Una recente dichiarazione di Li Daokui, consulente della Banca Centrale Cinese, ha aperto uno spiraglio nella contesa sulla rivalutazione dello yuan, chiesta a gran voce dagli americani. Un apprezzamento della yuan tra il 3% e il 5% annuo sarebbe tollerabile per l’economia cinese, secondo Li Daokui, perché un aumento così graduale permetterebbe una ristrutturazione sostenibile del sistema produttivo dalle esportazioni al consumo interno. In realtà, i dati danno ragione a quanti insistono per una rivalutazione sostanziale e immediata della valuta cinese: la banca centrale ha annunciato che le sue riserve valutarie hanno raggiunto la cifra record di 2,65 trilioni di dollari, pari all’incirca al Pil della Francia; a settembre, le esportazioni sono aumentate del 21,5% su base annua; in agosto l‟attivo commerciale con gli Usa in agosto è stato di 28 miliardi di dollari, secondo i dati statunitensi (18 miliardi, secondo i dati cinesi). Tuttavia, alcune analisi di più lungo periodo suggeriscono una diversa prospettiva.
Secondo una recente analisi dell’Economist Intelligence Unit, ad esempio, le importazioni della Cina sono in continua crescita (+24,1% a settembre, su base annua), e si prevede che il surplus commerciale diminuisca nel 2011. Le importazioni cinesi dagli Stati Uniti e dall’Ue tra gennaio e settembre hanno registrato rispettivamente un aumento del 17,1% e del 20,8% per cento rispetto al 2009.
Lo stesso studio ricorda come l’aumento delle riserve sia dovuto anche al crescente afflusso di capitali (di investimento e speculativi, che scommettono sull’apprezzamento del renminbi) e all‟aumento del valore (rispetto al dollaro indebolito) delle riserve in euro e yuan. Perciò, in conclusione, una rivalutazione repentina dello yuan effettivamente provocherebbe disoccupazione in Cina e seri problemi alla catena della produzione delle aziende occidentali.
Nella “guerra” tra dollaro e yuan, si assiste a un gioco allo scaricabarile: alle insistenze di Washington il governo cinese risponde che il problema risiede nel comportamento dei cittadini americani, caratterizzato da alti consumi e basso risparmio, e nel ciclo politico-elettorale statunitense che impedisce le necessarie correzioni. Come ricordato da Dan Steinbock, dell’India, China and America Institute, un think tank indipendente negli Usa (non a caso il suo intervento è ospitato dal China Daily), non si può accusare la Cina di manipolazione della valuta, quando gli Stati Uniti fanno altrettanto, sotto forma di politica monetaria espansiva (quantitative easing). Anche Simon Johnson, docente al MIT, sostiene che l’eccesso di consumo negli Stati Uniti è il principale responsabile degli squilibri finanziari attuali. Il mondo della finanza internazionale segnala invece alla Cina che le spinte inflattive causate dall’aumento delle riserve sono contenute solo grazie ai controlli sui capitali. Ma la Cina ha tratto tre lezioni importanti dalla gestione monetarista della crisi finanziaria in Asia del 1997 da parte del Fmi: i movimenti di capitale non vanno liberalizzati troppo presto, è necessario accumulare riserve per evitare la fine della Thailandia, e bisogna essere cauti e circospetti nei confronti del Fondo Monetario. Rolf Langhammer, vice-presidente del Kiel Institute for the World Economy, in una recente intervista a Der Spiegel, sostiene d’altro canto che una rivalutazione dello yuan non significherebbe automaticamente un aumento delle esportazioni Usa e quindi l’aggiustamento degli squilibri economici mondiali: molte aziende americane che sono rimaste a produrre negli Stati Uniti semplicemente avrebbero perso la capacità innovativa e la manodopera qualificata necessaria per competere sui mercati mondiali.
Infine, un’accurata ricerca dell’Asian Development Bank mostra come stiano cambiando le dinamiche commerciali globali: le importazioni europee dalla Cina stanno aumentando più di quelle americane (riducendo così la dipendenza dal mercato Usa, e la Cina sta producendo ed esportando meno beni intermedi (che importa sempre più dall’Europa) e più prodotti finali, una chiara indicazione della crescente importanza della Cina nel riequilibrio dei rapporti economici internazionale. Il dibattito sulle modalità di rivalutazione dello yuan continua…
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