Presidente, come può essere qualificato oggi il posizionamento dell’Italia in campo aerospaziale e su quali frontiere tecnologiche il nostro paese può giocare un ruolo di primo piano?
L’Italia è un attore importante nella comunità spaziale internazionale, occupando il sesto posto su scala globale e il terzo in Europa in termini di investimenti legati alle attività e alle tecnologie spaziali. È importante ricordare che l’Italia gode di una sua filiera completa, che comprende l’accesso autonomo allo spazio con il vettore di media dimensione VEGA – elemento fondamentale della famiglia dei lanciatori europei –, la realizzazione di moduli pressurizzati e abitabili (circa il 40% della Stazione Spaziale Internazionale è stato realizzato da Thales Alenia Space Italia TAS-I di Torino), i servizi della logistica forniti dalla ALTEC (Società partecipata tra TASI-I e ASI), la produzione di satelliti della costellazione di COPERNICUS per l’osservazione della Terra, e, decisivo, la gestione del segmento di terra di GALILEO per la localizzazione, la più importante infrastruttura spaziale europea dedicata al geo-posizionamento globale in grado di fornire una precisione migliore del sistema GPS statunitense e di garantire, allo stesso tempo, l’interoperabilità tra i due sistemi.
Inoltre, l’Italia gioca un ruolo guida in ExoMars, il grande programma di esplorazione planetaria che nel 2020 penetrerà fino a circa due metri il sottosuolo marziano alla ricerca di tracce di vita. L’Italia ha poi un ruolo di leadership mondiale nel settore dell’osservazione della Terra con tecnologia radar, conquistata grazie alla realizzazione della costellazione COSMO – SkyMed, il sistema satellitare nazionale ad altissime prestazioni. Infine, siamo il primo paese europeo a studiare concretamente la possibilità di realizzare uno spazioporto per i voli sub-orbitali turistici della Società statunitense Virgin Galactic.
Tutto questo – e c’è molto altro – rappresenta un segmento scientifico e industriale competitivo di alto livello. Vorrei anche sottolineare i notevoli risultati che l’Italia ha ottenuto durante il Consiglio europeo a livello ministeriale dell’Agenzia Spaziale Europea, svoltosi a Lucerna nel dicembre 2016, momento politico in cui i paesi decidono programmi e investimenti spaziali. In tale occasione l’Italia ha ottenuto un finanziamento per il completamento di ExoMars, l’utilizzo della Stazione Spaziale Internazionale fino al 2024, il completamento del programma del lanciatore VEGA-C e il programma di sviluppo di Vega E, oltre allo sviluppo del velivolo di rientro orbitale Space Rider.
Per quanto riguarda gli sviluppi tecnologici possiamo elencare gli investimenti in fotonica, nei programmi per i satelliti di piccola taglia, e nella telecomunicazione quantistica. Vorrei sottolineare come la sfida della nuova space economy sia stata raccolta con la creazione di una Cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio allo scopo di definire nel modo più efficace la politica nazionale nel settore spaziale. Alla Cabina di regia, che affida all’ASI il ruolo di architetto di sistema, partecipano, oltre all’ASI, tutti gli stakeholder del settore: università, centri di ricerca, industrie, pubbliche amministrazioni. Un lavoro che mette a sistema i canali d’intervento tradizionali della politica spaziale nazionale con le risorse e gli interessi delle varie amministrazioni pubbliche, coordinando il finanziamento congiunto (fondi nazionali, fondi strutturali europei, fondo per lo Sviluppo e la Coesione) delle iniziative spaziali ritenute prioritarie. Questo coordinamento è fondamentale, e ancor di più lo è l’approvazione della nuova legge in itinere sul riordino del sistema spaziale italiano, che affida alla Presidenza del Consiglio l’alto coordinamento delle politiche spaziali.
Quali sono i protagonisti industriali dell’innovazione italiana nel campo aerospaziale?
L’Italia è tra i pochi paesi al mondo che dispone di una filiera di prodotto completa in ambito spaziale, fattore importante per il rafforzamento del settore downstream. L’industria spaziale italiana è composta da circa 250 aziende (di cui 150 hanno le attività spaziali come core business) con un fatturato complessivo di circa 1,6 miliardi di euro. Un ristretto numero di grandi gruppi domina il settore, sia in termini di occupazione che di fatturato. Circa 6.000 persone lavorano nel settore spaziale italiano, con quattro grandi aziende che occupano circa l’80% della forza lavoro. Questi dati comprendono anche il settore downstream, che però corrisponde oggi a meno di un terzo del complesso dell’occupazione in questo ambito.
Sui media e nell’immaginario collettivo si pensa allo spazio come a una sfera di primario interesse scientifico e militare, quando in effetti il versante commerciale è già oggi molto rilevante, come traspare anche dal Documento di Visione Strategica ASI 2010-2020. In questo senso, quali sono le nuove opportunità che si intravvedono all’orizzonte?
Per uno stato moderno, lo spazio è una priorità e un elemento essenziale per la propria sovranità. Le costellazioni satellitari sono un’infrastruttura strategica irrinunciabile, sia che abbiano scopi esclusivamente militari, oppure duali o strettamente civili. La distinzione tra utilizzo militare e civile dello spazio riguarda oggi unicamente l’uso della tecnologia, la cui infrastruttura satellitare è la stessa dalle telecomunicazioni alla navigazione, dal monitoraggio climatico e ambientale alle applicazioni di varia natura su terra, mare e cieli. La tecnologia spaziale scandirà sempre di più il ritmo delle economie avanzate e ciò è già oggi riflesso dai numeri del settore, che – seppur presentando dimensioni ridotte rispetto ad altri comparti industriali – hanno un grande impatto in termini di qualità (anche del personale, altamente qualificato) e di ricadute su altri comparti (trasferimento tecnologico).
In Europa, malgrado la difficile congiuntura economica, nel 2014 la forza lavoro nel settore spazio si è attestata a 38.000 unità (+6% rispetto all’anno precedente). Se ci confrontiamo con gli Stati Uniti, però, siamo ancora indietro, e non solo in termini di budget istituzionali, con i nostri 8 miliardi di euro circa contro i loro 26 miliardi, ma anche nella capacità di innovare il modello di business. In California sono già nate molte società che stanno costruendo la new space economy: tra gli esempi più interessanti, la Planet Labs lancia decine di satelliti di piccola taglia per l’osservazione della Terra (oggi ne ha 85 in orbita), e ha raccolto 200 milioni di dollari di investimenti di venture capital. Il modello statunitense è stato in grado di utilizzare l’enorme mole degli investimenti pubblici come volano per far partire investimenti privati in alcuni casi molto importanti, e far così crescere all’ombra della NASA i nuovi imprenditori dello spazio provenienti da esperienze non spaziali. Penso a Jeff Bezos, Elon Musk o Richard Branson. Ma dietro agli apripista c’è un sistema di space venture capitalists che dal 2000 al 2015 ha raccolto oltre 13 miliardi di dollari di investimenti, due terzi solo negli ultimi 5 anni. Dei 250 venture capitalist dello spazio il 66% opera negli Stati Uniti e la metà – guarda caso – in California. Questo nuovi players dicono una cosa semplice ed efficace: “You can now make money with space investment”. Ora si possono fare i soldi. Un messaggio che non passa inosservato.
L’opinione pubblica occidentale è da generazioni abituata a pensare a una leadership spaziale condivisa tra Stati Uniti e Russia. In realtà nell’arco di poco più di tre decenni la Cina è emersa come un protagonista capace di lanciare laboratori spaziali trasferendovi astronauti dalla Terra con propri vettori. Quali sono i punti di maggior forza del programma spaziale cinese?
Negli ultimi anni è apparso sempre più chiaro come la collaborazione spaziale con il grande paese asiatico fosse nell’interesse non solo dell’Italia ma di tutta la comunità internazionale. Una strada diventata evidente nel 2003 con la missione che ha proiettato la Cina al terzo posto nel mondo in quanto paese capace di un autonomo accesso umano allo spazio. Da allora il “grande balzo” cinese verso le stelle è stato contraddistinto da una tabella di marcia impressionante: nel 2008 la prima passeggiata spaziale, nel 2012 le prime lezioni dallo spazio, nel 2013 il primo allunaggio di un rover sulla Luna. Una superpotenza che nel 2013, secondo i calcoli della Banca mondiale, ha speso per il settore spazio 3,5 miliardi di dollari, che a parità di potere d’acquisto diventano 5,1 miliardi. Questo ha permesso ai cinesi di fare in vent’anni quello che gli altri paesi hanno realizzato in quaranta. È un risultato straordinario che va valorizzato. Lo spazio è oggi diventato il luogo dove la globalizzazione viene declinata attraverso valori comuni irrinunciabili: valori scientifici, tecnologici, economici e, non ultimi, valori umani. Oggi la “diplomazia dello spazio” è uno strumento sperimentato e appezzato. Dagli americani ai russi, dagli europei ai cinesi, tutti hanno capito che l’esplorazione spaziale, robotica e umana, non è affare che si possa trattare con risorse esclusivamente nazionali, pena il fallimento o, nella migliore delle ipotesi, costi insostenibili. Già nel 2012 un razzo vettore Lunga Marcia 2E ha lanciato in orbita un laboratorio orbitante, precursore della futura stazione, battezzato Tiangong-1 (Palazzo del cielo), che è servito soprattutto a collaudare i sistemi di puntamento e attracco con le navette spaziali Shenzhou, oltre ad ospitare per alcuni giorni i taikonauti cinesi e quindi a rendere operativo un piccolo avamposto orbitante. I responsabili del programma spaziale cinese sono interessati ad aprirsi alla collaborazione internazionale, ad esempio con l’Italia, dove Thales Alenia Space Italia ha una straordinaria esperienza acquisita con la collaborazione che l’Italia ha a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. È su questa base che è stato firmato un accordo quadro con la China Manned Space Agency (CMSA) per collaborare in questo settore, accordo che potrebbe aprire scenari importanti per il futuro dell’esplorazione umana.
Nel corso della recente visita di Stato del Presidente Mattarella, lei ha firmato un importante accordo con CMSA per collaborare nell’ambito del volo umano e sulla stazione spaziale cinese. Qual è la portata di questo accordo, considerando che non nasce da un giorno all’altro? L’Agenzia Spaziale Italiana infatti intrattiene da tempo un robusto rapporto di collaborazione con vari stakeholders del programma spaziale cinese.
Con la Cina l’Italia ha da decenni eccellenti relazioni scientifiche in diversi settori. Non a caso uno dei primi accordi intergovernativi per l’utilizzo dello spazio a fini pacifici è stato proprio firmato tra Italia e Cina nel 1991. Quest’ultimo accordo tra ASI e CMSA è importante, però, non soltanto per la comunità scientifica italiana, ma anche per quella internazionale, impegnata nelle future missioni di esplorazione umana del sistema solare. L’accordo prevede la collaborazione per lo studio degli effetti di lunghi periodi di permanenza in orbita degli astronauti, con particolare riguardo agli ambiti di biomedicina e fisiologia e relative tecnologie. La portata dell’intesa andrà definita nel dettaglio: ci aspettiamo che le ricadute siano importanti, considerati, da una parte, la posizione di leadership che l’Italia ha raggiunto nel settore del volo umano con la realizzazione della Stazione Spaziale Internazionale (i moduli abitabili, i nodi e la cupola), e, dall’altra, l’importante programma di volo umano che la Cina sta sviluppando, con la realizzazione della Stazione Spaziale Tiangong-3. La Cina, come in altri casi, ha sfruttato la sua competitività in campo manifatturiero e paradossalmente ha tratto vantaggio dalle restrizioni ITAR – imposte dagli Stai Uniti per limitare i trasferimenti di tecnologia duale verso paesi non alleati – sviluppando nuovi modelli di cooperazione (ITAR free business model).
Dal 2013 la Cina ha più volte ribadito la volontà di aprire la futura stazione spaziale a partner internazionali, includendo, oltre a collaborazioni tecnologiche e scientifiche, la possibilità di ospitare astronauti da altre nazioni. Ci sono opportunità per l’Italia e l’Europa? E quali gli ostacoli?
Queste opportunità vi sono, ma devono essere sviluppate e l’accordo che ho appena citato è un elemento importante di questa collaborazione. Non è solo una grande opportunità scientifica, ma rappresenta l’ambizione di preservare lo spazio come luogo di libertà, collaborazione e pace, precondizioni irrinunciabili per il progresso dell’uomo, destinato a diventare una specie multi-planetaria. Gli ostacoli sono quelli della complessa situazione politica, ma già nel passato lo spazio si è rivelato un’importante camera di compensazione delle tensioni terrestri. In orbita o si collabora o si fallisce, con conseguenti perdite umane e finanziarie.
Molti pensano che la Presidenza Trump porterà a relazioni più tese tra Stati Uniti e Cina, ma in campo spaziale questa tendenza era già emersa nel 2011 con le restrizioni imposte dal Congresso Usa alla cooperazione scientifica tra NASA e soggetti cinesi e nel 2014 con la Strategic Portfolio Review perseguita dal Consiglio per la sicurezza nazionale statunitense all’indomani di un test cinese che aveva messo in dubbio la sicurezza dei satelliti statunitensi in orbita geostazionaria. Quali implicazioni vede per il futuro della cooperazione tra programmi spaziali in questo delicato scenario e come vi si posiziona l’Europa, e segnatamente l’Italia?
A chi dice che la Cina è una sfida e una minaccia per gli Stati Uniti – particolarmente sensibili a mantenere la loro supremazia in tutti i campi e certamente in quello spaziale – rispondo che nello spazio la collaborazione tra pubblico e privato e tra i diversi paesi è fondamentale, pena il fallimento. Penso alla prossima tappa dell’esplorazione dell’uomo, Marte. Non è impresa che si possa fare in splendida solitudine. Quindi occorre guardare al futuro con maggiore apertura. Nel frattempo bisogna cogliere e analizzare tutti i segnali. È quello che è avvenuto con le recenti decisioni in tema di politica spaziale internazionale che abbiamo preso in Italia. La Cina si muove in forma autonoma, senza però chiudere le porte alla cooperazione internazionale. Occorre però ricordarsi che cooperazione significa anche competizione sul mercato upstream. Questo sarà un periodo molto stimolante e allo stesso tempo molto complesso, dove solo chi è in grado di fare sistema sarà in prima fila nei grandi programmi internazionali di esplorazione robotica e umana.
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