Marina Miranda (a cura di), La Cina quarant’anni dopo Mao: scelte, sviluppi e orientamenti della politica di Xi Jinping, Roma: Carocci, 2017
A volte trascuriamo le forze profonde che nelle società trascendono i tempi della politica, i singoli leader, gli affari correnti. In un’epoca schiacciata sul presente, con poca memoria storica e scarsa proiezione strategica sul futuro, riflettere sui movimenti sotterranei che influenzano i destini degli stati al di là delle contingenze è un esercizio quanto mai necessario. Per comprendere la Cina di oggi e di domani, a quarant’anni dalla morte di Mao e a cinquanta dall’inizio della Rivoluzione culturale, il libro curato da Marina Miranda – secondo volume della serie annuale Cina Report – è uno strumento prezioso.
Miranda, una delle più autorevoli sinologhe italiane, parte dalla figura di Mao e dall’esame della sua eredità nel dibattito politico interno alla Cina, offrendoci un’analisi decisamente tempestiva nel momento in cui Xi Jinping viene elevato nell’empireo del Partito comunista cinese a un livello paragonabile soltanto a quello degli altri due leader che hanno definito un’epoca nella storia cinese, appunto Mao e Deng Xiaoping. Mentre i neo-maoisti esaltano le politiche e le azioni del Grande timoniere, accusando Deng (e i suoi difensori) di avere fatto “precipitare la Cina in una autocrazia capitalista” (p. 26), la linea ufficiale del partito continua ad essere quella fissata nelle Risoluzioni del 1981, in cui il giudizio su Mao è positivo al 70%, mentre sarebbero da condannare errori secondari compiuti tra il 1957 e il 1966, ed eccessi tra il 1966 e il 1976 (l’altro 30%). In altre parole, si consegna alla storia un Mao portatore di “una politica non radicale, più moderata, che non voleva accelerare la realizzazione del socialismo, ma mirava all’edificazione economica e al benessere della popolazione, basandosi su una coalizione sociale di base molto ampia” (p. 32) – un Mao Zedong-pensiero che continua a “vivere nell’ideologia del partito come una guida per il futuro del socialismo” (p. 33). Per questo motivo, sottolinea Miranda, il cinquantesimo anniversario della Rivoluzione culturale è passato sotto silenzio nel 2016, onde evitare che si riaprano ferite mai rimarginate e soprattutto per impedire una revisione critica degli errori del Pcc. Solamente alcuni neo-maoisti hanno celebrato, negandone i disastri, quelli che sarebbero gli aspetti positivi della Rivoluzione culturale (la lotta contro la borghesia) e del Grande balzo in avanti (il cui fallimento sarebbe da imputare ai funzionari locali) – sintomo, secondo l’autrice, di un preoccupante revisionismo storico.
Da “destra”, invece, si alzano le voci che auspicano l’apertura di un serio dibattito sulla Rivoluzione culturale, per giungere a una riconciliazione con la storia recente della Cina, senza la quale i traumi del passato, che già si ripercuotono sul presente, si rifletteranno anche sulle generazioni future (illuminante è la citazione del rapporto dell’Istituto Sigmund Freud di Francoforte in cui si indagano gli effetti intergenerazionali del trauma della Rivoluzione culturale). Al confronto con l’esperienza della Rivoluzione culturale “è legato il futuro della Cina” (p. 40), anche se dopo aver letto il capitolo di Silvia Picchiarelli sulle recenti misure adottate contro i media più liberali il lettore rimarrà scettico sulla possibilità che un simile obiettivo possa essere raggiunto in tempi brevi, e sarà rafforzato in questo convincimento dal contributo di Davide Vacatello sulla “cyber-sovranità” e sulla governance mondiale della rete con caratteristiche cinesi.
Sintomo di una stanchezza collettiva nel riaprire questo vaso di Pandora paiono anche le “nuove tendenze e sviluppi” delle memorie letterarie della Rivoluzione culturale: Tiziana Lioi ci guida in questo percorso, mostrando come vi siano cambiamenti nel pensiero creativo (passato “dalla memoria collettiva alla memoria individuale”, probabilmente più facile da elaborare), nello stile letterario (“da tragedia storica a commedia carnevalesca”, più semplice da sublimare), e nei temi toccati (la Rivoluzione culturale non più come “tema portante nei romanzi” ma come “sfondo per la narrazione”, più lontana e quindi meno terrificante). Il secondo capitolo a firma di Miranda ricostruisce l’ascesa di Xi Jinping a core leader e presenta le diverse anime del gruppo di riferimento di Xi in vista del 19° congresso. Per comprendere se Xi Jinping avrà la volontà e il potere di sconfiggere quei gruppi di interesse (liyi jituan,利益集团) la cui resistenza sembra ostacolare la riforma delle inefficienti industrie di stato è assai illuminante il contributo di Sara Pilia, che raccoglie le testimonianze in cinese di coloro che (in patria più cautamente, e all’estero con meno remore) pongono apertamente la questione come la vera sfida per la tenuta del Pcc e della Cina stessa come seconda economia mondiale.
La riorganizzazione dell’Esercito di liberazione popolare, per mezzo di una semplificazione e riequilibrio delle forze di terra, e le sue criticità attuative, è oggetto dell’acuta analisi di Simone Dossi (membro del comitato di redazione di OrizzonteCina, ndr), che rivela come le ragioni della riforma siano ascrivibili sia a “condizionamenti esterni” (la necessità di operare “ben al di là del tradizionale spazio terrestre”, sui mari, nell’aria, nello spazio extra-atmosferico e nella rete, dove si giocheranno le partite cruciali nel XXI secolo), sia a “dinamiche politiche interne” (l’esigenza di riaffermare il controllo del partito sulle forze armate). Sul fronte delle relazioni internazionali, Antonio Fiori affronta l’evoluzione dei rapporti tra Cina e Corea del Nord dall’ascesa di Kim Jong-un a oggi, mostrando come già dal 2012-2013 Pechino abbia espresso frustrazione nei confronti di Pyongyang, e come i margini di influenza della Cina sul regime nordcoreano siano ridotti e sovrastimati dalla presidenza Trump.
Ben tre capitoli sono dedicati alla questione cattolica in Cina, sempre più in dinamica evoluzione sotto il pontificato di Francesco. Elisa Giunipero non solamente ricostruisce le “prove di dialogo” tra Cina e Santa Sede, divise tra sostegno alla chiesa ufficiale e alla chiesa “clandestina” (anche se, come ricorda l’autrice, sarebbe meglio dire “sotterranea”, visto che la chiesa non ufficiale è ben nota alle autorità), ma evidenzia anche come la politica di apertura di Francesco stia riaprendo antiche fratture nella galassia cattolica: “a differenza del passato, oggi non sarebbero più i patriottici a rivendicare l’indipendenza da Roma, ma alcuni “clandestini” che rimprovererebbero alla Santa Sede e al Papa stesso di aver ceduto di fronte al governo comunista e di averli traditi” (p. 121). Mette in guardia da eccessive aperture (“ci sarebbe meno libertà, non più libertà”, p. 142) anche Padre Gianni Criveller, missionario del Pime a Hong Kong, intervistato da Silvia Picchiarelli. Infine, il ritratto (steso da Zhu Xiaohong) della condizione di Ma Daquin, il vescovo di Shanghai ostracizzato dal partito-stato, dà conto delle enormi difficoltà incontrate dai cattolici in Cina.
Brillante esempio di conoscenza intesa come bene pubblico – la rigorosa mediazione operata da specialisti per un pubblico più ampio –, La Cina quarant’anni dopo Mao è un affascinante sguardo sulle linee di faglia di un paese la cui evoluzione appare destinata a condizionare fortemente il futuro del nostro mondo, a tutte le latitudini.
I libri recensiti in questa rubrica possono essere acquistati presso la Libreria Bodoni di via Carlo Alberto, 41, Torino.
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