ThinkINChina è un’“open academic-café community” attiva a Pechino, luogo di dibattito tra giovani ricercatori e professionisti di varia provenienza impegnati nello studio della Cina contemporanea.
Uno degli studiosi più autorevoli dell’accademia americana, Joseph Nye, ha dedicato un suo recente scritto al ruolo della leadership presidenziale nel plasmare la politica statunitense e l’ordine globale. Esaminando, tra le altre, le figure di Roosevelt, Kennedy, Nixon, Reagan e Clinton, Nye ha concluso che la leadership presidenziale può essere “trasformational” o “transitional”. Un “transitional leader” è un custode dello status quo, un buon manager che non prende iniziative ambiziose, mentre un “transformational leader” è un uomo d’azione, che non si limita a seguire la tendenza ma reagisce agli stimoli ambientali e mira a modellare l’ambiente esterno. Nessuno dei due attributi ha un connotato a priori negativo o positivo: è piuttosto necessario tener conto del contesto storico della presidenza per poter valutare l’effetto della qualità della leadership sulla politica statunitense e su quella globale. È su questo tema che Da Wei, direttore dell’Istituto di studi americani del China Institutes of Contemporary International Relations (Cicir), si è cimentato durante l’evento di ThinkINChina dello scorso aprile, applicando i concetti utilizzati da Nye alla Repubblica popolare cinese.
La tassonomia di Nye può infatti essere applicata anche alla leadership cinese. Le impronte digitali politiche e diplomatiche di Xi Jinping non lasciano spazio ad ambiguità: Xi non è un manager, è un imprenditore politico e diplomatico, un trasformational leader che sta rimodellando l’identità nazionale e globale della Cina.
Sul piano interno il nuovo presidente cinese si è impegnato in una campagna anti-corruzione senza precedenti e ha cercato di stimolare un dialogo nazionale sull’identità e sul cosiddetto “sogno cinese”. Era dai tempi di Deng Xiaoping che non si sentivano parole di questo tipo: il problema della corruzione era relegato a cliché da lasciare al di fuori del dibattito pubblico, mentre la discussione su valori e principi morali era monopolio del Politburo del Partito.
In politica estera il presidente Xi è stato non meno audace. In un anno ha visitato tutti i continenti del mondo (tranne l’Antartide), ha consolidato due importanti accordi commerciali con economie avanzate come la Svizzera e l’Islanda. Ha inoltre avviato un contro-bilanciamento strategico degli Stati Uniti, che ha prodotto in risposta il cosiddetto “economic pivot” americano incarnato dai negoziati sugli accordi commerciali Ttip e Tpp, e ha promosso con forza un trattato per la regolamentazione degli investimenti tra l’Unione europea e la Cina, così come un patto commerciale globale con i vicini asiatici.
A parte la diplomazia economica, Xi ha sorpreso diplomatici e studiosi durante il vertice Cina-Stati Uniti dello scorso anno in California, quando ha affermato la necessità di creare “un nuovo modello di relazioni tra grandi potenze”. Successivamente, in un’intervista, ha dichiarato che il rapporto tra la Cina in ascesa e gli Stati Uniti sarà in assoluto il legame più importante per le sorti della pace mondiale. Con il suo appello a un nuovo modello di relazioni tra grandi potenze, Xi si propone di invertire il corso di secoli di storia, durante i quali ogni transizione egemonica è stata accompagnata da un conflitto. La comunità diplomatica degli Stati Uniti è stata colta di sorpresa, cosa alquanto rara nell’era post-sovietica in cui sono gli Stati Uniti a definire il perimetro del dibattito politico e diplomatico internazionale. Come Da Wei ha sottolineato, per la Cina di Xi Jinping il rapporto con gli Stati Uniti è fondamentale, ma il suo modello ideale di relazioni internazionali include anche altre potenze oltre agli Usa, nell’ambito di un assetto globale multipolare.
Xi ha anche puntato a una riorganizzazione della caotica struttura organizzativa delle istituzioni della politica estera cinese, tramite la creazione di un “Consiglio di sicurezza nazionale” (o, meglio, “Commissione per la sicurezza dello Stato”) a supporto diretto del presidente.
Mentre l’identità di Xi come trasformational leader e innovatore in politica estera è sicuramente confermata dai fatti, la questione che si pone è se tale ruolo proattivo favorisca o danneggi la posizione globale della Cina. Detto altrimenti, lo stile della leadership di Xi è davvero quello più adatto all’attuale status e alle correnti capacità materiali della Cina? Durante il primo anno della presidenza di Xi, la Cina è diventata il più grande consumatore di energia, il primo esportatore, e il primo paese per provenienza di turisti al mondo. Durante il secondo mandato di Xi il paese diventerà probabilmente la più grande economia del mondo, superando gli Stati Uniti. In quanto a capacità materiali, la Cina non sarà presto seconda ad alcuna altra potenza e la sua sete di risorse energetiche, la dipendenza dai mercati esteri e gli investimenti in uscita aumenteranno notevolmente. In un contesto del genere, come sottolineato da Da Wei, la Cina non può seguire soltanto un modello di diplomazia transazionale e avversa al rischio. Il paese ha bisogno di essere più proattivo e di passare dalla crisis-aversion al crisis-management; dal modello obsoleto di “tao guang yang hui”(韬光养 晦) volto al mantenimento di un basso profilo, a quello di “ fen fa you wei” (奋发有为), che esige imprenditorialità diplomatica e pianificazione strategica.
In questo senso la leadership di Xi si sta progressivamente adattando alle crescenti capacità della Cina e mira a plasmare il contesto strategico globale della sua ascesa allo status di superpotenza globale. Mentre Jiang Zemin e Hu Jintao sono stati dirigenti politici ai tempi della transizione dallo status di paese povero a economia con un reddito medio, Xi appare come un imprenditore diplomatico dotato dei tratti personali e della capacità intellettuale sufficienti per esercitare una duratura influenza sull’immagine globale della Cina.
Secondo Barry Buzan “la Cina fu spinta a trasformarsi da impero a Stato, e da centro a parte della periferia”: adesso che la Cina sta tornando a essere centro, il ruolo di Xi non sarà facile. Qualsiasi rapido cambiamento degli equilibri globali porta con sé il rischio di conflitti, ma l’idea di un “nuovo modello di relazioni tra grandi potenze” proposta da Xi è di buon auspicio. La Cina ha un leader trasformativo, che però non pecca di hybris.
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