[LA RECENSIONE] Il principe rosso

recensione-oc3Che cosa ci fa l’ispettore Chen Cao al cimitero di Suzhou, invece di svolgere il suo lavoro al commissariato di polizia? E chi è quella misteriosa cantante d’opera che gli offre un passaggio per tornare a Shanghai? Da questo incontro prende avvio il nuovo libro giallo di Qiu Xiaolong, nono episodio delle (dis)avventure dell’ispettore Chen Cao, che OrizzonteCina quest’anno suggerisce come lettura per la pausa estiva. L’autore, emigrato nel 1989 negli Stati Uniti, insegna letter atura cinese alla Washington University di Saint Louis, e da alcuni anni con la fortunata creazione del suo personaggio si è imposto sulla scena letteraria mondiale di genere.

Questa volta l’ispettore Cao è stato sollevato dai suoi incarichi, attraverso una promozione a capo di un inutile Comitato per la riforma del sistema legale. Ha voluto impicciarsi di una questione troppo delicata, non doveva metterci il naso. Eccolo lì, figlio compassionevole che si prende cura della vecchia tomba del padre, in un cimitero in cui ormai la differenza di classe non ha risparmiato nemmeno la memoria dei defunti, almeno a giudicare dalla stucchevolezza di alcuni monumenti funebri. Chen Cao sapeva che avrebbe pagato un prezzo elevato per la sua determinazione professionale. Si ricorda di “Jiang Cun, un mercante di sale della dinastia Qing che all’apice del successo disse: Puoi anche avere montagne di argento o montagne di oro, ma da un momento all’altro l’imperatore può toglierti tutto senza neppure abbassarsi a dirti che ti ripagherà” (p. 90).

Le tenebre non gli fanno paura, ma sembrano stringersi attorno a lui. L’aria è cupa. Un chiacchierato locale notturno. Donne seminude vestite da gattine. Chi lo vuole incastrare? Perché non lo lasciano in pace? Il cielo di Shanghai è in ascolto: “la notte è lunga e piena di incubi” (p. 292). Ma, in fondo, è una notte conosciuta, incontrata tante volte tra le luci scintillanti di Shanghai, espressione di una risaputa ricchezza sfrontata e amorale (quanto sembrano lontani gli anni di Shanghai Baby, i comportamenti che allora sembravano circoscritti oggi sono diventati la norma). Cao si muove bene tra i labirinti, conosce gli angoli degli incroci possibili, gli anni di lavoro passati a cercare la luce saranno pure serviti a qualcosa. Nuvola Bianca rischia molto, ma deve aiutare il suo vecchio amico (ancora innamorato, si capisce), e il salone di bellezza è un osservatorio privilegiato per conoscere i segreti inconfessabili della Shanghai che non dorme quando il popolo dorme.

Tutto è così instabile, sospeso, come i cerchi d’acqua attorno a un sasso gettato nello stagno. Nelle notti insonni, anche Cao riflette sulla quiete apparente: “… in realtà sono in groppa a una tigre. È solo questione di tempo, perché prima o poi la tigre mi disarciona e mi divora” (p. 211). Lo avvisano. Lo minacciano. Lui risponde per le rime. Sente che la sua vita è in pericolo. Hanno trovato un cadavere nel fango, nell’ennesimo cantiere in costruzione. Come mai è finito lì? Meno male che i colleghi di una vita sono ancora lucidi e attivi, ma soprattutto fedeli: Vecchio Cacciatore, che si sente tornato in servizio dalla pensione, e suo figlio, il detective Yu. Meno male che la tecnologia aiuta: si possono comprare molte schede telefoniche, e utilizzarle oculatamente in modo alternato, e se è un problema recuperare i messaggi di posta elettronica la soluzione è recuperare il miglior hacker della città.

Sono le donne a essere l’altra metà del cielo. O forse questa frase di Mao appartiene a quel 30% di errore che il Partito addebita ufficialmente al Grande Timoniere: le donne, forse pensa Cao, sono il cielo. Come spiegare altrimenti il ritorno del concubinato? Gli uomini si spostano molto per affari, difficile stare soli nelle stanze d’albergo, o negli appartamenti immensi con vista sul lungofiume. C’è forse qualcosa che non si possa comprare? A chi non piace una vita agiata, in cambio di un po’ di compagnia? Nel silenzio della notte, Cao si abbandona a volte ai ricordi: “All’epoca di Mao il proletariato era visto come l’unica forza propulsiva della società, mentre gli imprenditori erano considerati capitalisti della peggior specie. Adesso la situazione si era rovesciata” (p. 298). Tra le donne bisogna cercare il bandolo della matassa di questa storia: sono loro le vere protagoniste in un mondo dove all’apparenza il potere è maschile. Il loro coraggio le redimerà, se di redenzione dobbiamo proprio parlare.

Certo, tutto sembra così assurdo. Uno studio legale diretto dalla moglie di un alto funzionario del Partito. Un imprenditore americano deceduto misteriosamente. Carcasse di maiali morti in mezzo al fiume. Ispettore Cao, suvvia: non è difficile comporre i pezzi del mosaico, è molto più semplice di quanto lei creda. Di che meravigliarsi, dopo una lunga carriera ricca di brillanti risoluzioni di casi complessi? In fondo, non poteva dirlo meglio: “quella era una storia tipica di un’epoca improntata all’assurdità” (p. 365).

Lei è anche un poeta: “Che stelle, ma non è l’ultima notte” (p. 325). Non c’è notte senza l’attesa della luce. Lo sappiamo da sempre, perché dovremmo spaventarci? A poco a poco, la nebbia si dirada. La luce del giorno riaffiora sul Bund. “Per chi sei in piedi tra il vento e la rugiada?” (p. 325). Già: per chi saremo rimasti in piedi quando sarà arrivata l’alba? (P.s.: Qualcuno ha sentito parlare del caso Bo Xilai?).

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