonesia and How to Fix It”, 25 giugno, disponibile online al link https://theconversation.com/why-a-new-normal-might-fail-in-indonesia-and-how-to-fix-it-140798.
[5] Janti N. e Lai Y. (2021), “Darkest Days Ahead: Deaths Surge in Indonesia as Health Facilities Collapse”, The Jakarta Post, 4 luglio, disponibile online al link https://www.thejakartapost.com/news/2021/07/04/darkest-days-ahead-deaths-surge-in-indonesia-as-health-facilities-collapse.html
[6] Tani, S. (2021), “Indonesia Economy Shrinks in 2020 for First Time in Two Decades”, Nikkei Asia, 5 febbraio, disponibile online al link https://asia.nikkei.com/Economy/Indonesia-economy-shrinks-in-2020-for-first-time-in-two-decades.
[7] Sparrow, R., Dartanto, T. e Hartwig, R. (2020), “Indonesia Under the New Normal: Challenges and the Way Ahead”, Bulletin of Indonesian Economic Studies, 56 (3), pp. 269-299.
[8] Lane, M. (2020), “The Politics of National and Local Responses to the COVID-19 Pandemic in Indonesia”, ISEAS Perspective, n. 46, 15 maggio, disponibile online al link https://www.iseas.edu.sg/wp-content/uploads/2020/03/ISEAS_Perspective_2020_46.pdf.
[9]Widianto, S. e Diela, T. (2021), “Why Indonesia is Vaccinating its Working Population First, Not Elderly”, Reuters, 4 gennaio, disponibile online al link https://www.reuters.com/article/us-health-coronavirus-indonesia-explaine-idUSKBN2990MX.
[10]Soeriaatmadja, W. (2021), “Indonesia Makes COVID-19 Vaccines Compulsory, Allows Private Vaccination”, The Straits Times, 16 febbraio, disponibile online al link https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/indonesia-makes-covid-19-vaccines-compulsory-allows-for-private-vaccination.
[11] Lane, M. (2021), “To Be Young and Rich: Indonesia’s Vaccination Controversies”, Fulcrum Analysis of South East Asia, 1° marzo, disponibile online al link https://fulcrum.sg/to-be-young-and-rich-indonesias-vaccination-controversies/.
[12] Aqil, A.M.I. e Janti, N. (2021), “Private Vaccination Begins as State-led Rollout Slows”, The Jakarta Post, 18 maggio, disponibile online al link https://www.thejakartapost.com/news/2021/05/18/private-vaccination-begins-as-state-led-rollout-slows.html.
[13] Suryadinata, L. (2020), “Recent Chinese Moves in the Natuna Riles Indonesia”, ISEAS Perspective, n. 10, 19 febbraio, disponibile online al link https://www.iseas.edu.sg/wp-content/uploads/pdfs/ISEAS_Perspective_2020_10.pdf.
[14] Cook, M. e Storey, I. (2020), “The Impending Biden Presidency and South East Asia”, ISEAS Perspective, n. 143, 16 dicembre, disponibile online al link https://www.iseas.edu.sg/wp-content/uploads/2020/12/ISEAS_Perspective_2020_143.pdf.
[15] Septiari, D. (2021), “Indonesia Votes ‘No’ on UN Crimes Against Humanity Resolution”, The Jakarta Post, 20 maggio, disponibile online al link: https://www.thejakartapost.com/news/2021/05/20/indonesia-votes-no-on-un-crimes-against-humanity-resolution.html.
[16] Hamid, U. e Hermawan, A. (2020), “Indonesia’s Omnibus Law Is a Bust for Human Rights”, New Mandala, 9 ottobre, disponibile online al link: https://www.newmandala.org/indonesias-omnibus-law-is-a-bust-for-human-rights/.
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