Traduzione dall’inglese di Andrea Ghiselli
Le relazioni fra Cina e Africa hanno notoriamente origini molto antiche, risalendo ai tempi della prima Via della seta, fra il II secolo a.C. e il II secolo d.C. sotto la dinastia Han. Più recentemente, l’approccio cinese ai paesi africani è cambiato: se durante la Guerra fredda Pechino elargiva aiuti in cambio di sostegno diplomatico, a partire dagli anni Ottanta è venuta sviluppandosi una più pragmatica ricerca di reciproco vantaggio (soprattutto in termini economici). Da allora la politica cinese nei confronti del continente africano ha continuato a evolvere fino a inserirsi nel più recente e ampio contesto della nuova “Strategia della via della seta”.
Fin dai primi anni Novanta la Cina ha fatto leva su investimenti e commercio per consolidare i rapporti con i paesi dell’Africa e del Medio Oriente ricchi di idrocarburi. L’obiettivo principale perseguito dalla dirigenza cinese è di assicurarsi risorse energetiche sufficienti ad alimentare la crescita economica del paese. I risultati sono notevoli: nel 2013 la Cina ha importato 1,3 milioni di barili al giorno di petrolio dall’Africa (il 23% del totale), mentre gli investimenti cinesi in Africa hanno superato i 25 miliardi di dollari Usa. In generale, è stato calcolato che mentre il consumo di energia in Cina crescerà mediamente del 2,2% l’anno fra il 2011 e il 2035, la produzione interna crescerà di poco meno del 2%. Si stima che le risorse energetiche importate dall’estero arriveranno a costituire il 26% dell’energia consumata in Cina nel 2020, per poi assestarsi attorno al 15% negli anni successivi, quando grazie a oleodotti e gasdotti che collegheranno la Cina ai paesi vicini arriveranno petrolio e gas principalmente da Africa e Medio Oriente.
Anche se gli investimenti cinesi hanno determinato un aumento della capacità produttiva e di stoccaggio nei paesi destinatari, esperti cinesi e occidentali hanno opinioni diverse circa gli effetti di tali investimenti per la popolazione locale. Due casi specifici, l’ingresso della China National Petroleum Corporation (Cnpc) in Sudan nel 1995 e il modus operandi della Shell in Nigeria nel 1953 mostrano come un differente approccio verso le istanze della popolazione locale abbia prodotto effetti diversi sulla crescita economica e lo sviluppo. La popolazione sudanese ha beneficiato sia della ricchezza prodotta dall’estrazione ed esportazione del petrolio sia di una maggiore attenzione alle popolazioni locali da parte del consorzio guidato da Cnpc. Il consorzio ha quindi conseguito ottimi risultati economici e mantenuto un buon rapporto con la popolazione e il governo locale. Al contrario, Shell si è concentrata esclusivamente sull’esplorazione e l’esportazione del petrolio, trascurando le esigenze delle popolazioni locali, con il risultato che sia i suoi guadagni sia le sue relazioni con il governo e la popolazione nigeriana si sono deteriorati sensibilmente.
Nonostante ciò, l’opinione generale sull’operato delle aziende cinesi in Africa rimane negativa: in un rapporto di Revenue Watch del 2011 vengono accusate di scarsa trasparenza se non addirittura di neo-colonialismo. Inizialmente le società e il governo cinesi hanno respinto le accuse, preferendo non modificare la propria strategia africana. Tuttavia, per evitare il rischio che queste denunce compromettessero le relazioni politiche ed economiche nel lungo periodo il governo cinese ha deciso di elaborare una strategia più diversificata negli obiettivi e negli approcci, dando maggior peso alla cooperazione in settori economici diversi da quello energetico.
La visita del premier Li Keqiang in Africa a inizio maggio 2014, il discorso che ha pronunciato presso il quartier generale dell’Unione africana (Ua) e quello al World Economic Forum on Africa sono da interpretare nell’ottica di un rinnovamento generale della strategia cinese nel continente africano. La Cina sta tornando in qualche modo all’approccio degli anni Settanta e Ottanta, privilegiando attività che possono avere un effetto positivo sull’economia e la popolazione del paese ospite. Questo dovrebbe avvenire rafforzando la cooperazione e gli investimenti in vari settori: dall’agricoltura all’industria manifatturiera, dalle telecomunicazioni ai trasporti, e aprendo zone sperimentali per lo sviluppo economico. Grazie alle ingenti riserve di valuta estera, Pechino è in grado di fornire ai paesi africani risorse economiche per progetti in questi settori. Ad esempio, una parte dei 20 o 30 miliardi di dollari che la Cina ha deciso di stanziare come aiuti andrà alle piccole e medie imprese locali.
Oltre al fattore economico, è la sicurezza il secondo elemento chiave della nuova strategia di Pechino in Africa. Come dichiarato sempre da Li Keqiang a maggio, la Cina sarebbe pronta ad allargare il proprio contributo per il mantenimento della pace oltre alle operazioni di peacekeeping già in atto sotto l’egida delle Nazioni unite. La protezione dei cittadini e degli interessi economici cinesi in Africa è sempre più una priorità per Pechino, che ha anche una speciale responsabilità come membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Queste novità si inseriscono, come detto, nella più ampia “Strategia della Nuova via della seta”. In termini geopolitici, la Cina intende guardare sia alla situazione africana in generale sia ai vari contesti sub-regionali, in modo da poter affrontare con la necessaria flessibilità i problemi diversi da zona a zona. Infine, anche se l’approccio verso i paesi africani è stato finora di carattere bilaterale, Li ha lasciato intendere che la Cina presterà maggiore attenzione alla cooperazione multilaterale. Tutti questi cambiamenti saranno comunque introdotti con prudenza, valutandone di volta in volta le ripercussioni sia sui rapporti con i paesi africani che con quelli occidentali.
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