[LA RECENSIONE] Stranieri su un molo

Tash Aw, Stranieri su un molo, Torino: addeditore, 2017

“È nell’armonia fra le diversità che il mondo si regge, si riproduce, sta in tensione, vive”. Queste parole del giornalista e scrittore Tiziano Terzani mi sono tornate in mente durante la lettura dell’agile testo che presentiamo ai nostri lettori di RISE in questo numero. Tash Aw è uno scrittore sino-malese che scrive Stranieri su un molo pensando ai nonni, che emigrarono dal Fujian e dall’isola di Hainan agli inizi del ‘900, sbarcando – appunto – a Singapore, con il suo odore “di terra bagnata e vegetazione che marcisce, di cibo, di possibilità” (p. 16) e la sua promessa di rinascita per chi in quegli anni lasciava il sud della Cina in preda a guerre e carestie. Il tema dello spaesamento e la riflessione sulle identità è al centro del testo, partendo dalla diretta esperienza dell’autore, che – scambiato per thailandese a Bangkok, per nepalese a Kathmandu, per cantonese a Shanghai – grazie alla sua faccia “si mimetizza nel paesaggio culturale dell’Asia” (p. 10).

Tash Aw deve innanzitutto fare i conti con la sua “cinesità” immersa nella caotica vita urbana della classe media di Kuala Lumpur, città dove passa la sua giovinezza negli anni Ottanta del XX secolo (oggi l’autore vive a Londra): “abbiamo idee moderne noi, sembriamo addirittura occidentalizzati; ma fondamentalmente siamo una famiglia cinese tradizionale” (p. 26). Il passato in Asia è un tempo da cui rifuggire, o al massimo un ricordo da manipolare, spesso a fini politici. Il passato è conflitto, miseria, frustrazione, mentre il presente e il futuro sono promesse di ricchezza da cogliere nelle scintillanti megalopoli in cui tutto sembra possibile. Se poi questo passato coincide con grandi tragedie, dimenticare è una strategia di sopravvivenza, perché ricordare significherebbe riempire la coscienza “al punto che non resterebbe posto per nient’altro” (p. 27). Lo stesso, in Asia, vale per le narrazioni nazionali che cancellano i periodi oscuri e confusi, che minacciano di intaccare la visione ufficiale (sostenuta dalla percezione occidentale) dell’ascesa economica del continente, come se le contraddizioni fossero risolte una volta per tutte, ed esistesse solo un glorioso tempo antico, un presente fatto di grandi opportunità, e un futuro ancora più luminoso, ma mancasse il tempo recente.

E poi la “cinesità” va scomposta: la Cina è un continente, con enormi diversità, anche se “l’impressione prevalente è quella di omogeneità, di un’immane massa di gente che appare, pensa e agisce […] allo stesso modo” (p. 56) – un’impressione che ai governi e al capitale globale fa comodo rafforzare. La realtà infatti è diversità, fatta di tanti dialetti, usi, costumi, cucine diverse: “quando scendi nei dettagli, quando vai oltre i convenevoli e ti metti a parlare di te, quel che tutti i cinesi vogliono sapere è da dove vieni, in che modo sei diverso da loro” (p. 57). Le “tante Cine”, poi, si sono fuse, intrecciate, distinte, con i popoli dell’Asia orientale, per dare vita a un calderone di differenze che genera incontri e convivenze, ma anche attriti e conflitti.

L’edizione italiana del saggio (uscito nel 2015 in inglese con il titolo The Face: Strangers On a Pier) contiene anche un’intervista all’autore, densa di riflessioni sul significato odierno della condizione di migranti in società sempre più multirazziali (termine che non utilizzo a caso, come vedremo subito). Mentre i nonni avevano prospettive concrete di essere accolti e integrati nella società di Singapore, dapprima Tash Aw rileva come oggi i migranti all’interno del Sud-est asiatico si spostino solamente alla ricerca di un salario, spesso frutto di lavori temporanei, che consenta loro di vivere, però “aspettando con ansia il ritorno a casa appena avranno risparmiato abbastanza”, senza alcuna speranza di “emancipazione” (p. 76). Poi spiazza i benpensanti (e l’élite cosmpolitan che crede di vedere il mondo mentre si guarda allo specchio) dichiarando che non bisogna rifuggire dall’uso della parola “razza” con la paura che essa alimenti il razzismo: razza come sinonimo di differenza, lontani dalla finzione che (al di là del dato biologico) apparteniamo tutti alla stessa razza umana, poiché “si deve essere pazzi per pensare che quando un nigeriano entra in un’osteria di campagna in Giappone le persone pensino “Oh, è della nostra stessa razza” (p. 81). Raramente gli intellettuali dimostrano tanta schiettezza. Ciò che occorre invece è riconoscere la diversità, conoscerla, ed essere a proprio agio con altre visioni del mondo – ritroviamo qui ancora Terzani e la sua continua ricerca di capire le ragioni degli altri. Non solo: è necessario anche sapere raccontare la diversità, e ciò richiede un’abilità che – in un tempo di guerra tra bande e fazioni, in cui la complessità viene descritta in bianco e nero, in cui tutti vogliono farci credere che o si vince o si perde – andiamo smarrendo. Perciò, la gestione della diversità è la sfida dei nostri giorni e richiede sforzi comuni: “L’Europa ha fallito nel capire la Cina, così adesso la Cina è destinata a essere l’Altro, in modo perpetuo e onnicomprensivo” (p. 91). E l’Italia – paradossalmente – sembra dovere compiere un pezzo di strada in più: “Recentemente, viaggiavo in Italia con un amico coreano-americano, e continuavamo a sentirci chiamare Cinese, cinese. Eravamo diversi, per cui eravamo cinesi. Non ci siamo mai preoccupati di fermarci per spiegare la verità su chi fossimo” (p. 91).

In sole 90 pagine, Stranieri su un molo sta a una chiesa romanica come tanti saggi di 400 pagine stanno alle cattedrali barocche: tutto è chiaro nella prosa di Tash Aw, non esistono orpelli e ogni parola è essenziale, e allo stesso tempo leggera perché il racconto è infuso di una serena comprensione della condizione umana, e ci regala vivide immagini di Paesi in tumultuosa trasformazione, che coinvolge popolazioni diverse eppure con molti tratti comuni. In tal senso l’Asia sudorientale appare anche un laboratorio per il mondo che verrà. Sta soltanto a noi scegliere in quale direzione andare, senza scorciatoie.

*I libri recensiti in questa rubrica possono essere acquistati presso la Libreria Bodoni/Spazio B, Via Carlo Alberto 41, Torino.

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