Dopo il ritiro delle truppe Nato dallo scacchiere afgano previsto per il 2014 si svilupperanno nuovi equilibri in Asia Centrale. La prevista permanenza di truppe americane nell’area del Northern Distribution Network (Ndn) sino al 2024 consente ai paesi centro-asiatici di perseguire una politica estera multi-vettoriale, come suggerito da Sultan Akimbekov, direttore dell’Istituto per gli studi asiatici ad Almaty: una politica che prenda in considerazione non solo i consueti rapporti con il vicino russo, ma anche la crescente pressione economica cinese nella regione e la volontà statunitense di mantenere una presenza strategica nell’area. Le azioni cinesi in prossimità dei propri confini sono da intendersi – secondo Pechino – come sganciate da ragionamenti strategici di portata globale. La “coesistenza competitiva” tra Stati Uniti e Cina potrà quindi dar luogo a tensioni soprattutto a causa nelle rivalità di carattere locale/regionale. Se la disputa per le isole Diaoyu/Senkaku sembra aver catalizzato il dibattito internazionale sulla stabilità in Asia orientale, non bisogna trascurare quanto accade ai confini terrestri nell’occidente della Cina, dove gli interessi di Pechino incrociano quelli dei paesi dell’Asia centrale e dell’Afghanistan.
La politica intrapresa da Pechino in quest’area, pur scontrandosi con una pressante campagna mediatica russa in chiave anti-cinese (con radici che rimandano ai tempi degli zar), è tesa ad affermare la presenza economica, sociale e culturale della Cina sulla base di due pilastri portanti: la disponibilità di ingenti risorse finanziarie e l’esperienza nella realizzazione di grandi opere infrastrutturali internazionali (maturata principalmente in Africa).
Da tempo la Cina ha avviato un lento processo di apertura del proprio confine terrestre con l’Afghanistan, nonché un rafforzamento della propria presenza economico-commerciale nell’area con l’acquisizione di diritti minerari. Al confine sino-afgano sono previsti la costruzione di un tunnel sotto il Pamir (corridoio del Wakhan) ed una serie di autostrade atte a collegare in maniera più efficiente la Regione autonoma uigura dello Xinjiang con il vicino Tajikistan. Permane comunque l’ansia cinese per il rischio di accerchiamento da parte americana, legato al ruolo delle basi Usa in Afghanistan post-2014 e alla presenza militare statunitense lungo l’Ndn. Geopoliticamente, il corridoio del Wakhan è una delle tante eredità del “Grande Gioco” tra l’impero russo e quello britannico alla fine dell’800: i confini naturali della valle furono usati dal celebre capitano inglese Younghusband e dal suo omologo russo colonnello Yanov per delimitare le sfere di influenza di Londra e San Pietroburgo nell’area. Qui un possibile scenario strategico con riferimento ai confini occidentali cinesi prevede il collegamento del corridoio del Wakhan – via Kashmir – con il porto pachistano di Gwadar.
L’alto livello qualitativo delle infrastrutture cinesi è riscontrabile nei nuovi tratti autostradali, ad esempio quello presso il passo di Irkeshtam, al confine sino-kirghiso, finanziato dall’Asian Development Bank (Adb) e dall’Islamic Development Bank (Idb), e realizzato dalla China Bridge and Road Corporation (Cbrc), come documentato da Raffaello Pantucci. Il potenziamento delle rete stradale kirghisa è volto a portare a un futuro allacciamento con le autostrade uzbeke e kazake, e al rilancio economico dell’area nordovest dello Xinjiang. Lo stesso premier Wen Jiabao, durante il lancio della fiera commerciale euro-asiatica di Urumqi dello scorso settembre, ha sottolineato come lo Xinjiang sia un trampolino di lancio ideale per gli investimenti cinesi ed europei in tutta l’area, grazie alla posizione geografica favorevole. Nel frattempo, mentre l’operazione Enduring Freedom volge al termine, le repubbliche centro-asiatiche non hanno scommesso su un unico garante della propria sicurezza – sia esso la Russia attraverso il Csto, la Cina con la Sco, o gli Stati Uniti con il consolidamento nel Ndn.
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