A inizio gennaio il Dipartimento della Difesa Usa ha pubblicato un’ampia revisione della strategia militare. Come spiegato nella prefazione al documento, firmata dal presidente Barack Obama, l’obiettivo è di “preservare la leadership globale dell’America”. Si prevede a tal fine un riequilibrio geografico del dispositivo militare americano verso l’Asia-Pacifico. Particolare attenzione è dedicata alla capacità di proiezione in quei contesti regionali in cui operano attori dotati di avanzate capacità di impedire o ostacolare l’accesso alle forze americane. Il documento cita espressamente la Cina, oltre all’Iran.
Come prevedibile, il documento non ha mancato di suscitare vaste reazioni in Cina. Il 9 gennaio, in una conferenza stampa, il portavoce del Ministero della Difesa nazionale riaffermava che pace e stabilità nella regione sono tendenze inarrestabili, e che gli Stati Uniti dovrebbero comportarsi di conseguenza. Nei giorni successivi, il documento americano è stato oggetto di numerosi e autorevoli commenti sulla stampa. La maggior parte delle analisi considera la revisione strategica come una manifestazione di debolezza da parte degli Stati Uniti. Secondo Tao Wenzhao, dell’Accademia delle scienze sociali, la revisione è una scelta imposta dalle attuali ristrettezze del bilancio militare americano, provato dalla crisi economica oltre che dalle dispendiose guerre in Afghanistan e in Iraq. La revisione sarebbe dunque “in apparenza offensiva ma in realtà difensiva” (xing gong shi shou, 形攻实 守), per citare l’espressione impiegata da Sun Yefei, dell’Istituto per la Difesa di frontiera dell’Esercito popolare di liberazione.
Se questo giudizio di fondo appare largamente condiviso, una significativa differenza di sfumature traspare invece quando si tratta di stabilire quale debba essere la risposta della Cina. Vi è consenso sul fatto che Pechino debba “proseguire sulla propria strada” (zou ziji de lu, 走自己的路), come scrive il generale Luo Yuan, vicesegretario dell’Associazione cinese di scienze militari. Ciò significa concentrarsi sulle esigenze di sviluppo economico interno e promuovere al contempo un ambiente regionale pacifico, intensificando l’offensiva diplomatica verso i vicini.
Tuttavia, a differenza di altri commentatori, Luo insiste anche sull’esigenza di un’efficace modernizzazione militare. A suo parere la revisione strategica americana è chiaramente rivolta contro la Cina, alle cui “porte di casa” (jia menkou, 家门口) Washington sta riposizionando il proprio dispositivo militare. La Cina deve quindi reagire accelerando lo sviluppo di ciò che gli americani chiamano capacità di “anti-access” ma che per i cinesi – argomenta Luo – è semplicemente capacità “anti-aggressione” (fan qinlüe, 反侵略).
Con toni molto diversi, altri autorevoli commentatori insistono invece sulla necessità di evitare una contrapposizione militare tra Cina e Stati Uniti. È il caso di Zhu Feng, dell’Università di Pechino, tra gli autori di OrizzonteCina, secondo cui la revisione strategica americana non indica di per sé una volontà di contrapposizione. Il rischio è piuttosto che all’antagonismo geopolitico (diyuan zhengzhi duikang, 地缘政治对抗) si arrivi per effetto di opposte pressioni nazionalistiche, considerata la crescente diffusione della “teoria della cospirazione americana” in Cina e della “teoria dell’espansionismo cinese” negli Stati Uniti. Con toni ancor più netti, Zhao Kejin, dell’Università Qinghua, scrive che la Cina non può continuare ad agire secondo una “psicologia da vittima” (shounanzhe xinli, 受难者心理), ma deve finalmente uscire dai traumi dell’epoca moderna e smettere di costruirsi “nemici immaginari” (jiaxiang di, 假想敌). Il punto, insomma, non sta solamente nel modo in cui gli Stati Uniti guardano alla Cina, ma anche nel modo in cui la Cina percepisce se stessa. Come conclude Zhao Chu, dell’Istituto per la strategia di difesa nazionale di Shanghai, le caratteristiche dello strumento militare cinese e la dottrina che ne guida l’impiego sono questioni sulle quali la Cina deve fare chiarezza prima di tutto dinanzi a se stessa.
È possibile che la revisione strategica americana riapra, in Cina, un “grande dibattito” di politica estera analogo a quello di fine anni Novanta. Come allora, i fautori di una Cina più intransigente potrebbero far leva sui sentimenti nazionalisti del pubblico cinese. Il momento politico interno è anzi oggi più delicato di allora, essendo in vista un cambio della guardia al vertice del potere politico, e non si può quindi escludere che si arrivi a una revisione degli orientamenti di fondo della politica estera. In quest’ottica, la divergenza di vedute tra chi mette in guardia da “nemici immaginari” e chi – come Luo Yuan – insiste invece sulla modernizzazione militare non è da sottovalutare.
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