Dovunque si facciano affari, si gestisca un progetto o si porti avanti un progetto di ricerca nel Laos di oggi, prima o poi ci si imbatte nei Phu gnay (letteralmente, “persone importanti”). È fondamentale passare attraverso una persona di questo rango per ottenere le autorizzazioni necessarie, aprire un’attività, importare o esportare beni, lavorare con le autorità locali o, più semplicemente, avere libero accesso nei villaggi. Qual è, dunque, il reale significato del termine e chi può essere classificato all’interno di questa categoria?
Per i laotiani, i Phu gnay sono, prima di tutto, le autorità governative nazionali e amministratori locali i quali, in virtù della loro posizione, prendono le decisioni e le realizzano a tutti i livelli amministrativi del Paese. Il termine si riferisce chiaramente alla posizione sociale che ognuno occupa all’interno di una comunità. Per un semplice contadino – il 70% della popolazione laotiana vive nelle aree rurali – i Phu gnay sono i membri del Partito Rivoluzionario del Popolo Laotiano (Phak Pasason Pativat Lao – PPPL), gli amministratori locali e i “ricchi” (spesso identificati come le stesse persone). Per un abitante della città, i Phu gnay sono coloro che occupano posizioni privilegiate a livello sia politico sia economico, i quali hanno facoltà di concedere le licenze commerciali e autorizzazioni solitamente negate ai comuni cittadini. A qualsiasi livello operino – nazionale, regionale o locale –, tutti i Phu gnay sono membri dell’esecutivo nazionale e, al tempo stesso, tesserati al partito unico della Repubblica Democratica del Popolo Laotiano (RDPL).
Vecchia élite ed elité rivoluzionaria
Nei fatti, Phu gnay non è un termine del tutto nuovo, ma è stato utilizzato nel periodo della monarchia del Laos dopo l’ottenimento dell’indipendenza nel 1954. All’epoca, esso era riferito a un’élite caratterizzata da privilegi ereditati: membri della famiglia reale, aristocratici che ricoprivano posizioni di alto rango a livello sia della pubblica amministrazione sia militare e, col passare del tempo, membri di un certo numero di famiglie laotiane delle città arricchitesi durante l’era coloniale, che riuscirono a incrementare le proprie ricchezze durante gli anni Sessanta, quando gli americani inondarono il Paese di aiuti. Una serie di codici fisici e verbali definivano l’interazione tra queste élite e gli “uomini comuni”: pronomi specifici che esprimono uno stato di inferiorità e subordinazione (per esempio, il termine tradizionale kha noy – letteralmente, “piccolo schiavo” – sostituiva nella corrispondenza il pronome “Io”); un secondo segnale di sottomissione riguarda la posizione del corpo, sempre più bassa rispetto a quella del suo interlocutore di alto rango sociale; infine, la postura del corpo cambia anche in occasione del saluto, a seconda della posizione sociale dell’interlocutore che si ha davanti, eccetera. Queste interazioni sociali indicavano, da una parte, rispetto e obbedienza, e, dall’altra parte, autorità, forza e potere.
Si pensava che i legami tra l’élite e la popolazione fossero sorretti da una rete di obblighi reciproci. L’élite, sulla base della propria influenza e del proprio prestigio a livello amministrativo e locale, poteva richiedere agli abitanti di un villaggio di contribuire alla costruzione delle proprie abitazioni durante le giornate lavorative apposite, alla cura delle proprie terre o dei beni. Questi ultimi comprendevano il bottino delle battute di caccia o dei cimeli, come le preziose zanne di elefante e la zampa destra presente nella selvaggina che i “gruppi etnici” davano in dono rispettivamente a un re o un capo locale. In cambio, i Phu gnay dovevano fornire loro protezione e assistenza.[1] Tuttavia, alcuni osservatori hanno rilevato che, durante gli anni Sessanta, il gap tra la popolazione e le 200 famiglie più ricche, residenti nelle tre principali città del Laos, si è via via divaricato.[2]
Nel 1975, l’ascesa al potere dei comunisti del Pathet Lao e la fondazione della RDPL hanno frantumato per un breve periodo questo sistema di favoritismi, arrivando a sfidare lo status delle élite. Il successo raccolto dalle forze comuniste tra la popolazione rurale era largamente dipeso dalla denuncia delle ingiustizie e degli abusi perpetrati dai Phu gnay e dalle promesse di uguaglianza tra i cittadini, indipendentemente dal rango sociale e – più importante – dall’origine etnica (il 50% della popolazione laotiana appartiene a una minoranza etnica).
Come primo passo, il Governo del Pathet Lao ha soppresso le giornate lavorative dedicate, pretese in passato dalle élite, confiscato parte dei loro beni e avviato un programma provvisorio di collettivizzazione delle terre. Anche i codici linguistici, attraverso i quali si manifestavano in passato le differenze di status sociale, sono stati aboliti. Ne sono state riprova la soppressione dei pronomi e delle frasi indicanti il rispetto verso le classi sociali più alte; la semplificazione dell’alfabeto laotiano; la trasformazione dei riti matrimoniali, oggi celebrati in maniera più sobria e officiati per più di due coppie contemporaneamente, e così via. Salvo poche eccezioni, i membri della vecchia élite sono stati effettivamente marginalizzati (alcuni sono andati in esilio, altri sono stati condotti in campi di rieducazione), mentre i nuovi leader – formatisi in gran parte in Viet Nam – emergevano e scalavano progressivamente i ranghi del partito.[3]
Nella memoria collettiva, l’attitudine e lo stile di vita dei leader del nuovo regime sembravano modellati su quelli della gente comune. Oggi, i più anziani ricordano di aver condiviso nelle cave della provincia di Houaphan, durante la guerra, una vita fatta di privazioni e umanità con coloro che facevano parte, fino agli anni Novanta, dell’élite del partito. I più giovani, invece, rievocano i loro ricordi dell’adolescenza trascorsa negli anni Ottanta e il loro legame con i Phu gnay, che a volte erano i loro vicini di casa e ai quali si rivolgevano con l’appellativo di “zio”. Esattamente come i loro vicini, questi Phu gnay avevano una piccola casa di proprietà e una bicicletta per i loro viaggi. Se questo discorso nostalgico ricorre spesso ancora oggi, ciò è dovuto al fatto che le attuali élite in Laos sono molto diverse da quelle degli inizi del periodo comunista.
Le élite di oggi: i nuovi Phu gnay
Quindici anni fa il Laos si è aperto all’economia di mercato ed è diventato nel corso del tempo meta di considerevoli investimenti proveniente dai suoi tre principali vicini: la Cina, il Viet Nam e la Thailandia. Nel 2009, malgrado il Governo si professi ancora ufficialmente comunista, l’amministrazione statunitense dell’allora presidente Barack Obama aveva revocato le sanzioni fino ad allora applicate alle aziende laotiane. Dichiarandolo non più uno Stato marxista-leninista, il Laos potette beneficiare dei finanziamenti della U.S. Export-Import Bank. Nel giro di appena un decennio, il PIL è passato da 2,7 miliardi di dollari nel 2005 a 14,4 miliardi nel 2015. Il reddito nazionale lordo pro-capite è cresciuto di quasi il 40%. Ad ogni modo, molti analisti hanno evidenziato che nello stesso periodo si è assistito a un incremento delle disparità economiche tra la popolazione.[4] In conseguenza di ciò, le nuove élite stanno accumulando ingenti ricchezze poiché diversificano le proprie attività economiche.
Tra le élite legate al partito e al governo centrale, un certo numero di Phu gnay dell’era prerivoluzionaria (quelli che sono rimasti nel Paese dopo il 1975) è riaffiorato e alcuni di essi – sulla base delle loro conoscenze – sono stati cooptati all’interno del nuovo governo comunista. Una volta rimasti in Laos, questi hanno cercato di mantenere le loro proprietà, come case e latifondi. L’aumento dei prezzi dei possedimenti terrieri nelle principali città del Paese – e in particolare nella capitale Vientiane –, a partire dagli inizi degli anni Novanta e fino al primo decennio del nuovo millennio, è andato ad accrescere i loro patrimoni, consentendo loro così di partecipare attivamente alle attività imprenditoriali allora in crescita.[5] Questo esuberante assalto al settore economico non sarebbe stato possibile senza i forti legami con il governo, indispensabili per ottenere le autorizzazioni e i permessi necessari (data, soprattutto, la presenza di attività imprenditoriali illegali). Negli ultimi anni, le élite politiche ed economiche del Laos hanno intrattenuto rapporti con imprenditori stranieri – cinesi, vietnamiti e anche coreani – i quali, per mezzo di matrimoni combinati con le famiglie di Phu gnay, sono riusciti successivamente a migliorare il loro status e a sviluppare le proprie attività economiche.
Le élite di oggi non sono per nulla timorose di mettere in mostra i segni del loro successo. Ad esempio, ostentano la loro ricchezza e opulenza sfoggiando beni di consumo costosi (auto di lusso, case ampie, capi di seta) oppure praticando attività solitamente riservate a persone facoltose (golf, eventi e cene esclusive dove socializzare, e altro). Il ripristino degli usi, costumi e dei codici linguistici, prima vietati in quanto ricordavano il regime prerivoluzionario, ha permesso di nuovo alle élite di manifestare il loro prestigio sociale. Grant Evans ha illustrato come gli alti papaveri del PPPL, in cerca di legittimazione, avessero fatto ampio ricorso, tra il 1990 e il 2000, a una serie di metodi largamente ispirati a quelli utilizzati in passato dall’aristocrazia laotiana (il linguaggio, l’abbigliamento, la comunicazione non verbale nel senso più ampio del termine), così come diversi rituali formalmente condannati dal nuovo regime (es. il risveglio delle anime praticato attraverso la cerimonia religiosa cosiddetta Sou Khuan). Altri studiosi hanno ricostruito in dettaglio il processo con cui l’élite del PPPL è riuscita a ricreare rituali di Stato, immagini popolari o narrazioni storiografiche che hanno attinto a fonti culturali del passato monarchico e buddhista al fine di espandere il loro patrimonio simbolico.[6] Degno di menzione è anche il gran numero di statue erette in ricordo dei regnanti deceduti, dei quali i Phu gnay ambiscono a essere considerati gli eredi diretti alla continua ricerca di una unità nazionale. Nelle province, le élite cercano legittimazione stabilendo un rapporto di patronage con le pagode buddhiste, garantendo loro non solo finanziamenti per la costruzione di nuovi edifici religiosi, ma anche donazioni di statue e tamburi, e non solo, e intessendo legami con le minoranze, organizzando cerimonie “etniche” annuali assurte a simbolo dell’identità culturale dei rispettivi gruppi di origine.
Accanto all’élite nazionale compare – e si tratta di un fenomeno del tutto nuovo rispetto al periodo prerivoluzionario – una nuova élite provinciale. Le difficoltà incontrate dallo stato laotiano nel tentativo di ottenere il controllo delle regioni periferiche indicano come gran parte delle province abbiano molti meno contatti con la capitale che non con i Paesi limitrofi. Potendo trarre giovamento da un alto grado di autonomia data la loro distanza dal centro, queste province si sviluppano come piccoli centri regionali. All’interno di un contesto di relativa autonomia amministrativa, è emerso un nuovo potere locale, concentrato nelle mani di attori la cui influenza sui gruppi etnici e sulle reti di controllo economico e commerciale nelle aree contigue ha conferito loro lo status di élite locale.
Tali Phu gnay risiedono specialmente nei capoluoghi di provincia o, in misura minore, in quelli dei vari distretti. Discendenti da famiglie di modeste condizioni (o anche da famiglie poverissime residenti nei villaggi di origine), spesso poco qualificate, queste élite sono entrate a far parte del Pathet Lao in giovane età in qualità di soldati. Le loro storie personali riflettono l’importanza avuta dalle reti di contatti per la loro ascesa all’interno del partito: reti familiari, di villaggio, ma anche di reduci. È possibile ricercare un’élite appartenente a una minoranza etnica anche in queste province distaccate, malgrado esse siano sottorappresentate a livello centrale. Ad esempio, a Phongsaly e a Sekong, le province situate rispettivamente a nord e a sud del Paese, tra le più povere, quasi il 90% dei membri del governo locale non appartengono all’etnia dominante dei Lao.
Queste élite locali sono attualmente composte dai membri degli uffici governativi locali e da influenti esponenti territoriali del PPPL. Inizialmente, grazie ai finanziamenti derivanti dall’attuazione di un consistente numero di progetti di sviluppo sponsorizzati soprattutto dalle organizzazioni non governative (ONG) occidentali – per le quali il Laos costituisce un autentico “mercato” – le élite e le loro famiglie hanno potuto beneficiare di lavori ben retribuiti all’interno delle stesse ONG, oppure di benefit in natura (automobili, “imposte” applicate alle specifiche caratteristiche di un progetto infrastrutturale). Dalla metà del 2000 in avanti, si è assistito a un incremento degli interessi economici grazie all’apertura del commercio di frontiera. Molte aziende cinesi e vietnamite hanno delocalizzato nelle province vicine del Laos, sia per sfruttare al meglio le risorse naturali sia per produrre colture più redditizie per consumo interno (gomma, tè, ecc..). L’élite burocratica si è così in parte trasformata in élite d’affari. I Phu gnay sono proprietari delle principali aziende private presenti nelle 17 province (settore dell’hospitality, dei trasporti, del gas, delle costruzioni, del cemento, della finanza, …), così come delle maggiori concessioni agricole dove sono state create delle piantagioni redditizie.[7]
Alcuni Phu gnay con un impiego nel governo locale sono andati in pensione anticipata per avviare delle proprie attività. Altri, invece, hanno designato i propri figli a ruoli di responsabilità nelle amministrazioni provinciali e nei business a conduzione famigliare. In questo modo, traggono profitto da un sostegno diretto e una rete affidabile attraverso la quale ottenere permessi o detenere monopoli su certe attività, garantendo così la prosecuzione degli affari. I Phu gnay consolidano e diversificano i propri network: in primo luogo, all’interno della provincia di origine, tramite i matrimoni combinati tra i propri figli e quelli di altre famiglie di Phu gnay. In secondo luogo, attraverso le alleanze tra gli eredi e le grandi famiglie di Phu gnay di Vientiane. In questo modo, i loro figli possono di conseguenza ereditare le posizioni più ambite all’interno del PPPL e della pubblica amministrazione nazionale.
In breve, una continuità culturale tra vecchio regime e quello attuale si è mantenuta nel tempo. Per essere élite – ossia, per diventare o rimanere élite – è necessario costruire e preservare sia la rete capillare di contatti sia il dispiegamento strategico di risorse materiali. Un Phu gnay deve “sostentare” la propria rete familiare e tutte quelle persone a lui fedeli, provvedendo ad esempio ad andare in soccorso in caso di necessità (matrimoni, funerali, cure sanitarie, istruzione, viaggi di piacere), in cambio del loro sostegno e della loro assistenza in determinate occasioni. Mentre queste reti di favoritismo e clientelismo stanno crescendo a un ritmo senza precedenti, dovuto all’influenza del denaro proveniente dagli investimenti esteri in Laos, la popolazione potrebbe muovere una critica velata a coloro che “mangiano” (kin, in lingua lao) troppo senza condividere alcunché.
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[1] Bouté, V. (2018b), Mirroring Power. Ethnogenesis and Integration Among the Phunoy in Northern Laos, Chiang Mai: EFEO/Silkworm Books.
[2] Halpern, J. (1964), Government, Politics, and Social Structures in Laos. A Study in Tradition and Innovation, Monograph No. 4, New Haven, CT: Yale University.
[3] Pholsena, V. (2006), Post-war Laos: The Politics of Culture, History, and Identity, Ithaca, NY: Cornell University Press.
[4] Menon, J. (2019), “Rising Inequality in Laos.” Asia Dialogue, disponibile online al sito https://theasiadialogue.com/2018/09/12/rising-inequality-in-laos/.
[5] Sisombat Souvannouvong, S. (1999), “Elites in Exile: Transitional Lao Culture”, in Grant Evans (a cura di), Laos: Cultures and Society, Chiang Mai: Silkworm Books, pp. 100-124.
[6] Tappe, O. (2017), “Shaping the National Topography: The Party-State, National Imageries and Questions of Political Authority in Lao PDR”, in Bouté V. e Vatthana Pholsena (a cura di), Changing Lives in Laos: Society, Politics, and Cultures in a Post-Socialist State, Singapore: NUS Press, pp. 56-80.
[7] Bouté, V. (2018a), “New Phats of Work at the Lao-Chinese Border. From Self-Subsistence Agriculture in the Highlands to Wage Labor for Cash Companies to the Lowlands”, in Vignato S. e Matteo Alcano (a cura di), Searching for Work. Small-Scale Mobility and Unskilled Labor in Southeast Asia, Chiang Mai: Silkorm Books, pp. 23-53.
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