Il tema dell’asilo o più ampiamente della protezione internazionale non può che rivestire un ruolo centrale nella riflessione accademica ed empirica sul concetto di human security. Il paradigma, come ribadito a più riprese, non sta solo a intendere la mera salvaguardia della vita delle persone, ma, come specificato dalla Commissione sulla Sicurezza Umana delle Nazioni Unite (2003), “la protezione da situazioni e minacce critiche (gravi) e pervasive (diffuse)”. Al centro sta dunque l’individuo, titolare di diritti; la sua sicurezza (protezione) è il perno su cui dovrebbe fondarsi l’azione politica. Ispirata tanto dal diritto e dall’etica – entrambi elementi cardine per il passaggio da un concetto di sicurezza “comunitarista” ad uno “cosmopolitico” – quanto da una realtà che mutando ha scardinato i dogmi teorici e politici propri dell’era bipolare, l’azione politica dovrebbe servire a dare concretezza e a disegnare i contorni di un istituto proprio della tradizione culturale europea, parte integrante della sua stessa storia e diritto fondamentale dell’Unione, come riportato nella Carta dei Diritti Fondamentali (Articolo 18). Eppure, questa ricostruzione stride con una realtà che parla in maniera sempre più evidente di un’interferenza eminentemente politica nell’ambito dell’asilo, emersa in tutta la sua chiarezza nella proposta di revisione del sistema di asilo comune avanzata dalla Commissione Europea.
La prima questione che si pone è quella che riguarda il perché di una revisione del sistema di asilo dell’Unione Europea, che a sua volta presuppone una riflessione sullo sviluppo dello stesso. Se il ricorso alla protezione è un diritto fissato nei trattati dell’Unione, l’asilo è invece stato soprattutto inteso come un ambito “da gestire e governare” a seguito della libera circolazione delle persone nello spazio Schengen. L’eliminazione virtuale e fisica dei confini tra stati poneva il problema di evitare sia l’eventualità di molteplici richieste di asilo nell’Unione (cosiddetto asylum shopping) sia una sperequazione delle richieste di asilo verso gli stati considerati “più accoglienti” (secondary movements). Da subito, dunque, l’asilo si è posto più come una questione volta al coordinamento delle relazioni tra stati membri in uno spazio di libera circolazione (caratterizzato però da sistemi di asilo differenti) che un istituto volto a garantire protezione. O, per lo meno, dal punto di vista normativo, il problema non si era posto in tutta la sua dirompenza in tempi di flussi “non eccezionali”. Da qui, dunque, la necessità di creare un “sistema”, un pacchetto di misure fortemente legate tra loro e volto nel breve periodo al riavvicinamento delle procedure di gestione della richiesta di asilo e dei contenuti della protezione negli stati membri, e, nel lungo periodo, a una vera e propria standardizzazione. Obiettivo ultimo di questo sforzo non era tanto quello di arrivare ad un sistema di asilo europeo unico (che di fatto presupporrebbe l’eliminazione di una declinazione “statuale” del concetto di protezione a favore di un riconoscimento mutuo della protezione) ma, all’opposto, di evitare i cosiddetti “movimenti secondari”, ovvero, movimenti non autorizzati di richiedenti asilo da uno stato dell’Unione a un altro. Imprescindibile dunque, secondo questa logica, sarebbe stato rendere quanto più comune possibile la legislazione in materia di asilo, pur tuttavia mantenendo il controllo dell’entrata nei singoli territori nazionali.
La serie di proposte di revisione del sistema di asilo avanzate nel 2015 e nel 2016 è stata dunque caratterizzata da questa finalità “politica”, distinguibile anche dal passaggio dallo strumento della Direttiva a quello del Regolamento (in quasi tutti i casi tranne che in materia di accoglienza di richiedenti asilo). Revisione, dunque, prevista e attesa. Il sincronismo di questa fase con l’arrivo massiccio di richiedenti asilo nel 2015 (oltre 1 milione 200 mila domande di asilo in Unione Europea, più del doppio rispetto al 2014) potrebbe però aver inciso sull’indirizzo politico già delineato, contribuendo a mettere in evidenza le criticità del sistema e suggerendo modifiche all’impianto legislativo con un impatto tutt’altro che trascurabile per il concetto di human security. Eppure, proprio l’arrivo cospicuo di richiedenti asilo, spesso facilitato dalle reti di trafficanti, e, insieme, la crescita esponenziale del numero di decessi nell’Egeo e nel Mediterraneo, aveva conferito un’inedita centralità all’obiettivo di “salvare le vite dei migranti”, dando risalto a un concetto di sicurezza declinato sull’individuo, tanto prioritario da diventare un obiettivo cardine dell’Agenda sulle Migrazioni del 2015.
Proposte di revisione
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La declinazione del concetto di protezione nei documenti proposti presenta molteplici elementi di criticità per l’interpretazione di human security. In primo luogo, se da un lato si assiste a un forte ruolo propositivo dell’Unione, che affianca al tradizionale impianto legislativo nuove proposte vincolanti per gli stati membri (come nel caso di un framework europeo per il reinsediamento e dell’elenco comune di paesi di origine “sicuri”), dall’altro si nota come questo attivismo sembra spingere verso una contrazione di alcune delle garanzie di protezione già previste da alcuni stati membri. Ad esempio, l’armonizzazione dei permessi di soggiorno per rifugiati e per titolari di protezione sussidiaria rispettivamente a 3(+3) e 1(+1) anni costringerebbe all’adeguamento sistemi più “espansivi” in questo senso come quello italiano, che prevede rispettivamente 5 e 5 anni (sistema, quello italiano, che non discrimina peraltro in termini temporali tra le due categorie). Stesso effetto su alcuni sistemi nazionali (ancora una volta quello italiano ad esempio) e di riflesso sulla sorte dei richiedenti asilo avrebbero inoltre l’obbligo di adottare una lista di paesi di origine “sicuri” (che renderebbe “infondate” alcune domande di protezione in Unione Europea), di adottare “procedure accelerate” per certe categorie di richiedenti asilo e di verificare la possibilità di “protezione interna” (in un’altra parte del paese di origine). In secondo luogo, l’interpretazione dell’asilo come un “sistema da gestire” e in corrispondenza l’esigenza di procedere celermente alla verifica delle richieste (questo elemento sì enfatizzato dalla crisi) e di evitare “abusi” del sistema (false asylum seekers) si è tradotto nella proposta di “velocizzare” l’esame della richiesta di asilo in ciascuna delle sue fasi e di inserire “scadenze” per i termini della domanda. In terzo luogo, e abbastanza paradossalmente (ma comprensibilmente nell’etica “gestionale” del sistema) i richiedenti asilo diventerebbero sempre meno titolari di diritti e sempre più responsabili di obblighi. In particolare, rilevano l’obbligo di presentare domanda di asilo nel primo stato d’ingresso dell’Unione, di rimanere nello stato competente per l’esame della domanda secondo il Regolamento di Dublino (unico stato in cui è possibile ricevere accoglienza), di rimanere nello stato di reinsediamento e in quello che ha concesso protezione internazionale. Di certo non serve sottolineare che questa serie di obblighi è funzionale alla preservazione di un sistema di asilo ancora fortemente compartimentalizzato tra gli stati membri mentre la negazione della volontà dei migranti rimane alla base dei “movimenti secondari”. In quarto luogo, le nuove proposte restituiscono sempre di più l’idea di una protezione “selettiva”, fatta di filtri in gran parte legati al criterio della nazionalità dei richiedenti, logica che mal si sposa con il diritto individuale all’asilo. Il criterio della “nazionalità”, già alla base del sistema hotspot e del programma di relocation intra-europeo, è alla base dei safe countries concepts (paesi considerati “sicuri” per i propri cittadini o per cittadini terzi che hanno transitato attraverso questi), più volte richiamati nelle proposte di modifica, che di fatto renderebbero “infondate” o “inammissibili” alcune richieste di asilo nell’Unione.
Ricollocamento da Italia (IT) e Grecia (EL), ottobre 2015 – maggio 2017
Lo stallo del programma di ricollocamento dei richiedenti asilo “in chiaro bisogno di protezione internazionale” da Italia e Grecia testimonia la mancanza di solidarietà che si riscontra in Unione Europea e rende più plausibili piani volti all’adozione di politiche restrittive nei confronti dei richiedenti asilo.
Fonte: Commissione Europea (2017) Relocation and Resettlement – 13 June 2017
A lato della duplice questione etica che vedrebbe l’Unione indebolire un diritto finora riconosciuto come fondamentale e diluire le proprie responsabilità attraverso un processo di “esternalizzazione” della protezione, si pone qui il quesito dell’impatto di questa misura sul concetto di human security. Di fatto, in nessuno di questi casi si richiede che la protezione assicurata sia assimilabile alle forme previste in Unione Europea, ma che sia una protezione “sufficiente”. Il Parlamento europeo riprenderà molte delle questioni qui sollevate. Tuttavia, dalla riflessione sulle proposte di modifica del sistema di asilo in Unione Europea emerge una nuova interpretazione del concetto di sicurezza umana di cui non si può non tenere conto e che rende il concetto molto meno pregnante, a maggior ragione perché snaturato da uno dei suoi più forti propositori.
Per saperne di più:
Pastore, F. (a cura di) (2017) Beyond the migration and asylum crisis. Options and lessons for Europe, Aspenia online Special, Aspen Institute, Italia.
European Parliament (2017) The Common European Asylum System-Third Reform.
Borsi, L. (a cura di) (2017) Asilo: elementi introduttivi, XVII Legislatura, Servizio Studi del Senato, Dossier n°450, Febbraio.
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