La Rivoluzione Culturale e la Cina contemporanea

Punto primo: qualunque bilancio sulla Rivoluzione culturale non può essere distinto da un bilancio sull’operato di Mao; dunque una discussione sull’eredità della Rivoluzione culturale è sotto molti profili – benché non tutti – anche una discussione sull’eredità di Mao. Punto secondo: non si sa se Zhou Enlai abbia realmente pronunciato la famosa frase secondo cui sarebbe ancora presto per formulare un giudizio storico sulla Rivoluzione francese; nel caso della Rivoluzione culturale è tuttavia certo che la sua influenza sulla Cina di oggi potrà essere compresa appieno solo in futuro.

Fatte queste due premesse, l’obiettivo di questo contributo è di esaminare l’eredità della Rivoluzione culturale in quattro diversi ambiti: le idee intellettuali, lo sviluppo economico, le linee-guida delle politiche etniche e della politica estera, e le caratteristiche della leadership di Xi Jinping.

Le idee intellettuali

Tanto in epoca storica quanto in età moderna, la Cina ha importato idee: due esempi significativi sono il Buddhismo, importato dall’India, e la versione marxista-leninista del comunismo, importata dall’Europa. Ma quali sono invece le idee che la Cina ha esportato? Si può affermare che l’unica idea esportabile – ed effettivamente esportata – dalla Cina in tempi moderni sia ciò che viene chiamato maoismo. Si consideri l’influenza che il maoismo ha avuto sugli intellettuali francesi post-colonialisti e post-strutturalisti, sul movimento nero negli Stati Uniti, sulla lotta per la riforma agraria e per la liberazione attraverso la guerriglia.

L’idea affermata da Mao durante la Rivoluzione culturale per cui “ribellarsi è giusto” ispirò masse di giovani cinesi idealisti, che per ironia della sorte – oppure no, dal punto di vista di Mao – si ribellarono contro il governo e persino contro lo stesso Mao. Ne sono esempi lo shengwulian (省无联, Lega proletaria provinciale) dello Hunan, guidato dal diciassettenne Yang Xiguang a fine anni Sessanta; il gruppo di Li Yizhe nel Guangdong a inizio anni Settanta; così come gli scrittori, artisti e attivisti politici dissidenti attivi in età postmaoista. In altre parole, la Rivoluzione culturale ha ispirato la partecipazione dal basso in una democrazia sostanziale (1).

Alcune idee affermatesi durante la Rivoluzione culturale – come quella di “utilizzare l’occidentale per servire il cinese” e “utilizzare il passato per servire il presente”, oppure quella di “rompere con il vecchio prima di costruire il nuovo” – hanno ispirato la riforma della letteratura e delle arti in Cina, in particolare le arti performative, dato il ruolo di Jiang Qing, moglie di Mao particolarmente impegnata nel governo della sfera artistica cinese. L’opera-balletto Distaccamento femminile rosso (Hongse niangziju, 红色娘子军) è il migliore esempio di come si possa “utilizzare l’occidentale per servire il cinese”, mentre le opere-modello di Pechino sono un buon esempio di come si possa “utilizzare il passato per servire il presente”. Il successo di Yu Huiyong (2) – un acclamato artista che venne promosso ministro della Cultura durante la Rivoluzione culturale, per poi finire suicida una volta incarcerato dal regime postmaoista – è privo di precedenti (3).

Sviluppo economico

Per giustificare lo sviluppo intrapreso sulla strada del capitalismo, il regime postmaoista fece leva sulla reazione agli eccessi della lotta di classe e dei movimenti politici, e usò ogni strumento di propaganda possibile per demonizzare la Rivoluzione culturale, arrivando ad affermare che l’economia cinese fosse ormai sull’orlo del precipizio. Ma chiunque sia in grado di leggere le statistiche noterà che – eccezion fatta per il 1967 e 1968, i due anni più caotici, in cui le attività economiche e produttive furono sostanzialmente interrotte – la crescita dell’economia cinese si attestò allora su di un tasso medio superiore a quello della maggior parte degli altri paesi in quegli stessi anni (4).

Ci soffermeremo qui su quattro aspetti principali. Il primo è l’avanzamento registrato sul terreno dell’infrastruttura agricola, in particolare nell’irrigazione. Una delle ragioni dei successi nella produzione cerealicola in età postmaoista è il notevole lavoro compiuto in materia di irrigazione durante la Rivoluzione culturale, i cui risultati si sarebbero visti negli anni immediatamente successivi alla morte di Mao.

Un altro esempio è il contributo delle imprese di distretto e di villaggio allo sviluppo economico postmaoista. Nella sua critica a Stalin e al modello sovietico di sviluppo economico, Mao intendeva decentrare il processo di industrializzazione e incoraggiare l’iniziativa locale. L’idea era riassunta nella formula “camminare su due gambe”: la gamba dell’economia pianificata e centralizzata delle imprese di Stato e la gamba delle imprese locali a proprietà collettiva. Queste idee vennero inizialmente elaborate durante il Grande balzo in avanti, ma furono poi messe da parte in seguito ai suoi risultati fallimentari. Vennero quindi riprese durante la Rivoluzione culturale, con la creazione di numerose imprese di distretto e di villaggio. Molte di esse si sarebbero rivelate tutt’altro che un fenomeno passeggero, ispirando successivamente lo sviluppo dell’importante settore privato nell’economia cinese di oggi (5).

Il terzo fattore è la vasta forza lavoro rurale fornita dalla Rivoluzione culturale, ben istruita e destinata a divenire bacino di provenienza di 200 milioni di lavoratori migranti. Questo è un aspetto di enorme rilevanza, che tuttavia viene di rado discusso. L’assistenza sanitaria a basso costo, garantita dal sistema dei “medici scalzi” (chijiao yisheng, 赤脚医生) inventato durante la Rivoluzione culturale, fu un risultato diretto dell’intervento di Mao e della sua critica al Ministero della Sanità, accusato di servire esclusivamente i privilegiati delle città. Come ho evidenziato in uno studio sul villaggio di Gao, fu proprio durante la Rivoluzione culturale che tutti i bambini in età scolare poterono – per la prima volta nella storia di quel villaggio – frequentare la scuola (6). Più o meno la stessa cosa avvenne anche a livello nazionale (7).

Quarto, la Rivoluzione culturale è rilevante per l’economia postmaoista dal punto di vista dello sviluppo tecnologico. Un caso significativo è quello dei semi di riso ibrido che avrebbero consentito l’aumento della produzione. Fu durante gli anni di Mao e in particolare durante la Rivoluzione culturale che scienziati come Yuan Longping iniziarono a lavorare su questo tipo di progetti in gruppi di ricerca coordinati. Si noti che l’unico premio Nobel per la scienza attribuito a un cinese originario della Repubblica popolare è a oggi quello assegnato a Tu Youyou per la scoperta dell’artemisinina come cura della malaria. Di nuovo, Tu condusse la sua ricerca e ne ottenne gli importanti risultati durante la Rivoluzione culturale. Sia Yuan sia Tu lavorarono con ampi gruppi di ricerca: fu appunto il lavoro di gruppo a produrre i risultati, motivo per cui a lungo la comunità scientifica internazionale ha avuto difficoltà a individuare un singolo scienziato cui assegnare il premio Nobel per la scoperta dell’artemisinina.

Principi guida delle politiche etniche e della politica estera

Le basi delle politiche etniche e della politica estera di Mao vanno individuate nella filosofia marxista della lotta di classe. La teoria della lotta di classe e la sua pratica in età maoista, benché da condannare per i loro eccessi, hanno avuto conseguenze ancora oggi visibili. Bastino due esempi. Il primo è offerto dalle tensioni etniche in regioni quali il Tibet, particolarmente gravi in età postmaoista. Le cause sono naturalmente molteplici e complesse, ma un elemento decisivo è stato l’abbandono della teoria della lotta di classe di Mao. Per quanto avesse emarginato le élite tibetane, infatti, la lotta di classe giocò un ruolo cruciale nell’unire le classi inferiori, grazie all’idea di fratellanza tra gli appartenenti alle classi sfruttate e oppresse. Poiché l’identificazione non veniva incardinata sull’appartenenza etnica ma su quella di classe, non dovevano sussistere contraddizioni insolubili tra la grande maggioranza dei tibetani e degli appartenenti ad altri gruppi etnici (8). Era secondo questo approccio che le autorità cinesi affrontavano allora i problemi politici e socio-economici della regione. Ma in età postmaoista la rimozione della teoria della lotta di classe ha fatto sì che l’appartenenza etnica divenisse il nucleo centrale del conflitto.

Lo stesso vale anche per la politica estera. Naturalmente anche per Mao – come per tutti gli altri leader del mondo – l’interesse nazionale era prioritario. Ciò che tuttavia differenziava Mao era l’aspirazione a separare i popoli stranieri dalle rispettive classi politiche, con il corollario che la difesa dell’interesse dei popoli stranieri equivaleva alla difesa degli interessi del popolo cinese. Così, nelle relazioni con il Giappone, Mao vedeva nell’invasione della Cina da parte del Giappone imperialista un crimine perpetrato dalla classe politica giapponese, di cui i popoli di entrambi i paesi erano parimenti vittime. Anche in questo caso, una volta rimosso tale approccio in età postmaoista, la responsabilità storica dell’invasione giapponese tende oggi ad essere rappresentata come nazionale, se non razziale.

Da ultimo possiamo guardare alle relazioni della Cina con il Vietnam. Durante gli anni di Mao, in particolare durante la Rivoluzione culturale, la Cina sosteneva la lotta del Vietnam contro l’imperialismo americano. Ancora una volta questa scelta era guidata non solo dall’interesse nazionale cinese, ma anche dalla teoria della lotta di classe. Per Deng Xiaoping, tuttavia, una politica estera di questo tipo avrebbe necessariamente danneggiato l’interesse nazionale della Cina. Deng ha quindi abbandonato la teoria della lotta di classe per aderire al capitalismo, con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo economico del paese. Non fu certo una coincidenza se Deng lanciò l’invasione del Vietnam nel 1979, non appena rientrato dalla sua visita negli Stati Uniti.

Xi Jinping come “giovane istruito”

Un’altra significativa eredità della Rivoluzione culturale è la leadership di Xi Jinping. Delle tre dirigenze seguite a Deng – Jiang Zemin e Zhu Rongji, Hu Jintao e Wen Jiabao, Xi Jinping e Li Keqiang – solamente l’ultima è fatta di dirigenti che appartengono propriamente alla generazione della Rivoluzione culturale. Nonostante il padre di Xi Jinping sia stato una vittima della politica di Mao, Xi non pare dolersi della propria esperienza di “giovane istruito” inviato in un villaggio povero durante la Rivoluzione culturale. Anzi, Xi è il primo leader supremo cinese che dopo la morte di Mao ha difeso l’età maoista, dichiarando che non si deve usare il secondo trentennio di storia della Repubblica popolare cinese per denunciarne il primo. Benché un giudizio esaustivo non possa ancora essere formulato, è tuttavia evidente che lo stile e le politiche di Xi ricordano in parte Mao: lotta alla corruzione, enfasi sull’educazione morale, linea di massa, limitazione della burocrazia, riduzione dei privilegi dei funzionari, intransigenza in politica estera.

Se guardiamo ai social media, scopriamo che per molti cinesi l’età maoista e in particolare la Rivoluzione culturale sono il parametro per valutare diseguaglianze, corruzione e problemi della Cina di oggi. Possiamo essere certi che – se non fosse per la censura e l’autocensura dell’élite politica e intellettuale – una simile valutazione comparativa sarebbe ancor più manifesta.

(1) Elizabeth J. Perry, “‘To Rebel Is Justified’: Cultural Revolution Influences on Contemporary Chinese Protest”, in The Chinese Cultural Revolution Reconsidered. Beyond Purge and Holocaust, a cura di Kam-yee Law (New York: Palgrave Macmillan, 2003), 262-81.

(2) Yawen Ludden, “Making Politics Serve Music: Yu Huiyong, Composer and Minister of Culture,” TDR: The Drama Review 56 (2012) 2: 152-168.

(3) Zhang Guangtian, Cong Jingju geming kan xin Zhongguo de wenhua baofu (Le ambizioni culturali della nuova Cina viste nella prospettiva della rivoluzione dell’Opera di Pechino), 2016.

(4) Maurice Meisner, Mao’s China and After. A History of the People’s Republic (3 ed., New York: Free Press, 1999); Chris Bramall, In Praise of Maoist Economic Planning. Living Standards and Economic Development in Sichuan Since 1931 (Oxford: Clarendon Press, 1993).

(5) Christine P.W. Wong, “Legacies of the Maoist Development Strategy. Rural Industrialization in China from the 1970s to the 1990s”, in The Chinese Cultural Revolution Reconsidered. Beyond Purge and Holocaust, a cura di Kam-yee Law (New York: Palgrave Macmillan, 2003), 203-17.

(6) Mobo C.F. Gao, Gao Village. A Portrait of Rural Life in Modern China (London: Hurst, 1999).

(7) Suzanne Pepper, Radicalism and Education Reform in 20th-Century China. The Search for an Ideal Development Model (Cambridge: Cambridge University Press, 1996).

(8) Wei Se (Woeser), Xizang jiyi: ershisan wei qilao koushu Xizang wenge (Memorie tibetane: ventitré anziani discutono della Rivoluzione culturale in Tibet) (Taipei: Dakui wenhua, 2003).

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