ThinkINChina è un’“open academic-café community” attiva a Pechino, luogo di dibattito tra giovani ricercatori e professionisti di varia provenienza impegnati nello studio della Cina contemporanea.
È ben noto come la politica di riforme e apertura attuata in Cina durante gli ultimi decenni abbia dato inizio alla più grande migrazione che si conosca della storia dell’umanità. Da tempo però l’assalto alle zone costiere e ai grandi centri urbani cinesi ha avuto una battuta d’arresto, complice anche la crisi economica che ha colpito gran parte dell’Occidente a partire del 2008. È dunque giunto al termine il processo di urbanizzazione? Si tratta solo di una fase di stallo? O si tornerà addirittura a popolare le zone rurali del vasto paese asiatico? Sembra propendere per questa ultima ipotesi il professor Wen Tiejun, ospite dell’ultimo incontro organizzato il 24 febbraio scorso a Pechino da ThinkINChina, intitolato “Una ricetta per il futuro: il Movimento per la nuova ricostruzione rurale”. Secondo lo studioso cinese, la Cina si appresta infatti ad affrontare una nuova era di de-industrializzazione e de-urbanizzazione, un processo simile a quello già avvenuto nei paesi occidentali a partire dagli anni Settanta.
Il professor Wen è direttore amministrativo dell’Istituto per gli studi superiori sulla sostenibilità presso l’Università del popolo a Pechino e direttore amministrativo dell’Istituto per la ricostruzione rurale cinese dell’Università della Cina sud-occidentale. Ricercatore affermato, da anni si occupa di quello che nella Repubblica popolare viene chiamato il sannong wenti (三农问题), “i tre problemi delle aree rurali”: la campagna, l’agricoltura, i contadini. Nel 2003 fonda nella provincia dello Hebei l’Accademia Yan Yangchu per la costruzione rurale, dando così inizio, grazie anche alla collaborazione di altri esperti e attivisti, a quello che viene presto definito il xinxiangcun jianshe (新乡 村建设) o “nuova ricostruzione rurale”. Il nome è ripreso da un movimento che affonda le sue radici nell’opera di studiosi come Mi Jiansan e suo figlio Mi Digan, che già sul finire del XIX secolo proposero un nuovo concetto di amministrazione rurale basata su alfabetizzazione e pedagogia civile. Un grande contributo è stato dato negli anni Venti e Trenta dall’esperienza di filosofi ed educatori come Liang Shuming e Yan Yangchu, ispirati a loro vola da scrittori e utopisti del calibro dei russi Pietro Kropotkin e Leone Tolstoj o del giapponese Mushanokoji Saneatsu.
A detta dello stesso Wen, il Movimento per la ricostruzione rurale propone una ripresa e continuità storica con l’omonima scuola di pensiero. Basata sulla formazione delle nuove generazioni e la mobilitazione dei volontari, ha come obiettivi l’eco-architettura, il riciclo dei materiali e la creazione di cooperative di contadini, nel rispetto dell’ambiente e dello sviluppo di un’agricoltura sostenibile. Nel 2005 il professor Wen ha fondato presso l’Università del popolo il Centro per la ricostruzione rurale, con il quale dirige importanti progetti di produzione agricola e sostenibilità ambientale che coinvolgono comunità locali e centinaia di studenti, attivisti e volontari, come la Little Donkey Farm (sito in cinese) e la Guoren Green Alliance (sito in cinese). Sebbene critico nei confronti dell’economia di stampo neo-liberista che ha caratterizzato la politica cinese dell’ultimo ventennio, il Movimento per la nuova ricostruzione rurale non si identifica completamente con un’altra grande scuola di pensiero: la xinzuopai (新左派) o Nuova sinistra. Quest’ultima, capeggiata da intellettuali e docenti universitari come Wang Hui e Cui Zhiyuan (sito in cinese), propone di fatti un ritorno a politiche in stile maoista per la rinascita di uno spirito collettivista, il ridimensionamento del divario sociale e dell’economia di mercato a favore di un paese dove più influente sia il ruolo dello stato.
In un suo precedente lavoro Wen Tiejun aveva sottolineato come i lavoratori migranti siano oggi in Cina il nuovo proletariato. Una situazione tuttavia ancora privilegiata rispetto ai loro colleghi di altri paesi in via di sviluppo. Nella Repubblica popolare si è infatti finora riusciti a evitare la formazione di slum, come sperimentato invece in altre realtà sociali dell’India o dell’America latina, dove il liberismo ha spostato masse di contadini nelle periferie delle nuove megalopoli, o ha portato al formarsi di un sottoproletariato urbano condannato a condizioni di indigenza. Il 90% della popolazione delle classi meno abbienti in Cina è infatti da definirsi “piccola borghesia” e non proletariato, visto che a partire dal 1949 ai contadini cinesi è stato dato un pezzo di terra dove vivere e lavorare.
Secondo il professor Wen, fenomeni come quello dell’urbanizzazione selvaggia non sono sostenibili e sono per questo destinati a fallire. Problemi di portata enorme, come quello dell’inquinamento che proprio nell’ultima settimana di febbraio è tornato a livelli di massima allerta nella capitale cinese, sono le conseguenze tangibili di un modello di sviluppo scellerato, che vede nelle riforme poste in essere sotto la leadership di Deng Xiaoping la propria origine. Altro preoccupante dato è il divario tra i vari strati sociali, che crea conflitti e instabilità, nonostante gli sforzi della passata amministrazione di Hu Jintao e Wen Jiabao per porre rimedio al problema e promuovere lo sviluppo di una società armoniosa.
Il modello di sviluppo urbanizzato non è quindi più sostenibile e oggi molti migranti fanno ritorno alla campagna, dando il via alla de-urbanizzazione, abbandonando spazi urbani abitati da decine di milioni di persone a favore di realtà con numeri più contenuti. Già da tempo si è infatti cominciato a sostituire l’ormai superato chengshihua (城市化, o urbanizzazione delle metropoli) con il termine chengzhenhua (城镇化, urbanizzazione delle città), come annunciato dal premier Li Keqiang nella primavera del 2013: una crescita urbana pianificata, priva di eccessi e sregolatezze, basata su agglomerati di città di piccole e medie dimensioni. Insomma, un’urbanizzazione incentrata sull’uomo: quasi “dal volto umano”, se ci è concessa la parafrasi. Il Movimento per la nuova ricostruzione rurale si inserisce proprio in questo tipo di discorso e la sua utilità, come sottolineato in chiusura da Wen Tiejun, sta esattamente nel preparare la Cina a questa sfida, formando il personale e creando le strutture per ricevere questa nuova ondata di migranti.
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