[LA RECENSIONE] Nell’anima della Cina. Saggezza, storia, fede

Antonio Spadaro
Nell’anima della Cina. Saggezza, storia, fede (Milano: Àncora, 2017).

 

Quando Papa Francesco, durante il volo che l’avrebbe condotto in visita pastorale in Corea del Sud il 14 agosto 2014, invia dall’aereo un telegramma di saluto e di benedizione al presidente Xi Jinping e al popolo cinese, il mondo improvvisamente si accorge della ferma intenzione del pontefice di approfondire il dialogo con le autorità di Pechino per superare le divergenze che ancora dividono Repubblica popolare e Santa sede. Nell’Anima della Cina, curato da Padre Antonio Spadaro (direttore della rivista La Civiltà Cattolica e gesuita vicino a Francesco), è una raccolta di saggi che esplorano le radici storiche e filosofiche dell’incontro tra cattolicesimo e cultura confuciana, argomentando le ragioni a sostegno di una politica di avvicinamento osteggiata da molti all’interno della Chiesa, a cominciare dal cardinale Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong. A coloro che ritengono che Papa Francesco stia “svendendo” il cattolicesimo al Partito comunista cinese (Pcc), già nella prefazione Padre Spadaro risponde, pragmaticamente, che occorre fare i conti con la realtà e creare ponti duraturi con la società cinese, che siano resistenti a eventuali cambiamenti istituzionali: “Finché il Partito comunista cinese rimarrà l’unico partito di governo, il marxismo continuerà a essere il riferimento ideologico della società. Perciò la Chiesa cattolica cinese è chiamata a ridefinire il suo ruolo e le sue relazioni con il Partito comunista e con la sua ideologia. Questo non significa che la Chiesa debba essere d’accordo con la politica e con i valori del Partito, ma piuttosto come essa debba trovare soluzioni flessibili ed efficaci per continuare la sua missione e il suo ministero in Cina” (p. 11). È il “sano realismo” dell’incontro attraverso il dialogo di cui Bergoglio parla nella famosa intervista rilasciata ad Asia Times il 2 febbraio 2016.
Il libro è strutturato in tre parti e leggendolo pare assistere – pian piano – all’edificazione di una casa: dalle fondamenta (il pensiero e la teologia cinese) ai diversi piani (affollati di gesuiti, preti e missionari che hanno portato i mattoni sul cantiere), al tetto (incompleto) del cattolicesimo cinese attuale. La prima parte cerca di mettere in luce i punti in comune tra cultura orientale e cattolicesimo, a partire dagli aspetti più spirituali elaborati dalla riflessione teologica cinese: come riassume Spadaro, “l’unità globale di tutte le cose, nella trilogia cielo-terra-uomo, apre al mistero dell’Incarnazione; l’idea del Qi, vitalità che pervade il cosmo, conduce allo Spirito Santo; il tema della qualità della vita si collega all’etica cristiana” (p. 6). Si richiama il Libro dei mutamenti per ricordare che “ogni grande cambiamento comincia da piccole trasformazioni” e che “ogni situazione presente contiene in genere un futuro, che l’uomo deve imparare a riconoscere, a leggere, a individuare, per meglio gestire la propria esistenza” (p. 71). Ergo: per la Chiesa è giunto il tempo di agire. Con un’intervista a Robin R. Wang, sinologa americana autrice del libro Yinyang: the way of heaven and earth in Chinese thought and culture, si ricorda al lettore che se da un lato l’Occidente è pervaso dal senso di giustizia, e l’Oriente dalla ricerca dell’armonia, tuttavia “il confucianesimo non è un credo che si oppone ai diritti dell’individuo” (p. 77).
Ad aprire la seconda parte è l’immancabile e inevitabile ricordo di Matteo Ricci, il padre del cattolicesimo in Cina il cui metodo presenta quattro principi che svelano da dove giunga l’ispirazione (e l’aspirazione) di Papa Francesco: una politica di adattamento alla cultura cinese, l’evangelizzazione dall’alto (dalle élite) verso il basso, la propagazione della fede mediante scienza e tecnologia, e l’apertura e la tolleranza nei confronti dei valori cinesi. Considerata l’egemonia culturale confuciana del tardo Cinquecento, fu questo tipo di approccio – secondo Nicolas Standaert – che rese possibile la diffusione del cattolicesimo ad opera dei primi gesuiti. Un intero capitolo, ancora a firma di Spadaro, è dedicato al tema dell’amicizia, così come trattata da Ricci e da un altro gesuita, Martino Martini, mettendo in risalto i concetti confuciani di virtù e di limite. Un altro – redatto da Aloysius Jin Luxian, già vescovo di Shanghai, deceduto nel 2013 – introduce la figura di Xu Guangqi, compagno cinese di Matteo Ricci, che si convertì al cattolicesimo perché nell’antropocentrismo confuciano vide una “grossa lacuna”, poiché “gli uomini devono superare se stessi e solo quando sono uniti a Dio possono realizzare il loro desiderio più profondo” (p. 142). Il ritratto di Fan Shouyi, il sacerdote cinese vissuto tra Seicento e Settecento che raccontò l’Occidente, la descrizione della Chiesa primitiva in Cina e l’apostolato nel XVII secolo completano il quadro di “una sorta di «monoteismo confuciano», centrato sul credere in un Signore del cielo, creatore onnipotente e giudice severo” (p. 181).
È nella terza parte, però, che letteralmente esplode l’urgenza missionaria tanto cara a Papa Francesco. Se in Cina “l’uscita dal religioso” che attraversa le società contemporanee si accompagna al “risveglio religioso” che interessa le confessioni ufficialmente riconosciute dal Pcc, la Chiesa cattolica non può stare inerte e deve superare la “coesistenza” (“impropriamente descritta”, scrive Padre Federico Lombardi a p. 26) tra “chiesa ufficiale” e “chiesa clandestina”. In altre parole, la Chiesa “deve imparare a rapportarsi alla cultura locale e all’autorità politica… [e] pur mantenendo la propria identità […], è chiamata a sviluppare «una Chiesa cattolica cinese dai tratti cinesi», in modo da inculturare i suoi insegnamenti e i valori del Vangelo” (p. 209). Ma come? Attraverso l’ascolto dei giovani cattolici cinesi – suggerisce il testo – e la «reciproca tolleranza» invocata da Padre Joseph Shih nell’intervista che quasi chiude il libro. Nell’Anima della Cina è un vero e proprio manifesto della politica di Papa Francesco verso la Cina, una politica gesuita con un filo comune che attraversa le dinastie Ming e Qing e – si direbbe – la “dinastia rossa” oggi al potere in Cina. Poiché a Pechino si assiste alla riscoperta di un altro Manifesto, rimane il dubbio su quali spazi di tolleranza vi siano realmente da parte cinese, ma l’intero pontificato di Francesco sfida a guardare più in alto, “voce che grida nel deserto”, oltre il presente avviluppato su stesso.

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