Di recente Le recenti indiscrezioni su possibili acquisti di titoli del Tesoro e partecipazioni in aziende pubbliche controllate in Italia dal fondo sovrano cinese – la China Investment Corporation – hanno riaperto il dibattito sul ruolo della Cina nel sostegno alla zona euro. Un tema che, con ogni probabilità, ci accompagnerà anche negli anni a venire, data la crescente importanza della Cina nell’economia mondiale e il graduale spostamento del baricentro della crescita dall’Occidente verso l’Asia.
Solo qualche anno fa, interrogarsi sul ruolo della Cina nel sostegno della moneta unica europea sarebbe apparso un vezzo accademico. Oggi, grazie ai cambiamenti epocali nella distribuzione della ricchezza mondiale, sono i paesi emergenti raccolti sotto la sigla Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) a detenere per la prima volta le risorse necessarie per contribuire – se volessero – alla risoluzione della crisi del debito dei paesi occidentali. La Cina spicca tra questi per la sua forza: a fine agosto 2011, le sue riserve hanno superato i 3,200 miliardi di dollari, le più ingenti al mondo.
Il governo cinese è intervenuto ripetutamente negli ultimi mesi per sostenere l’euro e rassicurare gli europei e i mercati sul fatto che Pechino continuerà a comprare i buoni del tesoro dei paesi periferici. C’è un chiaro interesse cinese a sostenere la moneta europea. L’Ue è, infatti, il primo partner commerciale di Pechino. Per volume di scambi, le relazioni commerciali sino-europee sono più importanti di quelle tra Cina e Stati Uniti. Il surplus della Cina nei confronti della Ue è enorme: a fine 2010 aveva raggiunto i 169 miliardi di euro.
È evidente che un euro forte va a tutto vantaggio delle esportazioni cinesi. Investire in euro permette inoltre ai cinesi di diversificare il rischio dal dollaro. Le autorità di Pechino hanno ripetutamente criticato la Federal Reserve americana (Fed) negli ultimi mesi, per la sua politica espansiva (il cosiddetto quantitative easing), rassicurando al contempo gli europei sul fatto che avrebbero continuato i loro acquisti di titoli della zona euro. Il 14 settembre 2011, all’asta per la tranche di 5 miliardi di euro organizzata dal fondo di salvataggio europeo a favore del Portogallo, i cinesi rappresentavano una parte consistente degli acquirenti.
Le ripetute dichiarazioni in favore dell’euro e dell’acquisto di eurobonds sono sempre accolte con favore da quei paesi quali la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l’Italia, impegnati a rassicurare i mercati sulla loro solvibilità. Finora, i cinesi non avevano avanzato esplicite richieste politiche per il loro sostegno alla crisi del debito sovrano in Europa. La scorsa settimana, però, il premier cinese Wen Jiabao ha apertamente dichiarato quello che il suo paese si aspetterebbe dall’Europa in cambio dell’amicizia e del sostegno di Pechino in questa delicata fase dell’euro: che l’Ue riconoscesse alla Cina lo status di economia di mercato.
Con un tale riconoscimento sarebbe molto più difficile aprire procedure anti-dumping contro la Cina in sede di Organizzazione mondiale del commercio (Omc). Lo status di economia di mercato ha, pertanto, significative implicazioni commerciali, soprattutto per i produttori europei che lamentano l’inondazione del mercato europeo con prodotti sottocosto da parte di alcune aziende cinesi.
La scelta di riconoscere a un paese lo status di economia di mercato è eminentemente politica, nonostante sia soggetta a rigidi criteri tecnici da parte della Commissione europea. Come dimostra, tra l’altro, il caso della Russia, alla quale la Ue ha riconosciuto lo status di economia di mercato nel 2002. È infatti difficile pensare che Mosca abbia un’economia di mercato più sviluppata di quella cinese. Il problema è politico e di protezione di vasti interessi europei: la Ue ha in corso contro la Cina un numero significativo di casi anti-dumping, largamente assenti nel caso della Russia.
La recente dichiarazione di Wen Jiabao si inserisce pertanto in un più ampio processo di ridefinizione delle relazioni politiche tra l’Europa e la Cina, in un contesto in cui i capitali cinesi diventano sempre più determinanti per l’economia europea. Secondo gli analisti della Grisons Peak Merchant Bank, gli investimenti cinesi in Europa sono cresciuti del 297% nel 2010 (rispetto al 2009) raggiungendo i 2,13 miliardi di dollari (1,48 miliardi di euro).
Secondo l’Economist Intelligence Unit, la cinese Safe (State administration of foreign exchange) ha acquisito partecipazioni azionarie nelle compagnie quotate alla borsa di Londra per un totale di 18,6 miliardi di dollari, circa l’ 1% del valore dell’indice delle top 100 Ftse della borsa inglese.
L’Europa si sta dimostrando un terreno di investimento per i capitali cinesi molto più promettente di quello americano: secondo fonti del Ministero del Commercio cinese, nel 2010 gli investimenti effettuati da istituzioni finanziarie e compagnie cinesi in Europa sarebbero stati superiori del 53% a quelli degli Stati Uniti nello stesso periodo di tempo.
I recenti colloqui tra il fondo sovrano cinese e il governo italiano, come riportato dal Financial Times, sembra includessero i nomi di Eni e Enel come possibili destinatari di investimenti. La crisi del debito ha spinto paesi quali la Grecia, il Portogallo, l’Ungheria e ultimamente anche l’Italia a considerare seriamente l’entrata di capitali cinesi nell’azionariato di imprese controllate dallo stato.
Riguardo all’ammontare dei titoli di stato della zona euro detenuti dai cinesi, le cifre sono meno univoche. In Cina la composizione delle riserve è considerata un segreto di stato e chi rivela informazioni al riguardo rischia di finire in carcere. Nel giugno di quest’anno, gli analisti della Standard Chartered Bank di Hong Kong hanno calcolato che gli attivi in euro costituiscono il 26-28% delle riserve cinesi, mentre i dollari sarebbero all’incirca tra il 63 e il 67%. Circa un terzo delle riserve cinesi sarebbe quindi in euro.
Sembra che la maggioranza degli investimenti cinesi sia parcheggiata in titoli del debito tedesco e francese, anche se negli ultimi mesi sono cresciuti gli acquisti di titoli dei paesi periferici. Sempre secondo il Financial Times, la Cina deterrebbe il 4% dei buoni del Tesoro italiani, sebbene in un’intervista a fine luglio, durante la sua visita in Cina, il ministro degli esteri Franco Frattini abbia dichiarato che Pechino detiene ormai il 13% del debito italiano.
Una cosa è certa: la Cina sta assumendo un ruolo sempre più rilevante negli affari economici e monetari europei. È per questo che il premier cinese si è permesso di invitare caldamente gli europei a mettere in ordine i loro conti, come contropartita per un eventuale robusto intervento di Pechino a sostegno della zona euro.
L’Europa non deve certo sottomettersi a tali richieste. È però interesse degli europei avviare una seria discussione sul ruolo che la Cina potrebbe avere nel risolvere la crisi attuale, inclusa l’acquisizione di partecipazioni in imprese di interesse strategico. Su questo punto c’è però bisogno di maggiore coordinamento tra i 27 al fine di evitare accese competizioni per i capitali cinesi che farebbero gli interessi di Pechino e non aiuterebbero a trovare una soluzione unitaria per l’euro.
Occorre però fare presto. L’attuale premier Wen Jiabao è il più filo-europeo tra i dirigenti cinesi. L’anno prossimo se ne andrà anche lui con il cambio della leadership previsto per ottobre 2012. Sarebbe nell’interesse dell’Italia e dell’Europa aprire subito un tavolo di discussione – a livello Ue – con l’attuale dirigenza cinese sul futuro delle relazioni sino-europee, la crisi del debito e le contropartite politiche che si è pronti ad offrire. Anche perché non sappiamo se la prossima leadership cinese avrà la stessa attenzione per l’Europa che sta dimostrando quella attuale.
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