Con l’ingresso nel Wto (World Trade Organization, o Organizzazione Mondiale del Commercio) nel 2001, la Cina ha raggiunto il suo obiettivo storico di entrare a far parte del sistema commerciale mondiale. Malgrado al’epoca le maggiori potenze commerciali manifestassero forti dubbi sulla effettiva volontà di Pechino di rispettare gli impegni presi, il rapporto 2010 del segretariato Wto preparato per la Trade Policy Review conferma che in generale la Cina si è rivelata una buona allieva, avendo compiuto continui sforzi per liberalizzare la propria economia, resistito all’adozione di misure protezionistiche e adottato nuove misure legislative in tema di diritto industriale. Tuttavia il Rapporto segnala che la liberalizzazione del settore dei servizi (in particolare, dei servizi finanziari e bancari) non è completa, mentre permangono forti barriere non-tariffarie e la politica di “indigenous innovation”, che mira a ridurre la dipendenza tecnologica dall’estero, impedisce l’accesso delle imprese straniere al vasto mercato degli appalti pubblici (per questo si invita Pechino a sottoscrivere al più presto il Wto Government Procurement Agreement, l’accordo in materia promosso dal Wto).
La Cina ha dovuto temporaneamente accettare alcune regole discriminatorie: ad esempio, fino al 2016 (se gli stati membri resistono alle pressioni di Pechino per anticipare la scadenza) la Cina è considerata una non-market economy, e ciò in sostanza facilita l’adozione da parte degli altri paesi di misure anti-dumping nei confronti di Pechino. In effetti, dal 1995 al 2008 la Cina è stata oggetto del maggior numero di investigazioni antidumping in sede Wto: se si considerano i primi dieci paesi esportatori accusati di anti-dumping, 677 casi su 2079, il 32,56% del totale, hanno riguardato la Cina, con l’India primo paese attivo contro Pechino (120).
La Cina fa parte di cinque raggruppamenti informali all’interno dei negoziati sulla liberalizzazione del commercio del Doha Development Round (Ddr) in ambito Wto: tra questi, segnaliamo il G-20 (niente a che fare con l’erede del G-8) e il G-33, che spingono per una maggiore liberalizzazione dell’agricoltura, e il RAM (Recently Acceded Members), formato dai paesi membri del Wto dal 1995 che ritengono di avere già liberalizzato a sufficienza, e che non accettano ulteriori obblighi in questo senso. Va inoltre ricordato che Zhang Xianchen, direttore generale della divisione Wto del Ministero del Commercio, difendeva nel 2008 lo status di RAM della Cina sulla base delle “quattro L”: “less (meno richieste), lower (obblighi meno stringenti), longer (periodi di transizione più lunghi), later (liberalizzazione in un momento successivo)”.
Pechino ritiene che il sistema Wto sia un pilastro fondamentale contro il protezionismo dei paesi industrializzati, ma non è chiaro perché dovrebbe essere nel suo interesse assumere la leadership dei negoziati del Ddr: la Cina è soddisfatta del regime attuale del commercio internazionale, ha bisogno di tempo per sviluppare il mercato interno, e sa che prima o poi le regole discriminatorie nei suoi confronti non saranno più valide. D’altra parte, grazie alla sua forza di attrazione, la Cina può realizzare nuovi acaccordi bilaterali di libero scambio, senza aspettare la conclusione del Ddr: ha già accordi in vigore con Asean, Hong Kong, Macao, Nuova Zelanda, Singapore, Taiwan, Pakistan, Perù e Tailandia., ne sta negoziando altri con Australia, Islanda, Norvegia, Svizzera, Consiglio di Cooperazione del Golfo, Unione Doganale Sudafricana, ed è in corso l’analisi di fattibilità di ulteriori accordi con India, Corea e Mongolia. Resta il dilemma centrale del Ddr: con l’avanzata della potenza commerciale dei BRICs, l’accordo Usa-Ue (esteso al Giappone), che era il motore dei negoziati GATT, non basta più, e la distinzione tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, su cui si basa il Ddr, si è fatta sempre più sfumata. L’adeguamento a questa nuova realtà è per il Wto, che funziona con il consensus degli stati membri, è tutt’altro che facile e richiederà un paziente lavoro di tessitura diplomatica.
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“Il Gruppo dei BRICS, sempre più variegato, non appare in grado di intraprendere azioni concrete ed efficaci per migliorare la governance mondiale, piuttosto segnala... Read More
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