Traduzione dall’inglese a cura di Carlotta Clivio
Nel 2014 Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations, pubblicava “The Unraveling”, un saggio divenuto famoso per l’efficacia con cui metteva in luce il progressivo “disfacimento” dell’ordine internazionale dopo la fine della Guerra fredda.[1] Secondo Haass l’ordine va disgregandosi a vantaggio di soggetti che perseguono scientemente e in modo aggressivo un nuovo disordine globale, e già tre anni fa la situazione in numerose regioni dell’Europa e del Medio Oriente testimoniava in modo evidente questo trend. Solo oggi, però, dinnanzi a eventi come la Brexit e l’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti emerge appieno la lucidità premonitrice delle tesi di Haass.
L’ambito della sicurezza dello spazio non è rimasto immune dagli effetti di un disordine internazionale sempre più pervasivo. È positivo che, negli ultimi due anni, si sia rafforzato l’impegno internazionale per la produzione di norme giuridicamente non vincolanti (soft law) volte a tutelare la sicurezza dello spazio orbitale, mentre varie iniziative nel settore “New space” hanno aperto orizzonti di sviluppo commerciale un tempo impensabili. Questi segnali positivi, tuttavia, sono sempre più spesso messi in ombra dai monitoraggi dello spazio orbitale effettuati dagli Stati Uniti allo scopo di individuare potenziali minacce, che molti a Washington percepiscono provenire dalle nuove capacità satellitari della Cina e da un rinnovato interesse della Russia a condurre attività di carattere militare nello spazio.
Nel 2010 l’Amministrazione Obama varò la nuova National space policy degli Stati Uniti e pubblicò una National security space strategy l’anno seguente. In entrambi i casi, questi documenti strategici riorientarono il programma spaziale statunitense verso un approccio maggiormente cooperativo, focalizzato sugli ambiti civile e commerciale, in netta discontinuità con le strategie egemoniche adottate dalla precedente Amministrazione Bush, guidata dall’obiettivo di “dominare” lo spazio extra-atmosferico. Nel definire la propria politica spaziale Obama riscoprì dunque lo strategic restraint di epoca pre-Bush, impegnando gli Stati Uniti a non introdurre capacità militari offensive nell’ambiente orbitale, e al contempo tenendo sotto controllo il comportamento di attori sia alleati, sia potenzialmente ostili. In quest’ottica l’Amministrazione promosse l’ulteriore sviluppo tecnologico di sistemi per la space situational awareness, ossia la capacità di monitoraggio dell’ambiente spaziale e degli oggetti orbitanti.
Questo indirizzo politico iniziò, tuttavia, a rivelare la propria debolezza nel maggio 2013, a seguito del lancio da parte della Cina di una missione scientifica che arrivò quasi a raggiungere l’orbita geostazionaria – l’altitudine orbitale di 36.000 km circa in cui risiede un cospicuo numero di satelliti dell’intelligence statunitense, orbitanti in una sorta di santuario dell’ambiente spaziale, considerato al sicuro da potenziali minacce. All’epoca, il fatto che Cina e Russia fossero intanto riuscite a testare nell’orbita terrestre bassa satelliti manovrabili aggravò i timori della comunità di sicurezza statunitense. Prima di Pechino e Mosca, infatti, solo Washington aveva dimostrato di possedere questa capacità. Il lancio cinese destò dunque viva preoccupazione all’interno del Pentagono: molti arrivarono a ritenere che il lancio cinese fosse in realtà un test per sistemi d’arma anti-satellite (Asat), in grado di minacciare la quiete dell’orbita geostazionaria in cui risiedono i sistemi spaziali statunitensi. A causa della natura duale (sia civile, sia militare) di quasi tutta la tecnologia spaziale, determinare gli intenti di un attore terzo, oggi, è spesso impossibile: ne conseguono gravi dilemmi di sicurezza e una generalizzata tendenza a elaborare scenari pessimistici.
Nel 2013 una percezione sempre più acuta delle minacce alla stabilità dello spazio orbitale riportarono in auge i timori di un “inevitabile” conflitto in questo dominio, al punto da portare la questione all’attenzione dello stesso Presidente Obama, fatto piuttosto insolito nella storia della sicurezza dello spazio. Nell’estate del 2014 si tenne così una Strategic space portfolio review sotto la guida del Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, che modificò le priorità dell’Amministrazione, riportando al centro della rinnovata strategia spaziale la sicurezza nazionale.[2] Il Pentagono e la US Air force, inoltre, avviarono un’iniziativa di diplomazia pubblica incisiva, rendendo noto a potenziali avversari che gli Stati Uniti avrebbero risposto a minacce nello spazio orbitale facendo ricorso all’uso della forza. La retorica governativa tornò quindi a ispirarsi al Leitmotiv di “dominio e controllo” tipico delle politiche spaziali dell’amministrazione Bush, prima che i toni si smorzassero nuovamente nel 2016.
Nell’era dell’“America first ” c’è da aspettarsi che gli Stati Uniti mantengano una postura aggressiva verso attori terzi che hanno stabilito una presenza nell’ambiente orbitale. Una prima avvisaglia di questo nuovo atteggiamento si è avuta dalle dichiarazioni governative secondo cui saranno apertamente presi in considerazione piani per lo sviluppo di armi spaziali, un termine in precedenza evitato attraverso l’uso dell’eufemismo “capacità offensive di counterspace”. Quello che resta da vedere è se alla diplomazia impegnata sulle questioni dello spazio orbitale verrà data una considerazione maggiore, minore, o simbolica, rispetto a quella dedicata agli sforzi militari.
Questo tipo di indirizzo politico preoccupa coloro che – come chi scrive – ritengono che la stabilità dello spazio sia da considerarsi obiettivo di importanza primaria, e che a nulla serva una strategia basata su principi di deterrenza capace di mettere in campo solo “bastoni” senza “carote”. Non mancano, però, molte voci favorevoli all’idea di mettere la sordina a principi-cardine quali la necessità di evitare scontri spaziali, dato l’elevato rischio di escalation a essi associato. Costoro preferiscono concentrarsi piuttosto sulle modalità con cui combattere una guerra spaziale “limitata”[3] e sanno che, in questa fase, chi propugna strategie che offrono al complesso militare-industriale nuove opportunità per la costruzione di tecnologie ad alto costo e ad alto rischio gode di attenzione a Washington[4]. D’altro canto, lo strumento diplomatico, pur richiedendo soltanto impegno e tempo, non offre garanzie di successo.
In questo clima, non stupisce che altri paesi desiderino ottenere i vantaggi di carattere militare, economico, sociale e politico di cui godono gli Stati Uniti in ambito spaziale. Diversi sono gli attori che sostengono di possedere gli stessi diritti riconosciuti agli Stati Uniti per l’utilizzo dello spazio orbitale: tali rivendicazioni trovano fondamento nel Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967, il quale garantisce a tutti i paesi accesso allo spazio orbitale inteso come bene comune. A questo punto la domanda è la seguente: “Come mantenere la stabilità dell’ambiente orbitale? Attraverso strumenti coercitivi, o attraverso meccanismi giuridici?” Nonostante un metodo non escluda l’altro, un’enfasi eccessiva sulla forza militare può mettere a repentaglio delicati equilibri di reciproca fiducia, rendendo impossibili futuri tentativi di elaborazione di un sistema normativo condiviso.
Sforzi per lo sviluppo di un Codice di condotta per lo spazio sono già falliti nel 2015. Tuttavia, ancora oggi due gruppi operanti sotto l’egida delle Nazioni unite continuano a dedicarsi alla definizione di norme da un punto di vista tecnico. Il primo è il Working group on the long-term sustainability of outer space activities (Lts), fondato nel 2010 con l’obiettivo di sviluppare migliori procedure per le attività nello spazio orbitale, in particolare entrando nel merito della protezione dell’ambiente spaziale. Data la natura duale della tecnologia spaziale, nonostante l’Lts “non abbia come obiettivo ufficiale la regolamentazione della sicurezza spaziale o degli usi militari dello spazio orbitale, le sue linee guida, qualora seguite, potrebbero per loro natura avere effetto sull’implementazione di attività della sicurezza nazionale nello spazio orbitale”[5]. L’iter negoziale dell’Lts per la proposta di ulteriori raccomandazioni è proseguito significativamente nel 2016.
Il Group of governmental experts (Gge) delle Nazioni unite sulle misure di trasparenza e costruzione della fiducia nello spazio (transparency and confidence building measures, tcbm) è stato fondato nel 2011 e ha concluso i suoi lavori nel 2013. Il rapporto del Gge è stato adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni unite durante la sua LXVIII sessione, diventando così il primo accordo Onu dopo diversi anni a concentrarsi specificamente sul miglioramento della sicurezza spaziale. L’intento del Gge era quello di proporre soluzioni attraverso le quali si potesse favorire una maggior comprensione reciproca, rafforzando al contempo legami di fiducia tra diverse nazioni per ridurre l’emergere di rischi dovuti a incomprensioni, errori di valutazione e conflitti nello spazio orbitale[6]. Nonostante il Gge abbia avuto successo nello sviluppare importanti linee-guida, la difficoltà maggiore risiede oggi nell’implementazione delle stesse, dal momento che l’adesione a queste rimane su base volontaria.
Poiché la spesa (civile e militare) degli Stati Uniti per l’ambito spaziale continua a superare quella dei principali altri paesi messi insieme, qualunque iniziativa – diplomatica e di sicurezza – intrapresa da Washington è destinata a riflettersi a livello globale. Tuttavia, gli Stati Uniti continuano a sostenere che le proprie azioni non siano improntate ad altro che a rispondere alle provocazioni di Cina e Russia. L’onda d’urto del “disfacimento” dell’ordine internazionale lambisce così anche lo spazio orbitale, rischiando di far sì che l’inevitabilità di una guerra spaziale si trasformi in una profezia che si auto-adempie.
[1] Richard Haass, “The Unraveling. How to Respond to a Disordered World ,” Foreign Affairs 93 (2014) 6: 70-79.
[2] Theresa Hitchens e Joan Johnson-Freese, Toward a New National Security Space Strategy (Washington: Atlantic Council, 2016), iii.
[3] Elbridge Colby, From Sanctuary to Battlefield (Washington: Center for a New American Security 2016).
[4] Joan Johnson-Freese, Space Warfare in the 21st Century: Arming the Heavens (Abingdon & New York: Routledge, 2016), cap. 5.
[5] Theresa Hitchens, Forwarding Multilateral Space Governance: Next Steps for the International Community
(College Park: Center for International and Security Studies at Maryland, 2015), 4.
[6] Ivi, 5.
“L’amministrazione Biden ha detto di considerare gli atolli e gli isolotti controllati dalle Filippine nel mar Cinese meridionale all’interno del campo di interesse del... Read More
Nell’ambito della visita di Stato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella Repubblica Popolare Cinese, conclusasi il 12 novembre scorso, è stato rinnovato il Memorandum of... Read More
“Pur avvenendo in un contesto senz’altro autoritario e repressivo, questo tipo di eventi non vanno letti per forza come atti di sfida nei confronti... Read More
“The Chinese leadership has likely assessed that the Americans will keep up the pressure, so holding back is pointless. China is therefore likely prepared... Read More
“For the Trump administration, China’s being defined not as a rival, but as an enemy. It would be interesting to understand the effect of... Read More
Copyright © 2024. Torino World Affairs Institute All rights reserved