In un articolo uscito di recente sulla New York Review of Books, Perry Link sottolinea alcune questioni tuttora irrisolte nella vicenda di Bo Xilai. In particolare, egli chiama in causa un’innominata fonte cinese la quale, nel commentare le difficoltà causate da Bo al ‘ruling system’, avrebbe citato una vecchia affermazione di Liu Xiaobo: ‘Il potere di ogni funzionario ad ogni livello [in Cina] viene non dal basso, dal popolo, ma dai livelli più elevati nella struttura dell’autorità personale’. Link solleva, quindi, un dubbio fondamentale sulla legittimità del sistema politico cinese: se la ‘lealtà dal basso e la protezione dall’alto sono la colla che tiene insieme l’intero sistema’, allora ‘chi nomina la persona al vertice ultimo – dove per definizione non esiste un superiore in grado di fare una nomina?’
Nonostante tutte le capriole teoriche e propagandistiche delle autorità cinesi, non esiste una risposta univoca a questa domanda. Il caso di Bo Xilai ha offerto al pubblico una visione non edificante delle dinamiche del potere ai livelli più elevati in Cina, mettendo a nudo la crisi di legittimità della leadership cinese. La questione fondamentale non è tanto come Bo abbia potuto precipitare così in basso nel giro di poche settimane, quanto perché gli sia stato concesso di sopravvivere e prosperare all’interno di questo sistema di potere per decenni.
La vicenda di Bo Xilai va vista in una prospettiva storica. Nel suo articolo Perry Link ricorda che ‘in tempi pre-moderni questa funzione [di legittimazione] era esercitata dalla stirpe imperiale.’ Non pochi commentatori hanno poi ritenuto opportuno trovare delle analogie tra la caduta di Bo Xilai e le vicende che nel 1971 hanno portato alla fine di Lin Biao, l’erede designato di Mao, morto in un misterioso incidente aereo mentre stava fuggendo dalla Cina. Alcuni hanno persino richiamato la caduta e la morte di Gao Gang, potente quadro di Partito suicidatosi nel 1954 dopo aver tentato inutilmente la scalata ai vertici del potere. Un paragone storico più calzante può essere individuato in una delle grandi ribellioni del tardo impero, quella dei Taiping.
Una serie di studi pubblicati in inglese negli ultimi anni – in particolare l’ormai classico ‘God’s Chinese Son’ di Jonathan Spence e il più recente ‘Autumn in Heavenly Kingdom’ di Stephen Platt – hanno contribuito a far riscoprire al pubblico occidentale questo movimento popolare che sembrò sul punto di far cadere la dinastia Qing. Il fascino della storia di Hong Xiuquan, il giovane letterato di provincia che negli anni Quaranta dell’Ottocento, in seguito ad un sogno delirante, si convinse di essere il fratello minore di Gesù e riuscì a sollevare un’armata di centinaia di migliaia di reietti, arrivando a stabilire il proprio ‘regno celeste’, rimane ancora oggi immutato.
Curiosamente, alcune sfaccettature della vicenda dei Taiping ci offrono delle prospettive inedite sull’attualità. La storia infatti racconta come nei primi anni dell’insurrezione – quando Hong Xiuquan e i suoi ‘Adoratori di Dio’ erano ancora basati in una valle sperduta del Guangxi – alcuni abitanti del posto avessero iniziato ad avere visioni mistiche legate alla cosmologia cristiana. Nello specifico, due persone, il carbonaio Yang Xiuqing e il contadino Xiao Chaogui, entravano regolarmente in uno stato di trance, facendosi ‘portavoce’ rispettivamente di Dio Padre e di Gesù. Conquistarono, così, una popolarità sempre maggiore agli occhi dei fedeli, tanto che Hong, messo alle strette, alla fine decise di riconoscere l’autenticità di questi fenomeni mistici.
Successivamente, sia Yang Xiuqing sia Xiao Chaogui avrebbero assunto ruoli di primaria importanza nel movimento dei Taiping, ricoprendo rispettivamente le cariche di ‘Re del Nord’ e ‘Re dell’Ovest’. Hong Xiuquan, da semplice figlio minore di Dio, si sarebbe sempre trovato in una posizione di debolezza nei confronti di coloro che sostenevano di parlare per conto dei suoi ben più importanti parenti celesti. La situazione degenerò al punto che un giorno Dio, parlando tramite Yang Xiuqing, ordinò a Hong, allora già auto-proclamatosi ‘Re Celeste’, di ricevere quaranta colpi di verga come punizione per le sue mancanze. Secondo il racconto ricostruito da Jonathan Spence, ‘solamente quando Hong si prostrò per ricevere i colpi, Dio lo perdonò, tornando in Paradiso.’
Come non riconoscere le analogie tra il rapporto che legava Hong ai suoi subordinati e quello che oggi lega le autorità cinesi a Bo Xilai? In fondo, Hong Xiuquan a suo tempo si è trovato di fronte a un dilemma non poi così differente da quello con cui i leader cinesi si confrontano oggi con Bo Xilai: smascherare quegli ’usurpatori’ che si arrogano una maggiore ‘divinità’ – o, nel caso specifico di Bo, una natura maggiormente ‘rossa’ –, rischiando così di squarciare quell’illusione su cui si basa la propria legittimazione politica, oppure sopportare al fine di perpetuare il potere? Consapevoli delle conseguenze potenzialmente disastrose dell’esposizione di Bo, per anni le autorità cinesi hanno lasciato correre, fino a quando una resa dei conti non è diventata inevitabile.
La storia ci insegna come le conseguenze di simili rese dei conti siano devastanti. Mentre il Partito è sopravvissuto a ondate su ondate di epurazioni e conflitti interni, dalla caduta di Gao Gang alla fuga di Lin Biao, dalla persecuzione di Liu Shaoqi all’epurazione di Zhao Ziyang, la storia dei Taiping ci racconta un finale diverso. Se il Re dell’Ovest, colui che affermava di parlare per conto di Gesù, morì in battaglia per le ferite subite, il Re del Nord finì vittima di un sanguinoso colpo di mano orchestrato dai suoi rivali politici con il consenso dello stesso Hong Xiuquan. Ma non ci sono dubbi sul fatto che dopo quel momento il movimento dei Taiping non fu mai più lo stesso.
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